LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
R.M., G.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TEULADA 52, presso lo studio dell’avvocato VALENSISE ANTONIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAGANETTI BIANCHI VANDA, giusta mandato a margine del controricorso;
M.E., G.F., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO, che le rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrenti –
e contro
D.A.G., M.G., M.V., D.V. B.;
– intimati –
e sul ricorso n. 2504/2006 proposto da:
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 650/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/09/2005 R.G.N. 741/04 + ALTRE;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. NOBILE Vittorio;
udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega TRIFIRO’ SALVATORE;
uditi gli avvocati VALENSISE ANTONIO per delega VANDA PAGANETTI BIANCHI, GALLEANO SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per estinzione del ricorso principale e inammissibilita’ dell’incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.p.a. Poste Italiane, con distinti ricorsi proponeva appello avverso le sentenze di 1^ grado che avevano accolto le domande proposte dagli odierni intimati dirette all’accertamento della illegittimita’ del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con la societa’ con le consequenziali pronunce (rispettivamente: per M.V. sentenza del Tribunale di Milano n. 1496/2003 di riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato dal 1/6/1999 con condanna al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal 8/11/2002;
per D.V.B. sentenza del Tribunale di Monza n. 270/2003 di riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato dal 3/3/2000 con condanna al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal 13/2/2002;
per D.A.G. sentenza del Tribunale di Milano n. 1561/2003 di riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato dal 2/7/2002 con condanna al pagamento delle retribuzioni dall’ottobre 2002; per R.M. sentenza del Tribunale di Sondrio n. 50/2003 di riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato dal 3/2/2001 con condanna al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal 30/9/2002;
per G.D. sentenza del Tribunale di Sondrio n. 51/2003 di riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato dal 19/4/1999 con condanna al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal 30/9/2002;
per M.E. e G.F. sentenza del Tribunale di Lecco n. 18/2003 di riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato dal 7/8/1999 per la M.E. e dal 19/10/1998 per la G.F. con condanna al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal 30/9/1999 per la M.E. e dal 12/5/1999 per la G.F.; per M.G. sentenza del Tribunale di Lodi n. 80/2003 di riconoscimento del rapporto a tempo indeterminato dal 7/2/2001 con condanna al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal 8/10/2002).
La Corte di Appello di Milano, riunite le cause, con sentenza depositata il 14/9/2005, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecco relativa alla G.F. e alla M.E., condannava la societa’ a pagare le retribuzioni dalla data di costituzione in mora della societa’ (2/5/2002), confermava nel resto e confermava le altre sentenze appellate, condannando la societa’ al pagamento delle spese in favore di ciascun appellato.
Per La cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con sei motivi.
Il R. e la G.D. hanno resistito con unico controricorso, cosi’ come la M.E. e la G.F..
Il M.G. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, con un unico motivo.
Il M.V., la D.V. e il D.A. sono rimasti intimati.
Infine sono state depositati in copia i verbali di conciliazione in sede sindacale conclusi tra la s.p.a. Poste Italiane e il M. V., il M.G. e il R. (rispettivamente in data 21/4/2006, 30/3/2006 e 11/2/2009) e da ultimo la societa’ e il M.G. hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c., in primo luogo va dichiarato inammissibile il ricorso principale della societa’ nei confronti del M.V., del R. e del M.G. (in specie per il R. e per il M.G. vedi il quinto motivo) e nel contempo va dichiarato inammissibile anche il ricorso incidentale del M.G..
Dai verbali di conciliazione prodotti in copia risulta, infatti, che le parti hanno rispettivamente raggiunto un accordo transattivo concernente la relativa controversia, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.
Osserva il Collegio che i suddetti verbali di conciliazione si palesano idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilita’ sia del ricorso della societa’ nei confronti dei detti lavoratori, sia del ricorso incidentale del M.G., in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui e’ proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278).
In particolare, come questa Corte ha piu’ volte affermato, “quando nel corso del giudizio di legittimita’ intervenga un fatto che determini la cessazione della materia del contendere (nel caso di specie, la conciliazione della lite tra dipendenti e datore di lavoro in sede sindacale), ovvero il venir meno, con la materia controversa, di qualsiasi posizione di contrasto tra le parti, ma non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o alla pretesa sostanziale, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, essendo venuto meno l’interesse alla definizione del giudizio, e, quindi, ad una pronuncia nel merito” (cfr. Cass. 27/10/2005 n. 20860, Cass. 9/11/2004 n. 21291, Cass. 5/8/2004 n. 15081, Cass. S.U. 26/7/2004 n. 14059, Cass. 23/4/2004 n. 7817, Cass. 16/4/2004 n. 7239, Cass. 12/11/2003 n. 17075, Cass. 27/1/2003 n. 1205, Cass. 26/4/2002 n. 6083, Cass. S.U. 8/1/2003 n. 78, Cass. S.U. 18/5/2000 n. 368).
Ricorrono, inoltre, giusti motivi, considerato l’accordo intervenuto, per compensare le spese del giudizio di cassazione tra la societa’ e il M.G. e il R., mentre non deve provvedersi in ordine alle spese stesse nei confronti del M.V., che non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.
Il ricorso principale va poi respinto nei confronti della D.V., della G.D. e della G.F., trattandosi di contratti a termine (rispettivamente per i periodi 4/3/2000 – 30/5/2000, 19/4/1999 – 31/5/1999, e 19/10/1998 – 31/1/1999) tutti stipulati, per “esigenze eccezionali ex art. 8 ccnl 1994 integrato dall’acc. 25/9/1997, successivamente al 30/4/1998.
Osserva al riguardo il Collegio che la Corte di merito, dopo aver esaminato il testo degli accordi collettivi intercorsi in materia, ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che:
“i sindacati, che pure conclusero l’intesa originaria priva di termine, ne siglarono contestualmente altra che ha riconosciuto il trovarsi dell’impresa nelle condizioni previste sino al 31 gennaio 1998, ed hanno poi raggiunto posteriori accordi che hanno indicato la possibilita’ “di procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinalo” entro date successive e da ultimo, per la scadenza del 30 aprile 1998" ed ha concluso che le assunzioni cadute dopo la predetta data “sono allora prive di strumento derogatorio”.
Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – e’ sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullita’ del termine apposto ai contratti de quibus.
In particolare, sulla scia di Cass. S.U. 2/3/2006 n. 4588, e’ stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4/8/2008 n. 21063, v. anche Cass. 20/4/2006 n. 9245, Cass. 7/3/2005 n. 4862, Cass. 26/7/2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4/8/2008 n. 21062, Cass. 23/8/2006 n. 18378).
In tale quadro, ove pero’ un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23/8/2006 n. 18383, Cass. 14/4/2005 n. 7745, Cass. 14/2/2004 n. 2866).
Pertanto, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.
26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608, Cass. 27/3/2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In base a tale indirizzo, ormai consolidato, va quindi respinto il ricorso della societa’ nei confronti della D.V., della G. D. e della G.F., risultando infondate le censure avanzate al riguardo (in specie con il quarto motivo, concernente la pretesa natura meramente ricognitiva degli accordi attuativi intercorsi tra le parti, risultando assorbito il terzo).
Del resto del pari va respinta la censura avanzata con il sesto motivo, con il quale la societa’ in sostanza lamenta che la Corte d’appello non avrebbe svolto alcun tipo di verifica in ordine alla messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore.
Il motivo infatti e’ in parte inammissibile e in parte infondato.
La Corte di Appello, ha fissato il risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni ” dalla data di costituzione in mora” (come accertata in primo grado per la D.V. e la G.D. e in secondo grado per la G.F.).
Tale accertamento, prettamente di fatto, riservato al giudice del merito, e’ stato, quindi, effettuato dalla Corte territoriale in conformita’ con l’indirizzo piu’ volte dettato da questa Corte (v. fra le altre Cass. 27/3/2008 n. 7979, Cass. 13/4/2007 n. 8903). La societa’, del resto, ha censurato tale decisione in modo del tutto generico, senza neppure riportare il testo della comunicazione in oggetto, che, secondo l’assunto della ricorrente, non avrebbe integrato la ravvisata messa in mora.
Peraltro piu’ volte questa Corte ha affermato che ben puo’ essere ravvisata la messa in mora anche nella comunicazione della convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la messa a disposizione da parte del lavoratore della propria attivita’ lavorativa (v. fra le altre Cass. 28/7/2005 n. 15900, Cass. 30/8/2006 n. 18710).
Cosi’ respinto il ricorso principale nei confronti della D.V., della G.D. e della G.F., la societa’ ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore delle controricorrenti G.D. e G.F., mentre non deve provvedersi sulle spese nei confronti della D.V., che non ha svolto attivita’ difensiva.
Il ricorso della societa’ va invece accolto in parte nei confronti della M.E., con riferimento al primo contratto a termine intercorso tra le parti (stipulato per il periodo 8/7/1999 – 30/9/1999 ex art. 8 CCNL 1994 cit. per “concomitanza di assenze per ferie”).
Fondata e’ infatti la censura, contenuta nel primo motivo, con cui la societa’ deduce la legittimita’ del termine apposto al detto contratto.
Questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessila’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.
In particolare la violazione di norme di diritto e’ stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonche’ dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.
Inoltre altre pronunce di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7/3/2008 n. 6204) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operativita’ fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.
Infine e’ stato anche affermato (v. Cass. 28/3/2008 n. 8122) che l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26/11/1994) e’ quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operativita’ l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonche’ la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unita’ organizzativa alla quale lo stesso e’ stato destinato.
In conformita’ con tale indirizzo va, quindi, ritenuta la legittimita’ del termine apposto al primo contratto della M. E., rilevandosi, peraltro, che nella specie la Corte d’Appello ha omesso di considerare che il detto contratto era stato stipulato per “concomitanza di assenze per ferie”, e non per “esigenze eccezionali”, per cui non era soggetto al limite temporale del 30/4/1998.
In relazione a tale contratto va quindi accolto il ricorso della societa’ nei confronti della M.E., e la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, mentre, dovendo comunque ritenersi (per le stesse ragioni sopra esposte con riferimento alla D.V., alla G.D. e alla G.F.) la nullita’ del termine apposto al secondo contratto (stipulato per “esigenze eccezionali” per il periodo 1/12/1999 – 29/2/2000, successivamente al limite del 30/4/1998 fissato dalle parti collettive), non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, in relazione alla M.E., puo’ essere decisa nel merito, dichiarandosi la nullita’ del termine apposto al detto contratto decorrente dal 1/12/1999, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato da tale data e con condanna della societa’ al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, dell’ammontare delle retribuzioni come indicato nella sentenza di primo grado, a decorrere dalla data di costituzione in mora accertata dai giudici di appello (2/5/2002).
Su tale ultimo punto, infatti, va respinta, anche con riguardo alla M.E., la censura della societa’ contenuta nel sesto motivo, per le stesse ragioni sopra esposte con riferimento alla D.V., alla G.D. e alla G.F..
Per quanto riguarda, poi, le spese tra la societa’ e la M.E. mentre vanno confermate, relativamente alla stessa M.E., le statuizioni sulle spese del primo e del secondo grado, in ragione dell’esito della controversia e della relativa novita’ delle questioni vanno poi compensate le spese del presente giudizio di cassazione.
Infine, nei confronti del D.A., con il secondo motivo, la ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 11 nonche’ vizio di motivazione, deduce innanzitutto che, avendo il primo giudice dichiarato la nullita’ del termine apposto al contratto decorrente dal 2/7/2002, essa appellante in particolare aveva evidenziato che l’assunzione de qua “trovava fondamento non nell’art. 25 del CCNL 2001 come erroneamente ritenuto dal giudice di primo grado, ma direttamente nel D.Lgs. n. 368 del 2001”.
In particolare la ricorrente rileva che il contratto faceva espresso riferimento alla “vigente normativa” e richiamava gli specifici accordi intervenuti tra l’ottobre del 2001 e il settembre del 2002 in tema di mobilita’ aziendale, mentre nessuna menzione si rinveniva “dell’art. 25 del CCNL del 15/1/2001”.
Tanto premesso la ricorrente in sostanza lamenta che “la Corte d’Appello di Milano, tuttavia, ha confermato la sentenza appellata senza fornire alcuna motivazione a sostegno della propria conclusione e senza spiegare le ragioni alla base del rigetto di quanto esposto e contestato da Poste Italiane”.
La censura e’ fondata e va accolta.
La Corte d’Appello, infatti, (considerando peraltro globalmente le assunzioni degli appellati “cadute tutte” dopo il termine del 30/4/1998 e come tali “prive di strumento derogatorio”) non ha esaminato nel particolare il contratto riguardante il D.A., stipulato per il periodo 2/7/2002 – 30/9/2002, con la relativa distinta causale, ne’ ha verificato la legittimita’ o meno del termine allo stesso apposto, ignorando del tutto la censura avanzata dalla societa’ appellante nei confronti della decisione di primo grado ed omettendo qualsiasi motivazione specifica al riguardo.
Tanto basta per accogliere il ricorso principale nei confronti del D.A. e cassare la impugnata sentenza in relazione allo stesso, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che provvedera’ statuendo anche sulle spese tra la societa’ e il D. A. stesso.
P.Q.M.
LA CORTE Riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti del R., del M.V. e del M.G. e dichiara inammissibile il ricorso incidentale di quest’ultimo; compensa le spese tra la societa’ e il M.G. e il R., nulla per le spese tra la societa’ e il M.V.; rigetta il ricorso della societa’ nei confronti della D.V., della G.D. e della G.F. e condanna la societa’ al pagamento delle spese in favore della G.D. e della G.F., liquidate, per ciascuna, in Euro 27,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA; nulla per le spese nei confronti della D. V.; accoglie in parte il ricorso principale nei confronti della M.E., cassa la impugnata sentenza in relazione alla stessa e, decidendo nel merito, dichiara la nullita’ del termine apposto al contratto stipulato dal 1/12/1999, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato da tale data e condanna la societa’ al pagamento delle retribuzioni come indicato nella sentenza di primo grado, con decorrenza dal 2/5/2002, conferma le statuizioni sulle spese di merito tra la societa’ e la M.E. e compensa le spese del presente giudizio di cassazione tra le dette parti; accoglie il ricorso principale nei confronti del D.A., cassa la impugnata sentenza in relazione allo stesso e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010