LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –
Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –
Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI PORDENONE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FRANCESCO SIACCI 2-B, presso lo studio dell’avvocato DE MARTINI CORRADO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNECHINI EGIDIO, giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
COND *****, in persona dell’Amministratore in carica, elettivamente domiciliato in ROMA VIA M DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato SABBADINI GIANCARLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ATTANASIO MICHELE, giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 23/2004 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE, depositata il 27/05/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 28/09/2009 dal Consigliere Dott. MARIGLIANO Eugenia;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE MARTINI, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l’Avvocato SABBADINI, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rinvio a Nuovo Ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite; in subordine il rigetto del ricorso.
Il condominio ***** proponeva tempestivo ricorso innanzi alla C.T.P. di Pordenone avverso il diniego di rimborso da parte di quel Comune dei canoni di fognatura e depurazione per gli anni dal 1994 al 1998, per complessive L. 15.638.450, deducendo che nulla era dovuto in quanto gli scarichi condominiali non erano collegati con il sistema fognario comunale. Resisteva il Comune contestando quanto ex adverso dedotto ed affermando che per la nascita dell’obbligazione tributaria non era necessario l’effettivo collegamento con la rete fognaria, essendo sufficiente la mera possibilità dell’allacciamento.
La C.T.P. accoglieva il ricorso, condividendo la tesi del condominio e condannando il comune alla restituzione di L. 11.320.970, omettendo di provvedere in ordine all’anno 1998.
Proponeva gravame il Comune deducendo l’erroneità della tesi affermata dalla C.T.P. relativa ai presupposti per l’applicazione del canone. Si costituiva il condominio, chiedendo il rigetto dell’appello ribadendo quanto dedotto in primo grado e precisando che per l’anno 1998 era cessata la materia del contendere, avendo il Comune spontaneamente disposto la restituzione di Euro 2.229,79.) La C.T.R. del Friuli V.G. confermava la decisione di primo grado, affermando che dagli atti risultava che il Comune aveva eseguito la restituzione della somma sia per l’anno 1998 e sostenendo che per la debenza del canone fosse necessario l’effettivo allacciamento al sistema fognario.
Avverso detta decisione propone ricorso per Cassazione il Comune di Pordenone sulla base di quattro motivi. Il condominio ***** resiste con controricorso, contestando quanto ex adverso sostenuto.
Ambedue le parti hanno presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Con il primo motivo il Comune deduce la violazione del giudicato in quanto la C.T.P. non aveva provveduto a decidere in ordine all’anno 1998 e, sul punto, il condominio non aveva proposto impugnazione come avrebbe dovuto, essendo l’omessa pronuncia equiparabile ad un giudicato di rigetto, non potendo essere riproposta identica domanda in altro giudizio ostandovi il termine di decadenza di due anni.
Con la seconda censura si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1236 c.c. nonchè del principio dell’inesistenza del potere della P.A. a rinunciare al credito d’imposta e, premesso che il Comune aveva impugnato la decisione in ordine a tutte le annualità compreso il 1998, sostiene che la C.T.R. non avrebbe dovuto ritenere che la restituzione eseguita costituisse cessazione della materia del contendere, non sussistendo alcuna espressa rinuncia al credito d’imposta, e, qualora avesse ipotizzato che l’omessa pronuncia non equivalesse ad un rigetto, avrebbe dovuto motivare nel respingere i motivi di appello del Comune in ordine anche al 1998.
Con il terzo motivo, premesso un dettagliato escursus sulle vicende normative relative alla disciplina delle acque reflue, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 36 del 1994, con particolare riferimento all’art. 14 e violazione della L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 per non avere la C.T.R. esaminato e motivato il rigetto dei motivi di appello con i quali si era sostanzialmente dedotto l’obbligatorietà del canone per il servizio di fognatura e depurazione, comunque dovuto, vi non potendo essere rimesso all’arbitrio del cittadino l’allacciarsi o meno al sistema fognario con conseguente esenzione dai pagamento e la possibilità di pericoli igienico sanitari e di salute pubblica connessi al mancato allacciamento. La C.T.R., infatti, anzichè, cercare la norma da applicare al caso concreto (L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 come integrati dal L. n. 36 del 1994, art. 14), aveva deciso sulla considerazione che il presupposto impositivo fosse unicamente l’effettivo collegamento alla rete fognaria con la fruizione del servizio.
Con l’ultima censura si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 36 del 1994, con particolare riferimento all’art. 14 e violazione della L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 e violazione dell’art. 2727 c.c. e segg. nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. affermato in contrapposizione con la diversa tesi del Comune che fosse necessario per la debenza del canone l’effettivo allacciamento e negando che nella specie l’Ente avesse fornito la prova dell’esistenza in loco della rete fognaria all’epoca dei fatti, ignorando il materiale probatorio prodotto dal quale avrebbe potuto rilevare, anche su base presuntiva, l’esistenza del sistema fognario.
Nel proprio controricorso il contribuente ha dedotto che la disciplina normativa applicabile nei periodo di riferimento (anni 1997 e 1998) è quella dettata dalla L. n. 319 del 1976, la quale, negli artt. 16 e 17, indica come presupposto necessario per il sorgere dell’obbligo di pagamento del canone di fognatura l’allacciamento dell’utente alla rete fognaria; il Condominio precisa, altresì, che il tributo per cui è causa ha natura di tassa, la cui corresponsione è legata all’erogazione della prestazione da parte dell’ente pubblico. Nella successiva memoria, ex art. 378 c.p.c., il Condominio rappresenta che la L. n. 36 del 1994, art. 14, invocato dalla controparte, è stato dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008 proprio laddove prevedeva l’obbligo di pagare la quota di canone relativa alla depurazione “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi “, evincendo da tale pronuncia la conferma, anche con riferimento alla normativa successiva, del principio secondo cui i pagamento del canone di fognatura e di depurazione resta condizionato all’esistenza del rimpianto centralizzato ed all’allacciamento ad esso della singola utenza.
Il primo motivo è infondato.
Dagli esami degli atti, permesso a questa Corte trattandosi di denuncia di vizio in procedendo, si evince che il Condominio aveva richiesto il rimborso dei canoni pagati per il servizio di fognatura e depurazione per gli anni dal 1994 al 1998 ed il Comune con comparsa di costituzione, oltre ad opporsi nel merito, aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso per gli anni 1994 a 1997 per intervenuta decadenza e per l’annualità 1998 l’inammissibilità per totale mancanza dell’atto impugnabile; conseguentemente la C.T.P. non aveva emesso alcuna statuizione in ordine all’anno 1998, ma si era pronunciata disponendo il rimborso solo per le prime quattro annualità.
Tale pronuncia era stata impugnata innanzi alla C.T.R. dal Comune che aveva insistito sulla propria eccezione di inammissibilità del ricorso in ordine all’anno 1998; nella comparsa di costituzione e risposta, il condominio, oltre a resistere al gravame comunicava che per l’anno 1998 era cessata la materia del contendere per avere il Ente locale restituito spontaneamente il canone pagato nelle more del giudizio. Tutto ciò premesso, è chiaro che sull’annualità in discussione non si è tonnato alcun giudicato, in quanto l’omessa pronuncia in merito era stata rilevata dall’appellante Comune che aveva insistito sulla domanda d’inammissibilità, già avanzata in primo grado.
Il secondo motivo è, invece, fondato.
E’, infatti, principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui: “L’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (cui rinvia il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49), è configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame (giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), e consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita. In quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione” (cfr., Cass. civ. sentt. nn. 8453 del 1998 e 6050 del 2002).
La restituzione, quindi, da parte dell’ente pubblico di tributi al cui rimborso sia stato condannato con sentenza di condanna non costituisce un fatto per sè incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto d’impugnazione.
Conseguentemente la C.T.R. non avrebbe dovuto interpretare il semplice rimborso come un’espressione di volontà di rinuncia alla riscossione del tributo, non potendo la semplice restituzione della somma percepita, peraltro, in presenza di una sentenza di condanna, costituire una manifestazione di volontà inequivocabile di accettazione della decisione del giudice tributario.
Gli ultimi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono fondati nei limiti che si preciseranno.
Al riguardo merita sottolineare che punto nodale ed in larga misura decisivo ai fini della risoluzione delle questioni controverse è costituito dalla individuazione della disciplina applicabile, ratione temporis, in relazione alle annualità in discussione (1997 e 1998), tema che, oltre ad essere rilevante in sè, risulta affrontato e risolto dalle parti in modo discordante; il Comune ricorrente propone, infatti, una lettura della normativa favorevole ad una applicazione congiunta della L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 e della L. n. 36 del 1994, art. 14, mentre il contribuente è sostanzialmente fermo nel ritenere che la fattispecie resti regolata dalla L. n. 319 del 1976.
Appare pertanto necessaria una breve ma attenta disanima del quadro normativo di riferimento, che invero risulta inciso da una successione di interventi legislativi di non sempre agevole interpretazione e collocazione sistematica.
Sul tema si osserva quanto segue:
– la L. 10 maggio 1976, n. 319, stabilì che per i servizi relativi alla raccolta l’allontanamento e lo scarico delle acque di rifiuto provenienti da superfici ed edifici privati e pubblici è dovuto il pagamento di un canone o diritto secondo apposita tariffa, formata dalla somma di due parti, corrispondenti rispettivamente al servizio di fognatura ed a quello di depurazione (art. 16, commi 1 e 2) e che “La parte relativa al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti del servizio di fognatura quando nel comune sia in funzione l'”impianto di depurazione centralizzato anche se lo stesso non provveda alla depurazione di tutte le acque provenienti da insediamenti civili” (art. 17, comma 3);
– il D.L. 28 febbraio 1981, n. 38, art. 3 convertito dalla L. 23 aprile 1981, n. 153, aggiungendo l’art. 17 ter alla L. n. 319 del 1976, stabilì che l’accertamento del canone in questione doveva essere effettuato in base alle disposizioni del testo unico della finanza locale (R.D. 14 settembre 1931, n. 1175) e la sua riscossione secondo le disposizioni del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, in tema di entrate patrimoniali dello Stato, mentre per il relativo contenzioso dichiarò applicabili le norme di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, art. 20;
la L. 5 gennaio 1994, n. 36, introdusse il servizio idrico integrato – comprensivo, oltre che della raccolta e depurazione, anche della fornitura delle acque (art. 4, comma 1, lett. f) – qualificando la tariffa come corrispettivo del servizio (art. 13), pur stabilendo che “La quota di tariffa riferita al servizio di fognatura e depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi” (art. 14, comma 1); l’art. 32 abrogò, quindi, l’art. 17 ter L. n. 319 del 1976, introdotto, come si è detto, dal D.L. n. 38 del 1981;
il D.L. 17 marzo 1995, n. 79, convertito con modificazioni dalla L. 17 maggio 1995, n. 172, aggiunse un u.c. alla L. n. 319 del 1976, art. 17 che, ristabilendo di fatto il contenuto dell’art. 17 ter citato, disponeva che “Fino all’entrata in vigore della tariffa fissata dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 13 e segg.” dovevano applicarsi per l’accertamento del canone le disposizioni del testo unico della finanza locale e per la sua riscossione il D.P.R. n. 28 gennaio 1988, n. 43, artt. 68 e 69 previa notifica dell’avviso di accertamento o di liquidazione, mentre per il contenzioso continuavano ad applicarsi le disposizioni del D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 638, art. 20 (art. 2, comma 3 bis);
la L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 28 stabilì che “A decorrere dal l gennaio 1999 il corrispettivo dei servizi di depurazione e di fognatura costituisce quota di tariffa ai sensi della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 16 e segg.” ed abrogò, di conseguenza, la L. n. 319 del 1976, art. 16 e segg. introdotto dal D.L. n. 79 del 1995;
– il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, modificando l’indicazione temporale della disposizione della L. n. 448 del 1999 sopra citata, dispose a sua volta che “L’abrogazione degli artt. 16 e 17 della L. 10 maggio 1976, n. 319,… ha effetto dall’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui alla L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 13 e segg.”, precisando altresì che il canone o diritto di cui alla L. n. 319 del 1976, art. 16 continua ad applicarsi in relazione ai presupposti di imposizione verificatisi anteriormente all’abrogazione del tributo ad opera della presente legge, con conseguente applicazione delle disposizioni relative ad esso per quanto concerne le fasi dell’accertamento e della riscossione (art. 62, commi 5 e 6);
il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 24, comma 1, lett. a), infine, dispose la soppressione del D.Lgs. n. 152 del 1999, commi 5 e 6 rendendo in tal modo immediatamente efficace, a partire dalla sua entrata in vigore (3 ottobre 2000, essendo stato il provvedimento pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 18.9.2000) quanto previsto dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, comma 28.
Alla luce di questa ricostruzione della normativa, si può ritenere che la disciplina applicabile nel caso concreto debba essere individuata nelle disposizioni della L. n. 319 del 1976, in particolare negli artt. 16 e 17, e non nella successiva L. n. 36 del 1994. Ciò in quanto, come si è sopra visto, i diversi interventi legislativi che si sono succeduti a tale ultimo testo normativo hanno prorogato l’applicazione della precedente L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 al 31 dicembre 1998 (L. n. 448 del 1999, art. 31, comma 28), termine successivamente esteso dal D.Lgs. n. 152 del 1999 al momento dell’entrata in vigore del sistema idrico integrato di cui alla L. n. 36 del 1994; soltanto con la soppressione di tale ultima disposizione ad opera del D.Lgs. n. 258 del 2000 e, quindi, dalla sua entrata in vigore (3 ottobre 2000) può pertanto dirsi che le disposizioni in materia di cui alla L. n. 319 del 1976 hanno cessato efficacia, essendo state definitivamente soppiantate dalla L. n. 36 del 1994, art. 13 e segg..
Questa conclusione è del tutto in linea con l’orientamento più volte espresso da questa Corte in materia di giurisdizione sulle controversie relative agli importi richiesti per il servizio di fognatura e di depurazione, che ha affermato il principio secondo cui la domanda avente ad oggetto la non debenza di queste somme rientra nella competenza del giudice tributario se riferita ad un periodo anteriore al 3 ottobre 2000, data di entrata in vigore del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 24 atteso che, prima di essa, trova applicazione la disciplina precedente alla L. n. 36 del 1994, che attribuiva al predetto canone natura di tributo comunale, avendo la predetta disposizione di cui all’art. 24, abrogando il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, commi 5 e 6 eliminato per il futuro il transitorio differimento dell’inizio di efficacia della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 28 che ha qualificato il corrispettivo di detto servizio come quota di tariffa ai sensi della L. n. 36 del 1994 (Cass. S.U. n. 6418 del 2005; Cass. S.U. n. 19388 del 2003; Cass. S.U. n. 19390 del 2003; Cass. S. U. n. 11188 del 2003; Cass. S.U. n. 16157 del 2002; Cass. S.U. n. 11631 del 2002).
Nè può essere condivisa la posizione dell’Amministrazione ricorrente che suggerisce una contemporanea applicazione della L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 e della L. n. 36 del 1994, art. 14, denunziandone la contestuale violazione da parte del giudice a quo.
Al di là, invero, di quanto è stato finora osservato, in ordine alla vigenza temporale di queste due leggi, appare sufficiente un semplice confronto tra il contenuto di queste disposizioni per convincersi della loro sostanziale inconciliabilità e quindi della impraticabilità della soluzione avanzata dal Comune. La conclusione secondo cui la L. n. 36 del 1994, art. 14, per le ragioni sopra illustrate, non trovi applicazione per il periodo anteriore al 3 ottobre 2000, risulta del resto confermata con la massima chiarezza dall’ordinanza n. 55 del 10. 2. 2006 della Corte costituzionale, secondo cui “la disciplina dei canoni di depurazione delle acque versati nel periodo precedente al 3 ottobre 2000 – oggetto dei giudizi a quibus – rientra non nell’ambito temporale di applicazione del denunziato L. n. 36 del 1994, art. 14, comma 1 bensì in quello della L. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 16 e 17”. In questa direzione merita richiamo anche la recente sentenza delle S.U. di questa Corte n. 21887 del 15.10.2009, che, nel pronunciarsi su una questione di giurisdizione in ordine ad una pretesa risalente al periodo precedente al 3 ottobre 2000, ha dichiarato ininfluente sulla propria decisione la sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008, che ha dichiarato parzialmente illegittimo la L. n. 36 del 1994, art. 14 sul presupposto – implicito – della non applicabilità, ratione temporis, di tale disposizione nel caso concreto.
La ricostruzione della normativa in materia permette, pertanto, di poter concludere sul punto nel senso che nel caso concreto, in cui si discute della debenza dei canoni di fognatura e di depurazione per le annualità 1997 e 1998, trovano applicazione la L. n. 319 del 1976, art. 16 e segg. in particolare l’art. 17, comma 3, sopra richiamato, che in relazione alla parte del canone relativa al servizio di depurazione dichiara lo stesso dovuto quando nel comune sia in funzione l’impianto di depurazione centralizzato, anche se lo stesso non provveda alla depurazione di tutte le acque provenienti dagli insediamenti civili.
Con riferimento all’applicazione di questa disciplina, l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dal quale non si ravvisano nè risultano dedotte valide ragioni per discostarsi, è stato costantemente nel senso che dalla già rilevata natura tributaria del relativo canone discende necessariamente l’obbligatorietà del suo pagamento, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione del servizio, trattandosi di servizio pubblico irrinunciabile, che gli enti gestori sono tenuti ad istituire per legge, ed alla cui gestione i potenziali utenti sono chiamati a contribuire mediante il versamento di un canone, anche se non ne abbiano usufruito in concreto, per avere affidato a terzi lo smaltimento delle acque reflue; con l’importante precisazione tuttavia che, in ragione della disciplina positiva, l’obbligo sorge soltanto per effetto dell’istituzione del servizio e dell’allaccio alla rete fognaria ed è perciò condizionato all’esistenza dell’impianto centralizzato ed all’allacciamento fognario (Cass. S.U. n. 96 del 2005; Cass. n. 11481 del 2003; Cass. n. 9434 del 1994; Cass. n. 2800 del 1992).
Ciò posto, si osserva che, come risulta dalla lettura della stessa sentenza impugnata e dal ricorso, nel giudizio di merito il Comune ricorrente aveva dedotto che nel caso di specie era stata realizzata la rete fognaria nella pubblica via adiacente l’edificio del contribuente, ma che l’allacciamento non era avvenuto a causa del rifiuto di quest’ultimo; ne concludeva che, stante l’utilizzabilità in concreto del servizio, il canone fosse comunque dovuto, aggiungendo che non può essere lasciata alla scelta del privato nè la predisposizione nè la funzionalità di un servizio volto a soddisfare interessi generali. A fronte di tali considerazioni e circostanze di fatto la Commissione regionale si è limitata, invece, ad affermare che la debenza del canone presuppone l’utilizzazione reale ed effettiva del servizio e che, attesa la sua mancanza, il ricorrente andava assolto dalla pretesa del Comune, aggiungendo che l’ente locale non aveva dato prova dell’esistenza della rete fognaria, circostanza, questa contestata dal Comune.
La decisione del giudice di appello, così argomentata, non può essere condivisa, sia per il difetto di motivazione in cui incorre, che per l’evidente violazione della L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17. Ciò in quanto, alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata, la natura tributaria del canone in questione impone di apprezzare il dato relativo alla sua correlazione al servizio nell’ambito della mera utilizzabilità dello stesso, non occorrendo anche la sua effettiva e materiale utilizzazione da parte del destinatario. In altre parole, la stessa disciplina positiva posta dalla L. n. 319 del 1976, artt. 16 e 17 porta ad individuare il presupposto impositivo in un facere dell’Amministrazione comunale, in un’attività pertanto che, una volta adempiuta, appare svincolata dalla volontà e quindi dalla possibile collaborazione del privato, che, come in altri settori, è libero di poter usufruire o meno del servizio. Il giudice di merito avrebbe pertanto dovuto accertare, cosa che non ha fatto, limitandosi ad asseverare quanto dedotto nella sentenza di primo grado, se effettivamente l’Amministrazione comunale aveva istituito e predisposto il servizio e se quindi il fatto acclarato della sua mancata utilizzazione da parte del ricorrente dipendeva esclusivamente da una scelta di quest’ultimo, traendo da tali circostanze le conseguenze giuridiche appropriate in applicazione della normativa in materia. La mancanza di tale accertamento in fatto, impedisce del resto a questa Corte di provvedere essa stessa alla decisione del merito della causa.
Il ricorso del Comune, pertanto, va accolto nei limiti sopra enunciati e la sentenza impugnata è cassata, con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, la quale, previo accertamento della effettiva istituzione da parte del Comune di Pordenone dell’impianto centralizzato e della rete di fognatura, applicherà il seguente principio di diritto: “il canone di fognatura e di depurazione delle acque previsto e disciplinato dalla L. n. 319 del 1976, art. 16 e segg. – applicabile nella fattispecie – richiede, ai fini del sorgere dell’obbligo del suo pagamento, che il Comune abbia istituito e predisposto gli impianti necessari per il relativo servizio e che, perciò, esso sia concretamente fruibile dall’utente, a prescindere dalla sua utilizzazione o meno per fatto del destinatario medesimo.” La Commissione regionale, quale giudice di rinvio, provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
PQM
LA CORTE Accoglie il ricorso nei limiti in cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 28 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010