Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.227 del 11/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.M. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell’avvocato MAGNANO DI SAN LIO GIOVANNI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAUCERI SALVATORE, MIZZI GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

F.L. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GAVORRANO 12, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARINI MARIO, rappresentata e difesa dagli avvocati GAGLIARDI MICHELE, ANDOLINA ITALO AUGUSTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 342/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 19/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 29/10/2009 dal Consigliere Dott. ATRIPALDI Umberto;

udito l’Avvocato MAUCERI Salvatore, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.M. ha impugnato, nei confronti di F.L., con ricorso notificato il 2/12/04, la sentenza della Corte di Appello di Catania, notificata il 15/10/04, confermativa di quella di 1^ grado, che l’aveva condannata al risarcimento di L. 4000.000 ed a rimettere in pristino stato il vano di ingresso dell’edificio sito in *****, di cui aveva demolito l’originaria scala, costruendone una più ristretta comunicante con il 1 e 2 piano di sua appartenenza, ma che non consentiva l’accesso al piano ammezzato, di proprietà dell’intimata unitamente all’intero piano terra.

Lamenta: 1) la violazione dell’art. 1117 c.c., nonchè contraddittoria e insufficiente motivazione; dato che erroneamente la Corte di Appello, sulla base dei titoli sottoposti al suo esame, aveva ritenuto “il vano terraneo d’ingresso su cui insiste la scala interamente donato” all’intimata, e così superata la presunzione “juris tantum” di condomini alita stabilita dall’art. 1117 c.c., senza considerare che nell’atto di donazione del ***** la consistenza del bene donato alla L. non comprendeva il vano di ingresso, ma anzi lo escludeva, tant’è che le veniva riconosciuto il diritto d’uso della scala in questione per raggiungere l’ammezzato; e che, sempre nel medesimo atto, col quale veniva donato alla sua dante causa M.L. il primo piano, era specificato che il vano terraneo, costituisce l’ingresso principale attuale dell’intera casa palazzata, nè avrebbe dovuto ingannare l’inciso “come sopra donato a F.L.”, essendo smentito dall’indicazione del numero dei vani donati alla medesima, sette e non otto;

2) la violazione dell’art. previgente 1064 c.c. e degli artt. 769, 771, 1159 c.c. degli artt. 99, 101 e 112 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; dato che la Corte di Appello, per rigettarle l’eccezione “di prescrizione acquisitiva abbreviata”, aveva affermato la nullità dell’atto di donazione del *****, sull’errato presupposto che avesse ad oggetto una cosa futura, appartamento da costruirsi sul 1 piano, senza considerare che invece riguardava l’area sovrastante al medesimo e che comunque era compatibile col negozio di cui all’art. 769 c.c. l’assunzione dell’obbligazione di costruire; e per di più aveva ritenuto privo di efficacia l’inerente atto ricognitorio dell’8/6/62, avente, invece, efficacia di convalida della donazione; nè era vera la circostanza che non avesse riproposto in appello le richieste istruttorie avanzate in 1 grado per provare l’esercizio del possesso corrispondente all’esercizio del diritto di comproprietà, quanto meno a decorrere dal 1 febbraio 1963, data in cui acquistò l’appartamento del 1 piano; atteso che nel punto 6 delle conclusioni chiedeva “occorrendo” l’ammissione dei “mezzi istruttori richiesti”;

3) la violazione dell’art. 2058 c.c., comma 2, omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione; atteso che la Corte di Appello aveva disposto il ripristino dello stato dei luoghi senza considerare che aveva dichiarato di “volere ripristinare l’accesso all’ammezzato mediante la riapertura della preesistente porta di accesso prospiciente sul primo pianerottolo della scala”; e che anche nelle azioni “a tutela della proprietà la restitutio in integrum” poteva trovare ostacolo nella eccessiva onerosità ai sensi dell’art. 2058 c.c;

4) la violazione dell’art. 91 c.p.c., dato che la regolazione delle spese era ispirata ad una soccombenza in realtà insussistente.

L’intimata resiste.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Affetto da inammissibilità si manifesta il 1 motivo che prospetta una non consentita rinnovazione dell’interpretazione degli atti di donazione del 1948 e del 1940 (senza peraltro, in violazione del principio dell’autosufficienza riportarne il contenuto) effettuata con esaustiva motivazione, immune da vizi logici, dalla Corte di Appello, che, sulla base delle uniche disposizioni nei medesimi contenute, ha evidenziato come il vano di accesso in questione fosse stato attribuito in proprietà esclusiva all’intimata, con contestuale costituzione di servitù di passaggio a favore dei piani superiori.

Parimenti il 2 motivo, concernente la pretesa usucapione abbreviata, è inammissibile per l’assorbente considerazione che, anche a voler considerare gli indicati atti (donazione ***** e ricognitorio 1962) presupposti idonei ex art. 1159 c.c., risulta comunque inattaccata la “ratio decidendi” concernente la riscontrata mancanza di prova della vantata usucapione, dato che la Corte di Appello ha disatteso le istanze istruttorie sull’incontestato rilievo che il ricorrente non aveva formulato censura alcuna contro la decisione del 1 giudice di non ammettere i richiesti mezzi istruttori; di cui, peraltro, la mancata indicazione, in violazione del principio dell’autosufficienza, dei relativi capitoli, preclude qualsiasi valutazione di rilevanza.

Motivo comunque infondato perchè si basa sull’indimostrata affermazione che l’atto di donazione del ***** avesse per oggetto la superficie del 1 piano, o comunque l’assunzione di un obbligo di costruzione da parte del donante (senza peraltro riportarne il contenuto e precludendo così ogni possibile valutazione in merito), sebbene la Corte di Appello abbia fatto specifico riferimento all’inequivoca disposizione che prevedeva la donazione “di tutto il 2 piano ch’essa donante costruirà sul 1 piano oggi esistente”, per affermare legittimamente che aveva per oggetto un bene futuro, in mancanza di qualsiasi riferimento al diritto di superficie o all’assunzione di un’obbligazione.

Nè, in relazione all’atto ricognitorio del 1962, viene attaccata l’autonoma “ratio decidendi”, secondo cui quanti anche gli si riconoscesse valenza dispositiva, era comunque inidoneo a trasferire la comproprietà del vano d’ingresso, essendosi la donante M. già privata della proprietà del medesimo con la pregressa donazione del ***** a favore dell’intimata. Affetto da inammissibilità si manifesta anche il 3 motivo là dove, a fronte della richiesta alternativa condanna per equivalente, disattesa dai giudici di merito, prospetta una questione nuova concernente l’asserita possibilità di addivenire ad una soluzione tecnica meno onerosa di risarcimento in forma specifica, con il ripristino dell’accesso al vano ammezzato.

Mentre risulta del tutto infondato in relazione all’eccepito limite ex art. 2058 c.c. di addivenire alla reintegrazione specifica, considerato che, come rilevato dalla Corte di Appello, con gli effettuati lavori la ricorrente ha in pratica reso una parte del vano in questione di pertinenza esclusiva delle sue sovrastanti ragioni, sottraendola perciò alla disponibilità dell’intimata proprietaria;

la quale, con la richiesta riduzione in pristino ha di fatto rivendicato il diritto di proprietà sull’intero vano, donde la sua domanda, non limitandosi ad una semplice tutela risarcitoria, va intesa come diretta all’accertamento e tutela di un diritto reale e perciò (salvo avallare una sorta di espropriazione da illecito) non soggetta alla limitazione dell’art. 2058 c.c. (Cass. 1174/03 – 113/99 – 11221/97). Al rigetto segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese in Euro 2.200,00, di cui 2000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010

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