Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.270 del 12/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18022/2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

S.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 26/2004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di L’AQUILA, depositata il 19/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 11/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Teramo S.F. impugnava l’avviso di accertamento del reddito, relativo a maggiorazione dell’imposta Irpef per l’anno 1996, fatto notificare dall’agenzia delle entrate, ufficio di Atri, e con il quale l’amministrazione comunicava di avere accertato, mediante un verbale di constatazione della Guardia di finanza nei riguardi della società di fatto “Centro Contabile di Scaricamazza Romolo & C”, della quale egli era socio di fatto assieme al cugino S. R., dei proventi complessivi di importo superiore per l’anno in contestazione, sulla scorta di dichiarazioni di vari testimoni e delle stesse ammissioni dei diretti interessati, che avevano espressamente dichiarato di gestire una gioielleria e il centro contabile in regime di società di fatto, impropriamente indicata come impresa familiare. Il ricorrente faceva presente che i presupposti della pretesa tributaria sarebbero stati carenti relativamente alla dedotta fatturazione per operazioni inesistenti;

quindi chiedeva l’annullamento dell’atto impositivo.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva l’infondatezza dell’opposizione, e perciò ne chiedeva il rigetto.

Il giudice adito, in accoglimento del ricorso, annullava l’avviso di accertamento con sentenza n. 406 del 2002.

Avverso tale decisione l’agenzia delle entrate, ufficio di Teramo, proponeva appello, cui S. resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, la quale, con sentenza n. 26 del 2004, ha rigettato l’impugnazione, osservando che il giudice di prime cure ben poteva respingere la pretesa dell’amministrazione sulla scorta della sentenza con cui in pari data aveva accolto il ricorso in opposizione della società di fatto ai fini dell’Ilor. Quanto al merito ha rilevato che le prove relative alla esistenza della società irregolare erano piuttosto vaghe.

Contro questa sentenza il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

S.F. non si è costituito.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il ricorso del Ministero è inammissibile, in quanto esso non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il rapporto processuale si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

1) In ordine poi alla posizione dell’altra ricorrente, e cioè l’agenzia delle entrate, col secondo motivo, che va esaminato prima, stante il suo carattere preliminare, essa deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 230 bis, 2247, e 2733 e 2735 c.c., nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto i giudici di merito non hanno considerato che sia F. che S.R., come pure i testimoni escussi avevano dichiarato che si trattava di impresa familiare, tanto che persino l’intimato nel ricorso introduttivo aveva insistito nella tesi di “impresa familiare, e precisamente a pagina 6. Che poi le pari o altri abbiano potuto usare delle locuzioni tecnicamente improprie, ciò non rileva ai fini della qualificazione giuridica del fatto, e perciò non può ritenersi che si tratti di quadro probatorio generico, bensì ci si trova in presenza di un dato fattuale indicante una società irregolare, per cui in definitiva si configura un’ipotesi di confessione stragiudiziale, come peraltro era stato specificato con l’appello.

Il motivo è fondato.

Invero il giudice del gravame non ha considerato che l’appellante aveva indicato i vari elementi in virtù dei quali emergeva che l’attività di gestione del Centro contabile e della gioielleria svolta in comune dai cugini S. costituiva un’impresa a carattere societario irregolare, e pertanto dovevano ritenersi sussistere i presupposti dell’accertamento.

Infatti, a prescindere dalle espressioni usate dagli interessati, e cioè se si trattasse di impresa familiare o di carattere diverso, doveva essere proprio il giudice a qualificare il tipo di impresa che si configurava nell’ipotesi in esame, e che non era di carattere familiare, perchè gli interessati non erano parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo, ma cugini, e quindi si trattava di una società di fatto. Come anche specificato nell’atto di appello l’agenzia aveva indicato che proprio S.R. aveva dichiarato che il cugino era socio di fatto il *****, e solo successivamente gli interessati avevano riferito il ***** di avere costituito un’impresa di fatto (V. pag. 10 appello).

Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente e logicamente corretto.

2) Col primo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., oltre che insufficiente motivazione, giacchè la CTR non ha considerato che con l’appello era stata dedotta la mancanza di motivazione della sentenza della CTP, che faceva solo riferimento a quella pronunciata nella stessa udienza nei confronti della società di fatto “Centro Contabile di Scaricamazza Romolo & C.”, senza che fossero state espresse le ragioni per le quali la pretesa dell’amministrazione fosse stata disattesa, se non soltanto attraverso un semplice richiamo di essa.

La censura è assorbita da quanto enunciato relativamente al motivo teste esaminato, posto che sostanzialmente il giudice del gravame ha delibato la causa nel merito.

Ne deriva che il ricorso dell’amministrazione va accolto, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, altra sezione, che si uniformerà al suindicato principio di diritto.

Quanto alle spese di questa fase, non va emessa alcuna statuizione per quelle inerenti al rapporto tra il Ministero e l’intimato, mentre le altre saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie quello dell’agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, altra sezione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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