LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – rel. Presidente –
Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.P., *****, elettivamente domiciliata in Roma, Via Vittorio Veneto n. 7 presso lo studio dell’Avv. Serges Giovanni, difesa dall’Avv. Giusino Massimo come da procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
R.N. *****;
– intimato –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Catania n. 1043/03 del 15.10.2003 – 11.11.2003;
Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 04.12.2009 dal Pres. Dott. Elefante Antonino;
Sentito l’Avv. Massimo Giusino per la ricorrente;
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen.le Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del primo motivo di ricorso e per l’accoglimento dei restanti motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
T.P. conveniva in giudizio R.N. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di errata esecuzione di opere edili (impermeabilizzazione) effettuate nel suo appartamento non a regola d’arte. Il Tribunale di Catania, disatteso l’assunto del convenuto di difetto di legittimazione passiva, condannava il R. al pagamento della somma complessiva di L.. 11.854.160, oltre rivalutazione e interessi.
Il gravame proposto da R.N. era accolto dalla Corte d’appello di Catania che, dopo aver dichiarato la nullita’ della sentenza di primo grado per mancata interruzione del giudizio, ex art. 301 c.p.c., a seguito della morte del difensore del convenuto e per essere state effettuate tutte le successive comunicazioni presso lo studio del procuratore deceduto, osservava, decidendo nel merito, che la T., stante il contrasto delle deposizioni testimoniali, non aveva fornito la prova dell’asserito contratto di appalto concluso con il R. in ordine alle opere di ristrutturazione (impermeabilizzazione) dell’appartamento.
Avverso tale sentenza T.P. ha proposto ricorso per Cassazione in base a tre motivi.
L’intimato R.N. non ha svolto attivita’ difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo la ricorrente deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 301 c.p.c. e della L. n. 276 del 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto la nullita’ della sentenza di primo grado e degli atti successivi, ex art. 301 c.p.c., a seguito della morte del procuratore di R.N., senza considerare che il processo interrotto era stato regolarmente riassunto in seguito alla notificazione alla parte personalmente (avvenuta il 2 – 4.7.1998) dell’istanza e del provvedimento del G.O.A. L. n. 276 del 1997, ex art. 13, comma 2 che aveva fissato al riguardo l’udienza del 16.4.1999. Il R. era stato messo, pertanto, in condizione di potersi difendere e di nominare un nuovo difensore, talche’ nessuna violazione del principio del contradditto-rio vi era stata. Inoltre l’adempimento L. n. 276 del 1997, ex art. 13, comma 2 a carico della cancelleria, e’ attivita’ del tutto estranea al ministero del difensore, sulla quale questi non ha alcun controllo, ne’ al riguardo e’ prevista alcuna nullita’.
2. Col secondo motivo la ricorrente denuncia “omessa motivazione su un punto decisivo della controversia: in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Si duole che la Corte d’appello, dopo aver dichiarato la nullita’ della sentenza di primo grado, ha basato la sua decisione facendo riferimento unicamente a tale sentenza. Osserva che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimita’, non e’ consentito al giudice d’appello, che dichiara la nullita’ della sentenza di primo grado, di far riferimento alla decisione dichiarata nulla, ma deve procedere al riesame di tutto il materiale probatorio ed effettuare una motivazione del tutto autonoma.
3. Col terzo motivo la ricorrente assume “omessa, illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha dichiarato la carenza di legittimazione passiva del R. ritenendo che la T. non era riuscita a dare la prova del rapporto d’appalto esistente tra le parti, senza considerare e valutare adeguatamente tutto il materiale probatorio, in particolare la comparsa di costituzione del R. nel procedimento tecnico preventivo, contenente il richiamo ad una convenzione (appalto) “stipulata tra la signora T. e il geom.
R.”, con la precisazione che l’impresa R. era “di comprovata serieta’ ed efficienza”, nonche’ al preventivo analitico predisposto dal R. e agli assegni per complessive L. 15.000.000 versati da S.G., marito della T., al R..
Rileva, infine, come la Corte d’appello, con motivazione carente, in difformita’ delle risultanze processuali, ha affermato che la T. non aveva prodotto alcuna documentazione a sostengo della sua tesi.
4. Il primo motivo e’ infondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, richiamato nell’impugnata sentenza e sostanzialmente non contestato dalla ricorrente, la morte (come la radiazione o la sospensione dall’albo) dell’unico difensore a mezzo del quale la parte e’ costituita nel giudizio di merito determina automaticamente l’interruzione del processo anche se il giudice e le altri parti non ne hanno avuto conoscenza (e senza, quindi, che occorra, perche’ si perfezioni la fattispecie interruttiva, la dichiarazione o la notificazione dell’evento), con preclusione di ogni ulteriore attivita’ processuale, che, se compiuta, e’ causa di nullita’ degli atti successivi e della sentenza (v. ex multis: Cass. 15.2.2007, n. 3459; 16.7.2003, n. 1162).
Correttamente, pertanto, l’impugnata sentenza in base a tale principio ha affermato la nullita’ della sentenza di primo grado, emessa dopo l’evento interruttivo d’ufficio del processo in seguito alla morte del difensore (avv. L.G.D.) del R..
L’assunto della ricorrente che vi sarebbe stata regolare riassunzione del processo interrotto per effetto della comunicazione fatta personalmente al R. dell’udienza di conciliazione davanti al G.O.A., sfuggendo al suo controllo quella effettuata dalla cancelleria al procuratore deceduto, non coglie nel segno, atteso che in tale segmento processuale, come gia’ rilevato da questa Corte, in relazione ad una causa, originariamente rimessa al collegio per la decisione e quindi assegnata alla sezione stralcio senza che l’udienza collegiale avesse luogo, e’ possibile far valere un evento interruttivo nell’udienza fissata davanti al giudice onorario aggregato (g.o.a.) per la comparizione delle parti, non essendo detta causa stata ancora assunta in decisione (cfr. Cass. 24.4.2007, n. 9900).
5. I motivi secondo e terzo da trattare congiuntamente – siccome strettamente connessi sul piano logico – giuridico – meritano accoglimento nei sensi e nei limiti di seguito precisati.
Va innanzitutto osservato che il giudice di appello che dichiari la nullita’ della sentenza per la mancata interruzione (automatica) del processo a seguito della morte del procuratore, deve trattenere la causa e giudicare nel merito in virtu’ del principio della conversione dei vizi della sentenza di primo grado in motivi di gravame, non rientrando tale nullita’ fra i casi nei quali il giudice di appello debba rimettere la causa al primo giudice (art. 353 e 354 c.p.c.). Ne consegue che la decisione del giudice di appello deve contenere una motivazione del tutto autonoma, priva cioe’ di riferimenti alla sentenza dichiarata nulla.
Nella specie, la Corte di appello, contrariamente a tale principio metodologico, ha espresso il proprio convincimento limitandosi unicamente ad esaminare criticamente le valutazioni operate dal giudice di primo grado in ordine alle deposizioni testimoniali.
La Corte d’appello ha poi del tutto ignorato il materiale probatorio prodotto dalla T., specificamente indicato in ricorso (ai fini dell’autosufficienza), il cui contenuto, se esaminato, avrebbe potuto portato ad una diversa soluzione della vertenza. Invero, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo quando le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento e’ fondato, di talche’ la “ratio decidendi' venga a trovarsi priva di base (cfr., tra le altre, Cass. 21 aprile 2006, n. 9368).
6. Alla stregua delle considerazioni svolte, il primo motivo deve essere rigettato, mentre vanno accolti, nei sensi di cui in motivazione, il secondo e terzo motivo. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, la quale procedera’ ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra esposti, provvedendo a colmare le evidenziate carenze e lacune di motivazione.
Al giudice del rinvio si rimette anche la pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimita’.
PQM
LA CORTE Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo e terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, al altra sezione della Corte d’appello di Catania.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010