Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.26 del 05/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario R. – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI M. Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tacito n. 90, presso lo studio dell’avv. Miuccio Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Francesco Capasso giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliata in Roma, Via Boccherini n. 3, presso lo studio dell’avv. Patricia De Luca, rappresentata e difesa dall’avv. Lamberti-Bocconi Livio giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 520/05 in data 25 gennaio 2005, pubblicata il 24 febbraio 2005;

Udita la relazione del Consigliere dott. Giancarlo Urban;

udito il P.M. in persona del Cons. RUSSO Alberto Libertino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel corso di una procedura esecutiva intentata da C.D. nei confronti di C.G., avanti al Tribunale di Monza, il debitore chiedeva che dal credito complessivo di L. 244.995.525 fosse detratta la somma di L. 217.990.006, dovuta dalla stessa C.D. e quindi che fosse accertato il proprio residuo debito di L. 27.005.519, nonchè di essere ammesso a partecipare alla distribuzione dei ricavato della vendita, essendo comproprietario dell’immobile staggito.

La creditrice procedente chiedeva il rigetto delle domande svolte da C.G., rilevando che, benchè l’opponente avesse formulato una iniziativa giudiziaria qualificata come opposizione all’esecuzione, in realtà le contestazioni proposte riguardavano soltanto un parte del credito azionato, deducendo che comunque si trattava di somme non suscettibili di compensazione in quanto carenti del requisito della liquidità.

Il Tribunale di Monza, con sentenza del 22 aprile 2003 qualificava la domanda di C.G. come domanda di accertamento di un controcredito in prevenzione e accoglieva parzialmente la domanda dello stesso, quantificando l’entità del controcredito in Euro 51.601,50.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 24 febbraio 2005, in parziale accoglimento dell’appello proposto da C.G., liquidava a favore dell’appellante gli interessi al tasso legale con decorrenza dal 2 ottobre 2001. Le altre domande dell’appellante erano dichiarate inammissibili in quanto prive della necessaria specificità.

Propone ricorso per cassazione C.G. con tre motivi.

Resiste con controricorso C.D..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente denuncia con il primo motivo la violazione e la erronea applicazione degli artt. 342 e 346 c.p.c. in relazione alla pronunzia di inammissibilità dei motivi di appello.

Con il secondo motivo, si denuncia la erronea applicazione delle norme che regolano le disposizioni sulla rivalutazione monetaria e interessi.

Con il terzo motivo si denuncia la errata applicazione delle norme riguardanti la condanna alle spese.

Tutti e tre i motivi indicati risultano carenti nella indicazione dei punti di fatto sui quali si fondano le singole censure, venendo meno in tal modo al requisito della autosufficienza del ricorso per cassazione, in base al quale questo deve contenere in se tutti gli elementi necessari a individuare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 13 luglio 2004 n. 12912, Cass. 11 giugno 2004 n. 11133, Cass. 15 aprile 2004 n. 7178, tra le altre; da ultimo, vedi Cass. 24 maggio 2006 n. 12362, Cass. 4 aprile 2006 n. 7825; Cass. 17 luglio 2007 n. 15952). Dal ricorso non risulta, in particolare, quali fossero le argomentazioni prospettate in sede di appello per confutare le ragioni addotte dal giudice di primo grado e che secondo la parte ricorrente sarebbero idonee a superare il profilo di inammissibilità rilevato dalla Corte d’Appello. Quanto alle censure riguardanti la rivalutazione monetaria e la condanna alle spese del giudizio, non sono indicate le norme che si assumono violate e la natura della erronea applicazione.

Il ricorso merita quindi il rigetto; segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1,700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2010

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