Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.296 del 12/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

A seguito dell’accertamento effettuato nei confronti della società in accomandita semplice Mobili Giannetti, l’Agenzia delle Entrate di Casella notificava a G.F. atto di rettifica del reddito di partecipazione da essa denunciato quale soda per l’anno 1995. Il ricorso del contribuente era accolto dalla CTP di Casetta sul rilievo che risultava essere stato accolto il parallelo ricorso proposto dalla società avverso l’accertamento del proprio reddito.

L’Ufficio interponeva appello rappresentando che la pronuncia emessa in primo grado nella causa promossa dalla s.a.s. Mobili Giannetti era stata appellata. Chiedeva pertanto che il reddito di partecipazione del G. fosse determinato in relazione a quello che sarebbe stato accertato come reddito della società. La CTR ha accolto l’appello, statuendo “che l’eventuale diverso reddito derivante in capo al contribuente, in ragione della quota posseduta, venga rideterminato in dipendenza del reddito che verrà accertalo, in via definitiva, nei confronti della Giannetti Mobili sas”.

Il contribuente ricorre con cinque motivi avverso la sentenza della CTR. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

MOTIVI Col primo motivo la ricorrente lamenta omesso esame della doglianza con la quale aveva lamentato, davanti alla CTR, che l’appello proposto dall’Ufficio era inammissibile per genericità della motivazione.

Con altri tre motivi subordinati, fra loro connessi, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 24 e 111 della carta costituzionale e dell’art. 329 c.p.c., per falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, punto 2 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, punto 2.

Deduce che senza autorizzazione del P.M. l’Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto utilizzare il processo verbale di constatazione, poichè era stato stilato dalla guardia di finanza in funzione di polizia giudiziaria, e conteneva dati, coperti dal segreto istruttorio, attinenti ad un procedimento penale.

L’accertamento impugnalo era stato viceversa motivato proprio sulla base dei rilievi fiscali contenuti nel suddetto p.v.c., che faceva a sua volta riferimento a dichiarazioni rese da terzi ex art. 351 c.p.p. in esso non riportate ma solo riassunte, sicchè – si sostiene – i contribuente non aveva potuto verificare la correttezza della sintesi operatane dai verbalizzanti. Le osservazioni, poste a base del ricorso di primo grado, erano siate accolte dalla sentenza della Commissione provinciale, ma illegittimamente disattese dalla CTR. Il quinto motivo denuncia vizio di motivazione insufficiente “sull’iter logico-ricostruttivo che ha portato al ridimensionamento della richiesta tributaria dell’ufficio, per la quale non vi è nè spiegazione nè motivazione e si e operato in maniera assolutamente presuntiva e praticamente equitativa nell’ambito di un procedimento a contenuto probatorio”.

E’ preliminare all’esame del merito del ricorso il rilievo della violazione del contraddittorio incorsa nelle pregresse fasi del giudizio. Questo collegio condivide le argomentazioni esposte e le conclusioni attinte sul tema dalle sezioni unite di questa Corte nella sentenza 14815/2008. La sostanziale unitarietà dell’accertamento del reddito societario che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e di quelle dei soci delle stesse (con la conseguente automatica imputazione a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, dei redditi accertati in capo alla società) comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società concerna inscindibilmente sia la società che tutti i soci. Tutti questi soggetti debbono pertanto essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi. Ciò in quanto la controversia non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, ma gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta, nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario.

Conseguentemente, avrebbe nella specie dovuto disporsi fin dal primo grado l’integrazione del contraddittorio con lutti gli altri soci della accomandita oltrechè con quest’ultima, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14. Il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è alletto da nullità assoluta, che va rilevata di ufficio. Vanno dunque cassate entrambe te pronunce di merito, e la causa va rimessa alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta perchè ripeta il giudizio previa integrazione del contraddittorio con la società in accomandita e con lutti i soci di essa.

Poichè la decisione applica un indirizzo formatosi di recente, è giustificata la compensazione fra le parti delle spese sia del presente giudizio di legittimità che delle pregresse fasi.

PQM

Decidendo sul ricorso, cassa le sentenze di primo e di secondo grado e rimette le parti davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta. Compensa fra le parti le spese processuali fin qui sopportate.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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