LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.S.A.M. – Azienda Speciale Servizi idrici Integrati di Castellammare di Stabia in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, Via del Casale di S. Pio V 14, presso l’avv. MASCOLO Salvatore (Studio Gava), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
Acqua Campania s.p.a. in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Ferrari 35, presso l’avv. Massimo Filippo Marzi, rappresentata e difesa dall’avv. CIOFFI Giovanni, giusta delega in atti;
– controricorrente ricorrente incidentale –
Regione Campania in persona del Presidente;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1755/05 del 7.6.2005.
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 12.10.2009 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;
Uditi gli avv. Salvatore Mascolo per A.S.A.M. e Emilia Maggio su delega per Acqua Campania;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale assorbito l’incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29.3.2002 il Tribunale di Torre Annunziata revocava il decreto ingiuntivo di L. 1.434.541.261 emesso nei confronti dell’A.S.A.M. su istanza del Consorzio Eniacqua Campania, e condannava l’intimata al pagamento della minor somma di Euro 609.439,99, oltre interessi.
L’emissione del decreto era stata richiesta dal Consorzio nella sua qualità di concessionario della Regione Campania per la gestione dell’acquedotto della Campania occidentale, la contabilizzazione dei consumi, l’esazione dei canoni di fornitura (qualità assunta per effetto della convenzione – concessione ***** con la Regione Campania e della Delib. 28 dicembre 1992, con cui la Regione lo aveva delegato alla riscossione dei canoni dal gennaio 1992) e in ragione della constatata morosità dell’A.S.A.M. per i due semestri 1992 ed il primo semestre del 1993.
L’intimata aveva poi proposto opposizione sostenendo l’inaffidabilità dei sistemi di rilevazione dei consumi idrici;
sollecitando l’espletamento di accertamento tecnico preventivo per la verifica in ordine al corretto funzionamento degli impianti;
dichiarando di aver versato prima dell’emissione del decreto la somma di L. 354.500.881; motivando infine il mancato pagamento del residuo con l’incertezza in ordine all’esatta entità del dovuto.
Nel corso del giudizio di opposizione veniva autorizzata la chiamata in causa della Regione, acquisita la relazione dell’accertamento tecnico preventivo, disposta consulenza tecnica e all’esito veniva emessa la sentenza, impugnata dalla A.S.A.M. – Azienda Speciale Servizi Idrici Integrati -, che con l’atto di appello deduceva: a) il proprio difetto di legittimazione passiva, ove configurata una sua successione nei rapporti facenti capo alla A.S.A.M. – Azienda Speciale Acquedotto Municipale-; b) l’ammissibilità della produzione documentale del 20.7.1998 da cui sarebbe emersa la mancata decurtazione del 20% per i consumi relativi al serbatoio *****, per il quale sarebbe stata applicabile un’ulteriore decurtazione del 16%; c) la mancanza di una valida convenzione scritta, carenza che a torto il Tribunale aveva ritenuto non rilevabile di ufficio; d) l’infondatezza nel merito della pretesa e l’inammissibilità della domanda di indebito arricchimento in quanto nuova. Si costituivano nel giudizio di appello l’Eniacqua Campania s.p.a., cessionario dell’azienda del Consorzio Eniacqua Campania posto in liquidazione, che proponeva anche impugnazione incidentale, nonchè la regione Campania.
La Corte di appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado richiamando, quanto al preteso difetto di legittimazione, la sentenza del TAR Campania n. 2212 del 6.3.2003, emessa fra le stesse parti, con la quale il rapporto tra le due A.S.A.M. (Azienda Speciale Acquedotto Municipale, la prima, Azienda Speciale Servizi Idrici Integrati, la seconda) era stato configurato nell’ambito del fenomeno della successione tra enti pubblici ed osservando, per il resto, che in relazione al serbatoio ***** risultava applicata la decurtazione del 20%, mentre dalla documentazione prodotta non emergeva che dovesse necessariamente applicarsi una ulteriore riduzione del 16%; che la mancanza della convenzione sarebbe stata rilevabile di ufficio ma nel merito il rilievo sarebbe stato inconsistente, poichè il detto accordo era stata acquisita con la relazione dell’accertamento tecnico preventivo – il cui esame era stato fra l’altro sollecitato dallo stesso ricorrente – e quindi prodotta anche dall’Eniacqua Campania al momento della sua costituzione in appello; che il diritto azionato dal Consorzio avrebbe trovato fondamento, da un lato, nell’originaria convenzione Casmez (che poi aveva trasferito gli acquedotti alla Regione) – Comune del 1976 e, dall’altro, nella concessione Comune – Consorzio del 1992 – 1993; che sarebbe stata irrilevante l’approvazione di uno schema di nuova convenzione da parte della Giunta Regionale Campana, avendo l’iniziativa l’obiettivo di uniformare le preesistenti convenzioni, che avrebbero continuato “medio tempore” a regolamentare il rapporto fra le parti; che sarebbe stato insussistente il denunciato vizio di ultrapetizione, poichè l’intimante aveva posto a base della richiesta di pagamento la sua qualità di concessionario della regione Campania per la gestione dell’Acquedotto e la contabilizzazione dei consumi idrici; che l’esito dell’accertamento compiuto in sede preventiva era stato ulteriormente confortato dalla deposizione del consulente, che per effetto della detta audizione avrebbe assunto la veste del consulente tecnico di ufficio; che risultava infondato anche l’appello incidentale con il quale Eniacqua aveva lamentato la mancata rivalutazione del credito riconosciuto.
Avverso la decisione l’A.S.A.M. – Azienda Speciale Servizi Idrici Integrati – proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resisteva l’Acqua Campania (nuova denominazione assunta da Eniacqua Campania) con controricorso contenente anche ricorso incidentale, articolato in due motivi.
Entrambe le parti depositavano infine memoria. Successivamente la controversia veniva decisa all’esito dell’udienza pubblica del 12.10.2009.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., si osserva, quanto a quello principale, che con i motivi di impugnazione L’A.S.A.M. Azienda Speciale Servizi idrici Integrati – ha rispettivamente lamentato:
1) violazione della L. n. 142 del 1990, artt. 22 e 23, D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 114 e art. 111 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, con riferimento all’affermata legittimazione passiva di esso ricorrente.
Al riguardo era stato rilevato che la nuova Azienda Speciale Servizi Idrici Integrati era stata istituita dal Comune con Delib. 30 maggio 1996, n. 51 ai sensi della L. n. 142 del 1990, artt. 22 e 23, per cui avrebbe dovuto essere considerato soggetto autonomo rispetto alla precedente Azienda Speciale Acquedotto Municipale, assunto disatteso dalla Corte di appello con il semplice richiamo al contenuto della sentenza n. 2212 del 6.3.2 003 del TAR Campania, emessa tra le stesse parti.
Tuttavia l’argomento posto dal TAR a base della sua decisione – consistente nella prosecuzione da parte della nuova azienda del servizio precedentemente svolto e nella continuità nelle finalità dell’ente soppresso venutasi a determinare – non sarebbe stato condivisibile per le seguenti considerazioni: a) l’azienda speciale in questione, costituita in attuazione della L. n. 142 del 1990, artt. 22 e 23, sarebbe un ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto, diversamente dalle precedenti aziende municipalizzate, che costituivano degli organi del Comune, sia pure speciali in ragione delle autonomie che li caratterizzavano; b) la nuova A.S.A.M. avrebbe avuto in comune con la vecchia azienda municipalizzata soltanto la sigla identificativa, e sarebbe venuta ad esistenza con l’iscrizione nel registro delle imprese, dalla quale avrebbe acquisito la personalità giuridica; c) dalla distinta soggettività giuridica della nuova azienda rispetto alla precedente sarebbe stato logico desumere che non fosse configurabile una successione della nuova A.S.A.M. nei precedenti rapporti facenti capo all’azienda soppressa, e ciò tanto più ove considerata la mancanza di un provvedimento normativo al riguardo.
2) violazione degli artt. 61, 62, 191, 112, 345 e 696 c.p.c., art. 2697 c.c., e vizio di motivazione, con riferimento all’affermata esistenza di una valida convenzione tra le parti. In particolare la Corte di appello aveva ritenuto fondata la doglianza avente ad oggetto l’erroneità della statuizione concernente la pretesa tardività con cui la relativa eccezione sarebbe stata sollevata, condividendo in particolare l’assunto secondo il quale la nullità sarebbe stata rilevabile di ufficio, ma ne aveva tuttavia dichiarato nel merito l’inconsistenza, in ragione dell’avvenuta acquisizione di una convenzione tra la Cassa per il Mezzogiorno ed il Comune di Castellaminare di Stabia, sottoscritta il ***** e asseritamente applicabile al caso in esame perchè mai disdettata. Tale valutazione sarebbe tuttavia errata in quanto basata su convenzione irritualmente acquisita, e ciò sia perchè allegata all’espletato accertamento tecnico preventivo (quindi
PQM
per tale motivo successivo giudizio di merito), – sia perchè prodotta per la prima volta nel giudizio di appello, e pertanto tardivamente.
Per di più l’Eniacqua non avrebbe mai fatto riferimento nè alla convenzione del 1976 tra il Comune di Castellammare di Stabia e la Casmez, nè alle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, sicchè la Corte avrebbe illegittimamente supplito alle deficienti allegazioni della parte, in tal modo sollevata dall’onere probatorio specificamente gravante a suo carico.
3) violazione degli artt. 112, 163 e 184 c.p.c., art. 2697 c.c. e vizio di motivazione, per il fatto che il diritto di Eniacqua era stato riconosciuto sulla base della convenzione Casmez/Comune del 1976 e della concessione Regione/consorzio 92/93, mentre nè l’attore ne la Regione chiamata in causa avrebbero manifestato l’intenzione di fondare l’azione, di tipo contrattuale, su di un atto che non fosse la Delib. Giunta n. 8016 del 1992, e lo schema di convenzione di utenza in essa approvato, sicchè il giudice del merito, con il richiamo alla precedente convenzione del 1976, avrebbe alterato gli elementi identificativi della domanda, incorrendo in tal modo nel vizio di ultrapetizione. In ogni caso l’affermata validità della citata convenzione del 1976 avrebbe dovuto determinare l’applicazione del canone ivi previsto, e non già quello risultante dalla Delib.
Regione del 1992, non sottoscritta dalle parti. Anche sotto questo riflesso, pertanto, la decisione sarebbe errata e suscettibile di modifica.
4) violazione degli artt. 1362 e 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione in relazione alla quantificazione degli importi contabilizzati dall’Eniacqua, della cui esatta consistenza l’attore non avrebbe dato adeguata dimostrazione. La censura era stata già prospettata in sede di merito, ma la Corte aveva disatteso il rilievo richiamandosi genericamente alle valutazioni in senso contrario del consulente tecnico ed interpretando il verbale del 20.7.1998 (che prevedeva detrazioni forfettarie sugli importi contabilizzati) in modo contrastante con il tenore letterale del documento.
Con il ricorso incidentale l’Acqua Campania denunciava a sua volta:
1) violazione dell’art. 112 c.p.c., e vizio di motivazione, per il fatto che l’A.S.A.M. non aveva contestato l’esistenza del rapporto contrattuale, ma si era limitata a contestare la consistenza del dovuto.
2) violazione dell’art. 1372 c.c., e vizio di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, esclusa sulla base di un principio generale e senza tener conto della specifica disposizione contrattuale deponente in senso contrario.
Osserva il Collegio che entrambi i ricorsi sono infondati.
Prendendo dapprima in esame quello principale si rileva:
a) sul primo motivo, che la Corte di appello ha configurato un rapporto successorio fra la vecchia A.S.A.M., Azienda Speciale del Comune, e la nuova A.S.A.M., Ente Pubblico Comunale dotato di autonoma personalità giuridica, sulla base del principio per il quale, nel caso di soppressione di enti pubblici la successione si attua in modo diverso, a seconda che i provvedimenti che hanno dato causa alla soppressione abbiano o meno considerato il permanere delle finalità dell’ente soppresso. Nella prima ipotesi, infatti, si determina il trasferimento delle dette finalità, unitamente alle strutture (o a parte di esse) e al complesso delle posizioni giuridiche preesistenti ad altro ente – venendosi così ad attuare una successione a titolo universale -, mentre nella seconda, che determina l’apertura della procedura di liquidazione, si verifica una successione a titolo particolare, limitata agli eventuali beni residui all’esito della stessa.
Tale principio, affermato nella sentenza n. 2212 del 29.2/6.3.2003 del TAR Campania in analogo giudizio fra le medesime parti (rispetto alla quale non è evocabile in questo giudizio una preclusione da giudicato, poichè non rinvenuta la decisione fra gli atti trasmessi a questa Corte – C. 09/10623, C. 08/27881, C. 08/8478 -) va condiviso, atteso che risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte (segnatamente C. 02/535, C. 83/5971), dalla quale non vi è ragione di discostarsi.
Ciò premesso in via di principio, la Corte territoriale ha poi ritenuto in punto di fatto che la nuova A.S.A.M. fosse subentrata nella gestione del servizio pubblico già svolto precedentemente dalla soppressa azienda municipalizzata, che pertanto vi fosse continuità fra le finalità perseguite dai due enti, che d’altra parte non vi fossero previsioni aventi ad oggetto la liquidazione dell’azienda municipalizzata, che dalla situazione rappresentata dovesse desumersi l’operatività del principio della successione a titolo universale fra i due enti in questione.
Tale valutazione, correttamente emessa in quanto fisiologicamente rimessa al giudice del merito e sorretta da idonea motivazione, non è stata adeguatamente censurata dalla ricorrente.
Ed invero è innanzitutto certamente insussistente il denunciato vizio di motivazione – incentrato come detto sull’avvenuto integrale recepimento della motivazione posta a base della citata sentenza del TAR Campania – considerato che questa Corte ha costantemente affermato la legittimità della motivazione “per relationem” laddove non risulti un recepimento acritico (C. 03/12129, C. 02/18296, C. 02/13937, C. 02/3066, C. 98/5612), ipotesi non configurabile nella specie e per vero neppure dedotta sotto tale specifico riflesso.
Per il resto la doglianza è sviluppata in relazione all’assoluta diversità ontologica della nuova A.S.A.M. rispetto alla precedente, novità che secondo il ricorrente non potrebbe dar luogo ad una successione a titolo particolare fra i due enti (p. 11 del ricorso).
Tuttavia la Corte di appello non si è pronunciata in senso contrario alla detta prospettazione, non avendo in particolare affermato ne che la nuova A.S.A.M. non fosse diversa dalla precedente, nè che fosse ravvisabile una ipotesi di successione a titolo particolare.
Al contrario il giudice del merito ha individuato la responsabilità della nuova A.S.A.M. per le obbligazioni pregresse della vecchia A.S.A.M., in ragione della sua qualità di successore a titolo universale di quest’ultima, sicchè la censura, per essere correttamente calibrata sulla “ratio decidendi”, avrebbe dovuto essere incentrata sulla detta statuizione.
b) Sul secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, che la Corte di appello ha ritenuto legittima l’acquisizione della convenzione del 1976, sia perchè prodotta dall’Eniacqua Campania in occasione della costituzione nel giudizio di secondo grado, sia perchè allegata alla relazione svolta in sede di accertamento tecnico preventivo, acquisita nel corso del giudizio di primo grado su sollecitazione della A.S.A.M..
La statuizione relativa alla ritualità della produzione della convenzione in oggetto nel giudizio di secondo grado risulta incontestabilmente corretta, considerato che nella specie il giudizio è iniziato il 29 dicembre 1994 con il deposito del ricorso per ingiunzione (p. 3 sentenza impugnata) e che pertanto deve trovare applicazione l’art. 345 c.p.c., nella precedente formulazione (la modifica sul punto apportata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52 è infatti applicabile ai processi iniziati successivamente all’entrata in vigore della legge, intervenuta il 30.4.1995), secondo la quale nel giudizio di appello le parti possono presentare nuovi documenti (comma 2).
La rituale acquisizione della documentazione in questione in tale giudizio assorbe dunque l’ulteriore profilo di irritualità denunciato con riferimento alla valenza probatoria attribuita alla relazione svolta in sede di accertamento tecnico preventivo e alla documentazione ad essa allegata. Quanto poi agli altri profili di censura (l’Eniacqua non avrebbe mai fatto riferimento alla convenzione del 1976, avendo fra l’altro richiamato a sostegno dell’originaria pretesa la Delib. Giunta n. 8016 del 1992 e lo schema di convenzione in tale occasione approvato) occorre precisare, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla sua genericità (e ciò in quanto la Corte di appello aveva disatteso la relativa prospettazione in proposito con statuizione non specificamente censurata ), che dall’esame della sentenza impugnata si evince che il giudizio era iniziato con la richiesta di ingiunzione per morosità da parte dell’Eniacqua, in relazione al mancato pagamento di canoni per fornitura idrica negli anni 1992 – 1993 e che l’intimata A.S.A.M. aveva proposto opposizione contestando i sistemi di rilevazione dei consumi (per la cui verifica finalizzata ad accertarne la regolarità aveva per l’appunto richiesto accertamento tecnico preventivo), e pertanto soltanto la quantificazione del dovuto, senza dunque estendere la contestazione all’esistenza del titolo contrattuale genetico (rapporto di fornitura).
Peraltro, essendo la controversia incentrata sull’esecuzione di un atto (negoziale) la cui validità rappresentava il presupposto per l’accoglimento della domanda di pagamento, esattamente la Corte territoriale ha preso in esame la questione relativa alla validità del titolo posto a fondamento della pretesa creditoria (C. 03/11847, C. 02/11772, C. 96/1157, C. 94/1340, C. 90/6358), facendo riferimento alla documentazione ritualmente acquisita ed esprimendo sul punto un giudizio ( di validità del titolo ) adeguatamente motivato.
La circostanza dunque che Eniacqua non avesse esplicitamente richiamato nelle sue argomentazioni l’esistenza della convenzione in oggetto non vale ad integrare alcuna irregolarità ad opera della Corte di appello, che di essa ha tenuto conto, essendo il relativo esame conseguente alla necessità di verificare l’esistenza della pretesa fatta valere.
Quanto poi all’assunto secondo cui la validità della convenzione del 1976 avrebbe dovuto comportare l’applicazione del canone ivi previsto e non quello determinato successivamente con delibera regionale, la relativa doglianza risulta inammissibile in questa sede, sia perchè appare nuova sia perchè necessariamente implicante valutazioni in fatto non consentite nel giudizio di legittimità.
Per vero l’A.S.A.M. aveva anche lamentato l’assenza di un contratto scritto, che pur sarebbe stato necessario essendo una delle parti ente pubblico. Indipendentemente da ogni considerazione di merito al riguardo osserva tuttavia il Collegio che la doglianza (nullità del contratto per assenza di forma scritta, non essendo stati formalizzati in tal senso i successivi rinnovi) è stata formulata con la dovuta specificità tardivamente, vale a dire soltanto con la memoria ex art. 378 c.p.c., e non può essere pertanto essere oggetto di esame in questa sede.
c) sul quarto motivo, che la quantificazione del dovuto è stata effettuata sulla base delle indicazioni del consulente tecnico e del verbale del 20.7.1998, rappresentativo dell’avvenuta definizione dei consumi idrici con l’abbattimento del 20% (evidentemente in ragione del non perfetto funzionamento dell’impianto).
La motivazione, ancorata a riscontri oggettivi, appare dunque sufficiente, mentre la censura risulta generica poichè la ricorrente non ha indicato quale sarebbe l’entità del debito, quale il diverso parametro per determinarlo, quale l’errore asseritamente compiuto dal consulente tecnico, e quindi dalla Corte in sede di quantificazione del credito. Quanto infine alla riduzione relativa al serbatoio “*****”, la Corte di appello ne ha affermato l’attuazione (pp. 13, 14) e la ricorrente si è limitata a prospettare una differente interpretazione del testo del citato verbale, senza in particolare indicare i canoni ermeneutici che sarebbero stati violati, salvo l’apodittico e generico richiamo all’art. 1362 c.c. (p. 35 ricorso).
Anche il ricorso incidentale, come detto, risulta privo di pregio e in particolare:
1) la questione concernente l’esatta delimitazione della controversia (e cioè se il giudice dovesse solo procedere alla quantificazione del dovuto ovvero decidere anche sull’esistenza o meno del credito) avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione incidentale, sicchè la questione non è proponibile in questa sede;
2) la richiesta di rivalutazione era stata rigettata per la natura del debito (di valuta) e la prospettazione rappresentata nel motivo di doglianza (art. 6 dello schema di convenzione di utenza) risulta nuova. Per di più il relativo esame comporterebbe inammissibili valutazioni in fatto, il detto schema sarebbe quanto meno parzialmente inapplicabile “ratione temporis” essendo stato approvato nel dicembre 1992, secondo la Corte di appello le precedenti convenzioni avrebbero continuato a regolare i rapporti preesistenti (p. 20), e la statuizione non è stata oggetto di censura.
Conclusivamente entrambi i ricorsi devono essere rigettati, circostanza che induce alla compensazione delle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M. Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010