LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.T. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIANTURCO 5, presso lo studio dell’avvocato LORIA PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato TASCIONE ARNALDO;
– ricorrente –
e contro
O.P. *****, O.M.A.
*****, OT.MA. *****;
– intimati –
avverso la sentenza n. 880/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/11/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;
udito l’Avvocato TASCIONE Arnaldo, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione dell’8/10/1999 D.C.A. e P. Ma. e O.M., rispettivamente madre e fratelli di O.A., deceduto il *****, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Vasto T.T., vedova del defunto, chiedendo la divisione dei beni relitti dal “de cuius”, previa formazione delle rispettive quote ereditarie.
Costituitasi in giudizio, la convenuta aderiva sostanzialmente alla domanda di scioglimento della comunione, mentre si opponeva all’istanza di sequestro giudiziario formulata dagli attori in corso di causa.
Con sentenza del 20/11/2000 il Tribunale adito, premesso che la richiesta di sequestro era stata abbandonata in considerazione del fatto che la convenuta aveva rilasciato l’abitazione il cui possesso era stato oggetto di rivendicazione, e che i beni relitti dal defunto erano rappresentati esclusivamente da quote di beni indivisi, attribuiva alla T. la sua quota di eredita’ con liquidazione in denaro, assegnandole la somma di L. 23.607.406 (pari ai due terzi dell’intero asse ereditario), ed agli attori, come richiesto, le restanti quote indivise.
Proposto gravame da parte della T. cui resistevano P., Ma. e O.M. anche quali eredi della D. C. nel frattempo deceduta, la Corte di Appello dell’Aquila con sentenza del 4/11/2004 ha rigettato l’impugnazione.
Per la cassazione di tale sentenza la T. ha proposto un ricorso affidato a quattro motivale parti intimate non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c. e vizio di motivazione, assume che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado non conteneva alcuna indicazione dei beni da dividere, essendo ivi contenuta semplicemente la richiesta di dividere i beni relitti da O.A. senza indicare quali essi fossero ne’ come e quando fossero pervenuti a costui, anche se si intuiva che detti beni si ricollegavano alla eredita’ del padre S., premorto.
La censura e’ infondata.
La Corte territoriale ha escluso la pretesa nullita’ del suddetto atto di citazione per l’asserito difetto delle necessarie indicazioni di “petitum” & “causa petendi”, posto che l’indicazione dei beni mobili ed immobili relitti da O.A. era sufficiente alla individuazione dell’oggetto della pretesa chiaramente identificabile in tutti i beni costituenti l’asse ereditario facente capo allo stesso, e che inoltre l’accenno alle “quote” non godibili doveva essere inteso con riferimento all’eredita’ indivisa del capostipite O.S., dante causa degli originari attori e del premorto figlio A., sicche’ le relative quote dovevano essere comprese nel presente giudizio, attesa l’identita’ degli eredi attori e dei beni costituenti i due assi ereditari; orbene con tale statuizione – del resto non oggetto di alcuna specifica censura in questa sede – il giudice di appello ha esaustivamente e logicamente espresso le ragioni del suo convincimento, e pertanto il motivo in esame deve essere disatteso per la sua evidente genericita’.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 789 c.p.c. e segg. e dell’art. 194 c.p.c., comma 2 nonche’ difetto di motivazione, sostiene che il procedimento divisorio si era svolto senza il rispetto delle tre fasi fondamentali della classificazione, della formazione e della attribuzione; inoltre non era stato neppure depositato il progetto divisionale con conseguente violazione del principio del contraddittorio, essendo stato impedito all’esponente di interloquire sulla formazione delle quote e sulla presunta indivisibilita’ dei beni; infine era stato omesso l’avviso del C.T.U. alle parti circa l’inizio delle operazioni peritali.
La censura e’ infondata.
La sentenza impugnata ha escluso la violazione delle norme che disciplinano il procedimento divisorio atteso che il giudice istruttore, avendo implicitamente fatto proprio il progetto divisionale regolarmente depositato in cancelleria dal perito, aveva fissato sulla concorde richiesta delle parti l’udienza di precisazione delle conclusioni; tale assunto e’ pienamente condivisibile e conforme all’orientamento gia’ espresso da questa Corte secondo cui non occorre una formale osservanza delle disposizioni di cui all’art. 789 c.p.c. – che prevedono la predisposizione di un progetto di divisione da parte del giudice istruttore, il suo deposito in cancelleria e la fissazione dell’udienza di discussione dello stesso – essendo sufficiente che il giudice istruttore faccia proprio, sia pure implicitamente, il progetto predisposto e depositato dal consulente d’ufficio, cosi come non e’ necessaria la fissazione dell’udienza di discussione del progetto quando le parti abbiano gia’ escluso, con il loro comportamento processuale, la possibilita’ di una chiusura del procedimento a mezzo di accettazione consensuale della proposta divisione, cio’ giustificando la rimessione della causa al Collegio (Cass. 20/12/1983 n. 7525).
Quanto poi all’asserito mancato avviso alle parti del giorno di inizio delle operazioni peritali, si osserva che tale questione non risulta trattata nella sentenza impugnata; la ricorrente aveva quindi l’onere, in realta’ non assolto, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ della questione stessa perche’ nuova, non solo di dedurre di averla gia’ sollevata in sede di appello, ma anche di indicare specificatamente in quale atto l’avesse fatto onde consentire a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione.
Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo violazione degli artt. 718 e 720 c.p.c. e difetto di motivazione, sostiene che la Corte territoriale ha ritenuto la non comoda divisibilita’ dei beni oggetto della comunione ereditaria senza esprimere le ragioni del proprio convincimento; in ogni caso l’immobile gia’ costituente la casa coniugale del “de cuius” e della T. avrebbe dovuto essere attribuito a quest’ultima che aveva continuato ad abitarlo e che non disponeva di altri immobili.
La censura e’ infondata.
Il giudice di appello ha anzitutto richiamato la valutazione del C.T.U. in ordine alla indivisibilita’ in natura dei beni costituenti gli assi ereditari relitti da S. ed O.A., evidenziando a tale proposito che tale conclusione trovava riscontro nel fatto che l’eredita’, nel suo complesso, era costituita da quote indivise in comproprieta’, e che comunque i beni relitti apparivano di dimensioni e di valore economico modesti; inoltre ha osservato che l’istanza degli attori di assegnazione a se’ stessi dei beni indivisi in natura e di attribuzione alla T. di un conguaglio in denaro non era stata oggetto di opposizione da parte di quest’ultima.
Alla luce di tali affermazioni si rileva da un lato che la Corte territoriale ha congruamente motivato la ritenuta indivisibilita’ dei beni ereditari, e dall’altro che la non impugnata statuizione in ordine alla mancata opposizione da parte della T. alla assegnazione alle controparti dei suddetti beni evidenzia l’infondatezza anche del secondo profilo di censura.
Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 718 c.c. e difetto di motivazione, assume che tra i beni oggetto della divisione ve ne erano alcuni di valore inferiore o pari alla quota di spettanza dell’esponente, con la conseguenza che ciascuno di essi avrebbe potuto essere assegnato alla T.; inoltre i valori attribuiti agli immobili non avevano nessun riscontro oggettivo sul mercato; infine non si era tenuto conto che il valore degli immobili deve essere determinato con riferimento ai prezzi di mercato correnti al momento della decisione della causa, e non in base ai prezzi accertati dal C.T.U. nel corso del giudizio divisorio.
La censura e’ infondata.
Con riferimento al primo profilo di censura e’ sufficiente richiamare quanto gia’ rilevato in sede di esame del precedente motivo riguardo alla mancata opposizione della T. alla istanza degli attori di assegnazione a se’ stessi dei beni ereditari; per il resto deve evidenziarsi che il giudice di appello ha rilevato la genericita’ delle deduzioni dell’appellante in ordine alla stima dei beni ereditari, atteso che non era stato prospettato alcun parametro di riferimento da contrapporre alla stima effettuata dal C.T.U. avuto riguardo ai valori correnti all’epoca di redazione dell’elaborato, che aveva preceduto di pochi mesi la data della decisione e del deposito della sentenza impugnata; pertanto in presenza di tali affermazioni non oggetto di specifiche contestazioni anche i residui aspetti della censura in esame devono essere disattesi.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna statuizione in ordine alle spese di giudizio non avendo le parti intimate svolto alcuna attivita’ difensiva in questa sede.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso.
Cosi’ deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010