LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –
Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –
Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 30824/2005 proposto da:
Z.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato CRISANTI DANTE, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
GAN ITALIA ASSIC SPA, in persona del procuratore Dott. B.
O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE TRASTEVERE 40, presso lo studio dell’avvocato DI STEFANO PIETRO, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
UNGARI SRL, U.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4389/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Sezione 3^ Civile, emessa il 23/06/2004, depositata il 13/10/2004, R.G.N. 8870/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/10/2009 dal Consigliere Dott. TALEVI Alberto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per rigetto del ricorso e condanna alle spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
Con atto di citazione, notificato in data 10 settembre 1996, Z.S. conveniva in giudizio U.M. e la S.r.L. Ungari avanti al Tribunale di Roma, assumendo che verso le ore 12,45 del *****, mentre si trovava in *****, nell’interno del cantiere della S.r.L. Ungari, era stato colpito dalla macchina perforatrice modello MAITR-HR 130, che il manovratore U.M. aveva improvvisamente spostato, riportando lesioni personali.
I convenuti U.M. e la S.r.L. Ungari si costituivano, chiedendo il rigetto della domanda.
Deducevano la responsabilità del danneggiato, che s’era avvicinato alla macchina perforatrice, e facevano presente che questa era assicurata per la responsabilità civile con la Gan Italia Assicurazioni S.p.A., che chiamavano in causa, al fine d’essere manlevati dalla domanda risarcitoria.
La Gan Italia Assicurazioni S.p.A. si costituiva ed, a sua volta, domandava il rigetto della domanda, deducendo la responsabilità del danneggiato.
Istruita la causa, il Tribunale adito, con la sentenza n. 33642, emessa fra le parti in data 27-30 ottobre 2000, rigettava la domanda e dichiarava le spese de giudizio interamente compensate fra le parti.
Il Z.S. presentava appello con atto, notificato in data 6 e 9 novembre 2001, lamentando con un sette motivi l’erroneità della sentenza impugnata, di cui chiedeva la riforma.
Si costituivano gli appellati, sostenendo l’infondatezza del gravame, di cui chiedevano il rigetto e la Gan Italia Assicurazioni S.p.A., con appello incidentale, domandava il ristoro delle spese del giudizio di primo grado. Acquisitosi il fascicolo di primo grado, la causa, sulle conclusioni, come in epigrafe precisate, passava in decisione all’udienza collegiale di precisazione delle conclusioni del 31 marzo 2004, in cui, ai sensi degli artt. 190 e 352 c.p.c., era disposto lo scambio delle comparse conclusionali sino al 31 maggio 2004 e delle memorie di replica sino al 21 giugno 2004,.
Con sentenza 23.6 – 13.10.2004 la Corte di Appello di Roma rigettava sia l’appello principale sia (come si evince dalla motivazione) l’appello incidentale e condannava l’appellante (evidentemente la Corte,quando ha usato tale termine, ha inteso riferirsi all’appellante principale Z.S.) al rimborso delle spese del grado, che liquidava “… alla S.p.A. Gan Italia in complessivi Euro. 2.000,00 ed in solido a U.M. ed alla S.r.L. Ungari, parimenti in complessivi Euro. 2.000,00 oltre IVA., C.P.A. ed il 10% per le spese generali…”.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione Z. S..
Ha resistito con controricorso la GAN ITALIA ASSICURAZIONI s.p.a..
La “… SOC. GROUP AMA ASS.NI S.P.A., già Soc. Gran Italia S.p.a …” ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi.
Con il primo motivo i ricorrente denuncia “VIOLAZIONE DELL’ART. 2050 C.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 360 C.P.C., NN. 3 E 5” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Il giudice di seconde cure, pur ravvisando nel caso di specie l’esercizio di attività pericolosa, nel senso che è tale quella che si concretizza alla guida di una perforatrice, soggetta a scarti improvvisi e addirittura incontrollabili, “costituendo pericolo per le persone”; pur accertando e dichiarando la “presunzione di responsabilità”, arriva peraltro, con argomentazioni del tutto incomprensibili che stravolgono la normativa dell’art. 2050 c.c., addirittura a sentenziare che “il comportamento colposo del danneggiato è idoneo da solo a interrompere il nesso eziologico tra la condotta del guidatore danneggiante e il danno”, atteso che, è sempre il Giudicante che “motiva”, “il limite della responsabilità per l’esercizio dell’attività pericolosa, risiede nell’intervento di un fattore esterno”. La decisione della Suprema Corte (Cass. 24 novembre 2003, n. 17851) esclude in maniera categorica la motivazione del Giudice di seconde cure, perchè il fatto del terzo o dello stesso danneggiato (che peraltro nel nostro caso, ad un attento esame della istruttoria non si ravvisa affatto) può avere effetto liberatorio solo quando nell’ambito del rapporto di causalità materiale esso abbia operato in modo tale da rendere, per la sua sufficienza, giuridicamente irrilevante il fatto di chi esercita detta attività, non quando abbia semplicemente concorso alla produzione del danno.
Nel caso in questione non vi è la dimostrazione che il conducente della perforatrice abbia adottato tutte le misure idonee il danno;
non basta la prova negativa di non aver commesso nessuna violazione di legge ma occorre quella positiva di aver impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l’evento dannoso (Cassazione 4 giugno 1998 n. 5484). Il conduttore della perforatrice, pur essendosi accorto della presenza del danneggiato, pur avendo parlato e conferito con lo stesso, ha continuato a manovrare il pericoloso mezzo, invece di fermarsi immediatamente e riprendere il suo lavoro dopo l’allontanamento constatato del danneggiato.
Con il secondo motivo Z.S. denuncia “VIOLAZIONE DELL’ART. 1227 C.C., IN RELAZIONE ALL’ART. 360 C.P.C., NN. 3 E 5” proponendo censure da sintetizzare come segue. Il Giudice di Corte d’Appello ha sostenuto che nella fattispecie non è applicabile l’art. 1227 c.c., comma 1 poichè non è emersa a carico del guidatore della perforatrice nessuna colpa. Ma ben poteva il Giudice, sulla scorta dell’istruttoria, applicare quantomeno il concorso di colpa (Cass. 7 aprile 1954 n. 10829. Nel nostro caso, proprio a vedere le cose in modo diverso da quello reale, tutt’al più si sarebbe potuto ravvisare una colpa lieve del danneggiato (peraltro assorbita dalla colpa grave del guidatore).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 115 E 116 C.P.C., IN RELAZIONE ALL’ART. 360 C.P.C., NN. 3 E 5.” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Le prove provano la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. Il Giudice dell’appello è incorso nell’errore di non aver proceduto all’esame complessivo e globale delle prove, soffermandosi soltanto su determinate esternazioni estrapolate dal complesso della deposizione resa, non valutando affatto altre e decisive ulteriori deposizioni, talchè la evidente responsabilità del conducente del mezzo pericoloso viene superata da un esame incompleto e frammentario.
Il ricorso non può essere accolto.
Infatti la Corte di merito ha esposto una motivazione che si sottrae al sindacato di legittimità in quanto sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.
In particolare va rilevato quanto segue: -A) detto Giudice ha adeguatamente esaminato le risultanze di causa circa gli eventi che hanno preceduto il verificarsi delle lesioni in questione, senza incorrere in vizi logici o giuridici; -B) quando ha affermato (a pag.
9 della sentenza) che nella fattispecie “…il comportamento colposo del danneggiato è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del guidatore danneggiante e il danno …” ha correttamente applicato la Giurisprudenza di questa Corte Suprema in materia (cfr., tra le altre Cass. Sentenza n. 5839 de 13/03/2007:
“Con riguardo all’esercizio di attività pericolosa, qual è quella svolta dal gestore di impianto di scivolo veloce in sottostante piscina, anche nell’ipotesi in cui l’esercente non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, in tal modo realizzando una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso fortuito e sia idonea – secondo l’apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione – a causare da sola l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori, e ciò anche quando sia attribuibile affatto di un terzo o del danneggiato stesso”); -C) le residue censure debbono ritenersi (prima ancora che privo di pregio dato che si è di fronte a tipiche vantazioni di merito della Corte, che si sottraggono al sindacato di legittimità in quanto immuni dai vizi denunciati) inammissibili in quanto, al di là della loro formale prospettazione, in realtà si basano semplicemente su una diversa valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass. n. 9234 del 20/04/2006; Sentenza n. 1754 del 26/01/2007; Sentenza n. 5066 del 05/03/2007; Cass. Sentenza n. 15489 del 11/07/2007; Cass. Sentenza n. 17477 del 09/08/2007; Sentenza n. 18119 del 02/07/2008; Cass. Sentenza n. 42 del 07/01/2009).
Non rimane dunque che respingere il ricorso.
Il controricorso va dichiarato inammissibile in quanto non risulta ritualmente notificato. Non si deve pertanto provvedere sulle spese del giudizio di cassazione (non sembra inutile precisare che, in assenza di tale inammissibilità, vi sarebbero stati giusti motivi per compensare le spese di detto giudizio).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara inammissibile il controricorso;
nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2010