Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.258 del 12/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.C.M. e C.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via Tembien 15, presso l’avv. RASTELLO Nicola, che li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

Ca.Lu., elettivamente domiciliato in Roma, Viale G. Mazzini 113, presso l’Avv. Francesco Romeo, rappresentato e difeso dagli avv. DI PARDO Salvatore e Renato Potente, giusta delega in atti;

– controricorrente –

Curatela dell’eredità giacente di C.L.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 211/05 del 26.7.2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 29.10.2009 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Rastello per i ricorrenti e Potente per Ca.;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 30.7.2003 il Tribunale di Campobasso revocava il decreto ingiuntivo di L. 623.058.190 emesso nei confronti di C.L. su istanza di Ca.Lu., accogliendo la tesi dell’opponente (deceduto nel corso del giudizio, che veniva poi proseguito su istanza dell’eredità giacente avendo gli eredi – che pur con memoria del ***** avevano spiegato intervento adesivo alla curatela – rinunciato all’eredità) secondo la quale la dichiarazione di riconoscimento di debito posta a base dell’intimazione sarebbe stata estorta con pressioni ed intimidazioni. La decisione veniva impugnata dal Ca. e la Corte di Appello accoglieva l’impugnazione rigettando la proposta opposizione.

In particolare la Corte rilevava preliminarmente che, pur non avendo gli interventori specificato quale fosse il loro interesse al giudizio, sul punto si sarebbe formato il giudicato in assenza di tempestive contestazioni al riguardo. Osservava quindi nel merito che l’esposizione debitoria del C. sarebbe risultata da scrittura privata non disconosciuta; che sarebbe stato dunque onere del debitore dare dimostrazione delle intimidazioni subite e dell’insussistenza di una “causa debendi”, – che le pressioni (risultanti peraltro unicamente dalla dichiarazione del C. nel procedimento penale) sarebbero consistite nella minaccia di denuncia per abusi ed irregolarità nella gestione della Salus s.r.l., laddove viceversa all’epoca della sottoscrizione della dichiarazione la denunzia era già intervenuta; che il rilievo del tribunale, secondo il quale l’assenza del rapporto fondamentale sarebbe stato ricavabile anche dalla mancata registrazione in bilancio di utili leciti dell’importo indicato, sarebbe stato inconsistente, attesa l’inattendibilità dei bilanci della “Salus”.

Avverso la decisione D.C.M. e C.G. proponevano ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resisteva con controricorso Ca.Lu..

Entrambe le parti depositavano infine memoria.

Successivamente la controversia veniva decisa all’esito dell’udienza pubblica del 29.10.2009.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione D.C. e C. hanno rispettivamente denunciato:

1) vizio di motivazione in punto legittimazione di essi interventori, sia perchè contrariamente a quanto affermato l’interesse era stato puntualmente indicato, sia per la contraddizione con la successiva affermazione secondo cui sul punto si sarebbe formato il giudicato interno;

2) violazione dell’art. 2909 c.c., art. 105 c.p.c., con riferimento alla negazione finale della legittimazione;

3) vizio di motivazione per l’errato riferimento al contenuto degli atti di causa, ed in particolare: gli interventori non si sarebbero intrattenuti su temi estranei alla lite, C. avrebbe posto in dubbio la natura ricognitiva della dichiarazione, non sarebbero stati valorizzati gli atti del procedimento penale;

4) violazione dell’art. 1324 c.c., sotto il profilo delle pressioni e intimidazioni subite dal C.;

5) violazione dell’art. 2393 c.c., della L. Fall., art. 52, sotto l’aspetto dell’avvenuta negazione della necessità di esperire azioni di recupero nelle forme dovute.

Il ricorso è inammissibile.

Al riguardo va infatti considerato che l’opponente C.L. era deceduto nel corso del giudizio di primo grado; che gli eredi legittimi D.C. e C.G. (rispettivamente moglie e figlio) avevano formalmente rinunciato all’eredità; che il giudizio era stato proseguito dal curatore dell’eredità giacente;

che con successiva memoria i rinunzianti all’eredità si erano costituiti nel giudizio a sostegno delle ragioni della curatela, con intervento volontario correttamente qualificato dalla Corte di appello come adesivo autonomo (p. 4), con giudizio non contestato.

Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, sono legittimati a proporre impugnazione (nel caso in esame il ricorso in oggetto) le parti originarie del giudizio di merito, nonchè i soggetti intervenuti nella precedente fase di merito in via principale ovvero in via adesiva autonoma, con esclusione quindi di quelli che abbiano spiegato intervento adesivo dipendente, salvo che l’impugnazione non sia congiunta con quella della parte adiuvata, ipotesi nella specie insussistente (C. 09/3734, C. 06/7201, C. 03/3343, C. 99/10894).

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna solidale dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali della parte resistente nel giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali sostenute da Ca.

L. nel giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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