Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.277 del 12/01/2010

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. MARINUCCI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, e dall’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati ope legis;

– ricorrenti –

contro

FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI FORLI’, *****, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, avv. D.P., rappresentata e difesa dall’avv. GIONTELLA Marco, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via XX Settembre n. 1, giusta procura speciale autenticata dal Notaio Giorgio Papi di Forlì, rep. Not. n. 34594, in data 17 ottobre 2002;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 180/1/01 pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Bologna, Sez. 1, l’8 giugno 2001, depositata il 20 luglio 2001 e non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2009 dal Relatore Cons. Dott. MARINUCCI Giuseppe;

udito, per la ricorrente Amministrazione, l’Avv. Arena che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la resistente Fondazione, l’Avv. Giontella che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì, nel presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno 1993, chiedeva un rimborso di L. 843.750.000, avendo ritenuto applicabile, nei propri confronti, l’agevolazione dell’aliquota ridotta dell’IRPEG, ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6.

L’Ufficio Distrettuale delle II.DD. di Forlì, in data 16 settembre 1997, notificava un avviso di accertamento con cui negava il rimborso richiesto, non ritenendo che la Fondazione contribuente potesse rientrare tra i soggetti aventi diritto all’agevolazione in questione.

Avverso tale rifiuto, la Fondazione proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Forlì che, con la sentenza 57/06/98, lo respingeva.

Avverso tale decisione, la Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Bologna che, con la sentenza n. 180/1/01, pronunciata l’8 giugno 2001 e depositata il 20 luglio 2001, lo accoglieva, affermando il diritto dell’appellante ad usufruire dell’agevolazione richiesta.

Avverso tale sentenza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso per Cassazione sorretto da un motivo.

La Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì resisteva con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale non è stato parte nel giudizio di appello, instaurato con ricorso della sola Agenzia delle Entrate (nella sua articolazione periferica) dopo l’11 gennaio 2001, con conseguente implicita estromissione dell’Ufficio periferico del Ministero (ex plurimis, Cass. S.U. n. 3116/06; Cass. 24245/04).

Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio dal momento che il ricorso del Ministero non ha influito in maniera apprezzabile sulla difesa del contribuente.

Con il primo ed unico motivo del ricorso, l’Amministrazione ha lamentato “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 e dell’art. 14 disp. gen.; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12; omessa motivazione su punto decisivo prospettato dalle parti; in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art.62 e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

A parere dell’odierna ricorrente, la riconduzione della Fondazione fra i soggetti considerati nel citato art. 6, comma 1, si deve ritenere erronea.

Dalla formulazione letterale della disposizione di cui sopra, la mancanza di un fine di lucro dovrebbe intendersi come riferita agli istituti di istruzione, di studio e di sperimentazione e non anche alle fondazioni che, insieme a corpi scientifici, accademie e associazioni, sarebbero state individuate dalla legge attraverso la comune caratteristica degli scopi esclusivamente culturali, perseguiti da detti soggetti.

Tale notazione non sarebbe di poca importanza, atteso che quello dell’esclusività degli scopi culturali sarebbe un concetto che comprenderebbe l’assenza di un fine di lucro ma non coinciderebbe con questa, per connotarsi di un significato e di una valenza ulteriori e specifici, legati al settore culturale a cui la norma avrebbe inteso circoscrivere gli scopi dei considerati corpi, accademie e fondazioni.

Pertanto, il giudice tributario avrebbe operato un’inesatta riduzione dei fini agevolativi a quelli non lucrativi in genere, ricorrendo ad una sorta di interpretazione estensiva attraverso cui la sentenza impugnata avrebbe finito, del tutto arbitrariamente, per trascurare i requisiti specifici, ovvero l’esclusività degli scopi culturali.

Inoltre, nella sentenza impugnata sarebbe erroneamente rimasto quasi irrilevante che alla Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì competerebbe di amministrare la partecipazione posseduta nella conferita società bancaria e come tale attività di amministrazione sarebbe poi statutariamente accostata e, nello stesso tempo, tenuta distinta, dal compimento di ogni operazione finanziaria, commerciale, mobiliare ed immobiliare consentita per il conseguimento degli scopi istituzionali.

Il che autorizzerebbe l’odierna ricorrente ad affermare che all’amministrazione della partecipazione azionaria nella società bancaria debba guardarsi come ad un’attività non già consentita, nei limiti della sua strumentalità, agli scopi istituzionali, bensì necessaria o propria della Fondazione.

La Terza Sezione del Consiglio di Stato (n. 103/1995) avrebbe esplicitamente escluso che le fondazioni potessero identificarsi agli istituti di istruzione o di studio e, sebbene, tra le attività prevedibili nel loro statuto, ci sia l’attività di assistenza, il Consiglio avrebbe anche ritenuto che agli enti in questione non potesse nemmeno essere concesso un inquadramento tra gli enti di assistenza, in considerazione del carattere residuale e, comunque, eventuale ed accessorio, che tale attività rivestirebbe rispetto all’attività principale, identificata nella gestione della partecipazione nel capitale conferito. Da ultimo, il D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, comma 2 avrebbe previsto espressamente che alle fondazioni bancarie venisse applicato, in via generale, l’agevolazione fiscale disciplinata dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6. La necessità, sentita dal legislatore di adottare, nel 1999, una specifica, inequivoca norma per dare una chiara soluzione alla questione, costituirebbe elemento decisivo ed ineluttabile per affermare che in precedenza il beneficio de quo non sarebbe stato riconosciuto, dall’ordinamento vigente, agli enti conferenti di società bancarie: in caso contrario, si sarebbe dovuta attribuire alla modifica legislativa considerata un carattere di inutilità, inconciliabile con i principi della certezza del diritto e del carattere cogente della normativa vigente. Pertanto, in assenza di una esplicita previsione, adottata solo successivamente dal legislatore, a parere della scrivente Amministrazione, sarebbe insostenibile affermare che, all’epoca dei fatti per cui è causa, alle Fondazioni bancarie potesse competere l’agevolazione fiscale di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6.

Sulla base della legislazione e della vigente qualificazione dell’attività commerciale, come esposta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 dovrebbe ritenersi che l’attività degli enti conferenti di gestione delle partecipazioni del capitale sociale dei soggetti conferitari, avesse natura commerciale, che, in quanto tale, avrebbe impedito l’identificazione degli enti conferenti in una delle categorie di soggetti previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6.

Da ultimo, in ordine alla presunta natura interpretativa attribuita dal giudice tributario regionale al D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 dovrebbe, in primo luogo, censurarsi l’assoluta apoditticità della statuizione e, quindi, il difetto assoluto di motivazione sul punto o, quanto meno, un’evidente insufficienza della stessa a chiarire la relativa ratio decidendi.

Peraltro, tale statuizione sarebbe anche erronea in diritto, dal momento che non sarebbe possibile riscontrare nessun elemento, atto ad indurre a ritenere la volontà del legislatore di chiarire il senso di una disposizione legislativa, precedentemente vigente, indicandone ed imponendone una possibile variante interpretativa; al contrario, sarebbe assolutamente evidente il carattere innovativo della norma in rassegna.

Il ricorso è manifestamente fondato.

E’ ormai giurisprudenza consolidata di questa Corte, dalla quale non vi è motivo qui per discostarsi, che gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale, ai sensi della L. n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12 a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 “bis” (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica), ai fini della esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale, aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG; la predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, nè in via estensiva, poichè la sua “ratio” va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette norme. La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 87, comma 1, lett. c), non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti. Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e, dall’altro, la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 c.c., di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni (Cass. S.U. 1576/09; Cass. S.U. 1593/09).

Alla luce dei principi giurisprudenziali, ut supra, condivisi in questa sede, nella fattispecie, ricorrono i presupposti per l’accoglimento del ricorso.

Consegue l’accoglimento del ricorso con la Cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio, anche per le spese, ad altra Sezione della C.T.R. Emilia Romagna, per le altre eventuali questioni pendenti.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della C.T.R. Emilia Romagna.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Compensa le spese relative.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 17 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472