LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
I.V. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CERESIO 24, presso lo studio dell’avvocato ACQUAVIVA CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato FURNO’ LUIGI;
– ricorrente –
contro
COND. ***** ***** in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA U TOPINI 133, presso lo studio dell’avvocato BARGAGLIA ROBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato FILLIOLEY AGOSTINO;
– controricorrente –
e contro
FALL D.S. in persona del Curatore pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1249/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 27/12/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 19/11/2009 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;
udito l’Avvocato ACQUAVIVA Carlo, con delega depositata in udienza dell’Avvocato FURNO’ Luigi, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 23/6/1999 il Condominio degli edifici di ***** conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Siracusa D.S. e I.V. chiedendo dichiararsi che i convenuti non avevano ne’ la comproprieta’ ne’ il compossesso dell’area circostante gli edifici del condominio e condannarsi i convenuti alla riduzione in pristino dei luoghi alterati mediante aperture e varchi sull’area condominiale.
Nel corso del giudizio si costituiva la curatela del fallimento della D. eccependo il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore del condominio, legittimazione che spettava ai singoli proprietari delle unita’ immobiliari; nel merito chiedeva il rigetto della domanda in quanto non vi erano elementi da cui desumere l’esclusione della D. dalla comproprieta’ delle parti comuni dell’edificio.
Con sentenza del 19/7/2000 il Tribunale adito rigettava le domande attrici.
Proposta impugnazione da parte del suddetto condominio cui resisteva la curatela del fallimento di D.S. mentre l’ I. restava contumace, la Corte di Appello di Catania con sentenza del 27/12/2003, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato gli appellati a ridurre in pristino la parete est del locale a piano terra sito in *****, eliminando le modifiche descritte nella C.T.U. al punto b) della penultima pagina dell’elaborato peritale.
Per la cassazione di tale sentenza I.V. ha proposto un ricorso affidato a tre motivi, cui il Condominio di ***** ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha successivamente depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando nullita’ della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c.,assume che nell’atto introduttivo del primo grado di giudizio e nell’atto di appello la controparte aveva espressamente lamentato soltanto:
1) la trasformazione di una finestra in porta, creando cosi’un accesso diretto sul terreno retrostante l’edificio ed una nuova servitu’ di passaggio;
2) l’apertura di una finestra che si affacciava sul porticato condominiale creando una ulteriore servitu’ di veduta;
3) l’apertura di un’altra porta sul porticato condominiale, aggravando la servitu’ di passaggio.
Il ricorrente sostiene che il Condominio di ***** in appello aveva ribadito che dette aperture costituivano servitu’ abusive ed aveva chiesto di “ordinare agli appellati la messa in pristino dei luoghi per cui e’ causa con la chiusura dei varchi e delle aperture sull’area condominiale non di spettanza di essi appellati”; pertanto la controparte non aveva mai lamentato un illegittimo avanzamento della parete est del locale degli appellati, cosi’come non aveva mai chiesto la demolizione della suddetta parete.
Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo nullita’ della sentenza e violazione o falsa applicazione di norme di legge, assume che la Corte territoriale ha ordinato la demolizione della parete est del locale in questione in assenza di una specifica lamentela da parte dell’appellante, impedendo in tal modo all’esponente di approntare una adeguata difesa in proposito.
Con il terzo motivo l’ I., deducendo nullita’ della sentenza e violazione o falsa applicazione di norme di diritto, afferma che dalla lettura degli atti era emerso in modo incontrovertibile che l’azione proposta dal Condominio suddetto doveva essere qualificata come “actio negatoria servitutis”, cosicche’ il giudice di Appello non avrebbe potuto pronunciarsi sull’appropriazione o meno da parte delle controparti di una parte del portico condominiale.
Le enunciate censure,da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate.
La Corte territoriale ha rilevato, all’esito della C.T.U. espletata nel primo grado di giudizio, che gli appellati si erano appropriati di una parte del portico condominiale, inglobandola nel proprio locale e creandovi un servizio con antibagno; ritenendo quindi che si era in presenza di una alterazione dell’originaria destinazione della cosa comune che ne impediva l’utilizzazione agli altri condomini, ha ordinato la demolizione della parete est del locale degli appellati.
In tal modo il giudice di Appello non si e’ attenuto alle domande dell’appellante (riportate anche nell’epigrafe della sentenza impugnata) con le quali si chiedeva di ordinare alle controparti la messa in pristino dello stato dei luoghi con la chiusura dei varchi e delle aperture sull’area condominiale,domande che hanno indotto il giudicante a verificare se tali aperture configurassero o meno una utilizzazione della cosa comune consentita dall’art. 1102 c.c.; del tutto diversa infatti e’ l’appropriazione di una parte del portico condominiale mediante inglobamento di essa nel locale degli appellati, fatto mai dedotto in giudizio dal Condominio suddetto, cosicche’ la Corte territoriale, nell’ordinare il ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione della parete est del locale predetto ha violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato previsto dall’art. 112 c.p.c..
All’esito dell’accoglimento del ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania.
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania.
Cosi’deciso in Roma, il 19 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010