Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.28 del 05/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14532-2005 proposto da:

CREDIFARMA SPA ***** quale mandataria della Dott.ssa R.

M.V. nella sua qualità di titolare dell’omonima farmacia, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. MARCELLO PISTOIESE 73, presso lo studio dell’avvocato FIECCHI PAOLA, rappresentata e difesa dall’avvocato MACCIOTTA GIUSEPPE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA DISCIOLTA AUSL/***** DI MESSINA in persona del Direttore Generale pro tempore dell’Azienda Unità Sanitaria Locale n. ***** di MESSINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difesa per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 134/2003 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, emessa il 15/12/2003, depositata il 16/04/2004, R.G.N. 103/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo (e la inammissibilità del 2^ motivo) di ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Con sentenza del 16 aprile 2004 la Corte d’Appello di Messina – investita dell’appello proposto dalla Credifarma s.p.a., quale procuratrice speciale della farmacista R.M.V., avverso la sentenza dell’ottobre 2001 con cui il Tribunale di Messina, decidendo sull’opposizione proposta dall’U.S.L. n. ***** di Messina avverso il decreto ingiuntivo dell’11/27 febbraio 1992 del Presidente del Tribunale di Messina, ottenuto dalla Credifarma nella detta qualità per una somma dovuta in parte a titolo di rimborso del prezzo dei medicinali forniti agli assistiti dal S.S.N. nel periodo dal giugno al novembre 1991 ed in parte a titolo di maggior danno per il ritardato pagamento, aveva dichiarato improponibile la domanda fatta valere con il ricorso monitorio – ha, in riforma della sentenza di prime cure (e nella costituzione dell’Azienda Unità sanitaria Locale n. ***** di Messina, in persona del suo Direttore generale quale Commissario liquidatore della disciolta U.S.L., n. ***** di Messina), rigettato l’opposizione al decreto per la somma capitale e – per quanto ancora in questa sede interessa – l’ha accolta, revocando il decreto in parte qua, quanto alla somma relativa al maggior danno.

La sentenza ha fondato quest’ultima statuizione sul rilievo che il credito per il maggior danno era illiquido, riguardano una pretesa risarcitoria, e come tale non poteva formare oggetto di ricorso per decreto ingiuntivo, mentre, ai fini della cognizione ordinaria non era possibile considerare la relativa pretesa, perchè la Credifarma, nel costituirsi in giudizio a seguito dell’opposizione al decreto, si era limitata a chiederne il rigetto, “omettendo di formulare ritualmente – anche solo in subordine – la domanda di risarcimento” ed aveva invece proposto tale domanda “per la prima volta con l’atto di appello, quando però essa era ormai preclusa, per la sua novità, dall’art. 345 c.p.c.”.

p.2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi la Credifarma nella detta qualità.

Ha resistito con controricorso l’Azienda Unità Sanitaria Locale n. ***** di Messina, in persona del Direttore Generale pro tempore, quale commissario liquidatore della gestione Liquidatoria della disciolta U.S.L. ***** di Messina.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, nonchè “omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Vi si censura la decisione impugnata nella parte relativa alla motivazione adottata quanto alla domanda concernente il credito per il maggior danno.

Dopo aver rilevato che nel ricorso per decreto ingiuntivo erano stati chiesti gli interessi ed il maggior danno ex art. 1224 c.c., si assume che “la domanda di risarcimento era stata comunque riportata sia nella comparsa di costituzione sia nella comparsa conclusionale del processo di primo grado”, si rileva che l’opposto nel giudizio di cognizione ordinaria che si instaura a seguito dell’opposizione non può proporre domande nuove, che, dunque, la sua domanda deve necessariamente individuarsi “in relazione alle richieste formulate con il ricorso per ingiunzione”, che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte sottolineato che l’opposizione a decreto ingiuntivo da luogo ad un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione, che l’atto di opposizione è equiparabile ad una comparsa di riposta che si correla alla domanda proposta con il ricorso ingiuntivo ed in fine che la stessa richiesta di rigetto dell’opposizione comportava automaticamente “la richiesta di conferma della statuizione di cui al decreto ingiuntivo e, pertanto, anche la condanna al pagamento del maggior danno”.

Con il secondo motivo si denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1224 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 “, nonchè “omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Vi si censura espressamente “il capo della sentenza che non ha riconosciuto il diritto della stessa Credifarma S.p.A. al risarcimento del maggior danno” e la relativa illustrazione si articola con argomenti a sostegno della sussistenza dei presupposti per riconoscersi il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c. e per il suo ragguaglio “al costo sostenuto dal farmacista mandante al fine di ottenere dalla società ricorrente, mandataria all’incasso e rappresentante processuale, l’anticipazione degli importi capitale non puntualmente erogati dalle Aziende Sanitarie Locali”.

p.2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Allorquando con il ricorso per decreto ingiuntivo viene chiesto il riconoscimento di un credito in difetto delle condizioni speciali di ammissibilità della tutela monitoria e venga successivamente proposta l’opposizione da parte dell’ingiunto con la deduzione, fra l’altro dell’emissione del decreto nonostante quel difetto (per tutto o parte del credito), nel giudizio a cognizione piena che viene introdotto formalmente con l’opposizione, la domanda giudiziale oggetto della cognizione del giudice dell’opposizione, a parte l’eventualità che lo stesso opponente introduca a sua volta in via riconvenzionale domande ed a parte l’eventualità – sui cui limiti non è qui necessario soffermarsi – che a sua volta ne introduca lo stesso opposto, è individuata automaticamente in quanto è stato richiesto, sia pure parzialmente o totalmente con il ricorso per decreto ingiuntivo, atteso che l’opposizione determina l’insorgenza del dovere di provvedere con le regole della cognizione piena su quanto è stato richiesto con il decreto ingiuntivo e nel relativo giudizio l’opposto è attore in senso sostanziale e l’opponente è convenuto in senso sostanziale.

Ne consegue che, la circostanza che l’opposta e qui ricorrente, a seguito dell’opposizione al decreto della quei resistente si fosse limitata a chiedere il rigetto dell’opposizione non ha potuto avere affatto il valore che le ha riconosciuto la Corte mamertina, cioè – sembrerebbe – quello di restringere la cognizione del giudice dell’opposizione al solo controllo sul se il decreto ingiuntivo era stato emesso ritualmente e, particolarmente, sul se ne era stata legittima l’emissione per il credito a titolo di risarcimento del maggior danno. La cognizione del giudice dell’opposizione, una volta introdotta l’opposizione si estendeva automaticamente, oltre che a quel controllo, se sollecitato, come era stato dall’opponente, all’accertamento della sussistenza o meno della pretesa creditoria in parte qua. Di modo che l’esplicita richiesta, per il caso di disconoscimento della ritualità dell’emissione del decreto quanto a detto credito (cosa in effetti avvenuta), di pronuncia sulla debenza della relativa somma, formulata con l’atto di appello, del tutto erroneamente è stata ritenuta una nuova domanda e ricondotta all’ambito dell’art. 345 c.p.c..

Quanto appena osservato è conforme a consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Si vedano, fra le tante, le seguenti decisioni: “L’opposizione a decreto ingiuntivo instaura un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione che sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio, investe il giudice del potere-dovere di statuire sulla pretesa originariamente fatta valere con la domanda d’ingiunzione e sulle eccezioni e difese contro di essa proposte (salvo il caso in cui manchi la possibilità di emettere una pronuncia di merito), restando regolato, nel grado d’appello, dalle norme che lo disciplinano ivi comprese quelle sulle eccezioni deducibili a norma dell’art. 345 cod. proc. civ.” (Cass. n. 63 del 1989); “Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza – e non a quello anteriore della domanda o dell’emissione del provvedimento opposto, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione” (Cass. sez. un. n. 7448 del 1993); “Non sussiste il vizio di extrapetizione (art. 112 cod. proc. civ.) se il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo – giudizio di cognizione proposto non solo per accertare l’esistenza delle condizioni per l’emissione dell’ ingiunzione, ma anche per esaminare la fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi, offerti dal medesimo e contrastati dall’ingiunto – revoca il provvedimento monitorio ed emette una sentenza di condanna di questi per somma anche minore rispetto a quella ingiunta, dovendosi ritenere che nella originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione, e nella domanda di rigetto dell’opposizione (o dell’appello dell’opponente) sia ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo minore” (Cass. n. 1954 del 2009); “L’opposizione al decreto ingiuntivo da luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (artt. 633 e 644 ss. cod. proc. civ.), si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 cod. proc. civ.). Ne consegue che il giudice dell’opposizione, anche quando si tratti di giudice di pace, è investito del potere -dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonchè sulle eccezioni e l’eventuale domanda riconvenzionale dell’opponente) ancorchè il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all’esito dello stesso” (Cass. n. 1184 del 2007; n. 13001 del 2006).

p.2.1. La sentenza impugnata (com’è già accaduto per altre consimili della stessa Corte territoriale. Cass. n. 16014 e 16015 del 2008) va, dunque, cassata in applicazione dei suddetti principi.

p.3. Il secondo motivo – che sarebbe stato inammissibile, perchè la Corte territoriale non si è pronunciata sulla effettiva debenza della somma ingiunta a titolo di risarcimento del maggior danno, avendo ravvisato erroneamente una ragione di rito ostativa, che è quella censurata dal primo motivo – resta comunque assorbito.

La relativa questione non è scrutinabile da questa Corte ai fini di un’eventuale decisione sul merito, per essere necessari accertamenti di fatto. Essa andrà esaminata dal giudice di rinvio, che si designa nella stessa Corte d’Appello di Messina, che deciderà con diversa sezione e in diversa composizione anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Messina, che deciderà con diversa sezione e in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2010

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