LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –
Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 29249/2008 proposto da:
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato DI ZENZO CARMINE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONCINI ENRICO giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE UDINE, PROCURATORE GENERALE CORTE APPELLO VENEZIA;
– intimati –
e CONSIGLIO NOTARILE DISTRETTUALE UDINE in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE PARIGLI 44, presso lo studio dell’avvocato MAZZOLI PAOLO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato DI ZENZO CARMINE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONCINI ENRICO giusta delega a margine del ricorso principale;
– controricorrente All’incidentale –
e contro
PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE UDINE, PROCURATORE GENERALE CORTE APPELLO VENEZIA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 42/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, 1^
SEZIONE CIVILE, emessa il 30/10/7008, depositata il 25/11/2 0 08, R.G.N. 412/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2009 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;
udito l’Avvocato CARMINE DI ZENZO;
udito l’Avvocato ENRICO LEONCINI;
udito l’Avvocato PAOLO MAZZOLI;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che chiede il rigetto del ricorso principale la dichiarazione di inammissibilità del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
“Con decisione di data 28 gennaio 2008 la Commissione amministrativa regionale di disciplina dei Trentino – Alto Adige, Friuli – Venezia Giulia e Veneto, definitivamente decidendo sul procedimento disciplinare n. 1/2007 promosso dal Consiglio notarile di Udine contro ti notaio C.F., incolpato: “1) dell’infrazione disciplinare p. p. dall’art. 2322 c.c., L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 47, (e del correlativo R.D. n. 1326 del 1914, art. 67), Capo II, Sezione I, punti 36 e 37, dei Principi di Deontologia Professionale dei Notai; 2) dell’infrazione alle norme di cui al Capo III, Sezione I, punto 17 del codice deontologico … per aver svolto:
– la prestazione notarile senza la personale direzione alla formazione dell’atto e – per essersi servito nello volgimento della sua attività dell’opera di procacciatori di clienti” (fatti accertati in sede di ispezione consiliare in data *****), assolveva il notaio C.F. dalla prima incolpazione, e lo dichiarava responsabile per la seconda, e conseguentemente gli infliggeva la sanzione di mesi tre di sospensione dall’esercizio della professione.
La suddetta Commissione osservava che, quanto alla mancanza di “personalità della prestazione”, l’addebito non poteva ritenersi sufficientemente provato (pur alla luce dell’elevato numero di atti – tra i 15 ed i 25 – ricevuti in solo giorno determinato della settimana presso il proprio ufficio secondario di *****, aperto solo per l’occasione), non essendo stati offerti utili elementi dalle risultanze delle ispezioni condotte dal Consiglio notarile; che diversamente il secondo addebito (sanzionato dall’ art. 149 della legge notarile) era comprovato, atteso il collegamento con lo studio professionale del dott. G.M., ubicato in *****, installato nei medesimi locali ove aveva svolto pluridecennale attività il notaio P.R. (dal *****), e nei quali – alla cessazione delle funzioni del notaio P. – avevano quindi operaio con regolarità, sia pure per breve periodo, due altri notai (il dott. Ci. ed il dott. C.); che il notaio C., che per l’appunto da ultimo aveva stabilmente fatto capo al predetto studio G., a seguito di provvedimento del Consiglio notarile di Udine si era dotato di un autonomo ufficio, ad una distanza di nemmeno 5 chilometri, nel vicino Comune di *****, proseguendo l’attività di ricevimento degli atti che tuttavia continuavano ad essere predisposti dallo studio G. (con il quale era mantenuta una collaborazione regolare ed assidua, attestata dalle prestazioni del doti G., fatturate – e per rilevanti importi – quasi totalmente nei confronti del notaio C.); che in definitiva la struttura dello studio G. (costituente una preesistenza di aggregati di potenziale clientela, essendo stata svolta ininterrottamente attività relativa alle pratiche immobiliari, anche dopo la cessazione delle funzioni del notaio P.) integrava il vero punto di riferimento per la clientela, la quale si rivolgeva allo studio di *****, ove erano istruite le pratiche e mantenuti i contatti con le parti, le quali erano infine avviate allo studio di ***** (Comune molto piccolo e tale da non richiedere l’apertura di un ufficio notarile) del notaio C., operante come luogo di ricevimento degli alti (cosi da eludere il divieto di apertura di studi secondari, imposto dal Consiglio notarile), in violazione della specifica norma deontologica.
Avverso detta decisione C.F. ha proposto tempestivo reclamo con il ricorso in epigrafe, deducendo nell’ordine:
la violazione del principio del contraddittorio, per omessa citazione del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Udine, contitolare dell’azione disciplinare;
la nullità della vocatio in ius per assoluta genericità del capo di imputazione;
la violazione del principio di correlazione tra la sentenza e l’accusa contestata, non essendovi alcun riferimento nell’incolpazione della pretesa utilizzazione combinata di un preesistente studio notarile (chiuso da anni) e di uno studio secondario in altro Comune;
l’insussistenza di una situazione equivalente all’utilizzo di procacciatori di clienti, per la preesistenza di aggregali di potenziale clientela e per il fattivo comportamento del notaio per l’accaparramento della stessa, e comunque la carenza e contraddittorietà della prova, avendo a tal riguardo la Commissione inammissibilmente proceduto in via autonoma nell’attività di ricerca delle prove, ed acriticamente valorizzato i non dimostrati assunti del Consiglio notarile;
l’omessa applicazione delle norme di legge poste a garanzia della concorrenza, in relazione al disposto del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2, (convertito con L. n. 248 del 2006), che “liberalizza l’associazione tra professionisti diversi”, con conseguente necessità di adeguamento delle disposizioni deontologiche e dei codici di disciplina (e con la conseguente inapplicabilità delle norme deontologiche eventualmente contrastanti);
la mancata ed immotivata concessione delle attenuanti generiche e l’eccessività della sanzione, in relazione allo specifico addebito (la cui gravità era stata ipotizzata in modo del tutto tautologico).
Con successiva memoria depositata il 2.10.2008 il reclamante ha ulteriormente illustrato le sue doglianze, invocando anche le sopravvenute modifiche dei principi deontologici, giusta la delibera del 5 aprile 2008 del Consiglio nazionale del notariato (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 30.7.2008).
Il Consiglio notarile distrettuale di Udine si è costituito in data 7 ottobre 2008, opponendosi all’accoglimento del reclamo e svolgendo reclamo incidentale avverso l’assoluzione del C. in ordine al primo capo di incolpazione.
Acquisite le conclusioni del Procuratore generale della Repubblica (che ha chiesto il rigetto del reclamo), mentre il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Udine, pur regolarmente notificato, non ha svolto alcun intervento, all’udienza del 9.10.2008, a seguito di breve discussione, nell’assenza del procuratore del Consiglio notarile, la causa è stata differita all’udienza odierna, per le ragioni di cui all’ordinanza in atti, e quindi decisa come da dispositivo di cui è stata data pubblica lettura….”.
Con sentenza 30.10 – 25 11.2008 la Corte d’Appello di Venezia decideva come segue:
“…definitivamente pronunciando sul reclamo in epigrafe, avverso la decisione 28 gennaio 2008 della Commissione amministrativa regionale del Trentino – Alto Adige, Friuli – Venezia Giulia e Veneto, nonchè sul reclamo incidentale proposto dal Consiglio notarile distrettuale di Udine, rigetta il primo, dichiara inammissibile il secondo e per l’effetto conferma la decisione impugnata”.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il notaio C.F..
Ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale il Consiglio Notarile Distrettuale di Udine.
A questo ricorso incidentale ha resistito con controricorso il notaio C.F., che ha anche depositato memoria.
Si è proceduto ex art. 380 bis c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi.
Va poi preliminarmente rilevato che non risultano elementi per dichiarare prescritta l’azione disciplinare (nè sono stati ritualmente prospettati in fatto dal notaio).
Con il primo motivo il ricorrente notaio denuncia “violazione di legge e segnatamente della Legge Notarile 16 febbraio 1916, n. 89, art. 153, come modificato dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 39, e art. 156 bis. L. n., introdotto dall’art. 43, dello stesso D.Lgs. in relazione all’ari 158 c.p.c., essendo stata omesso l’avviso al procuratore della repubblica presso il tribunale di Udine dell’udienza di trattazione del procedimento disciplinare dinanzi alla commissione amministrativa regionale di disciplina (CO.RE.DI.) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” esponendo doglianze da riassumere come segue.
L’art. 153, L. N., così come modificato dal citato D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 39, stabilisce che l’iniziativa del procedimento spetta:
a) al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario aveva sede il notaio quando è stato commesso il fatto per il quale si procede;
b) al presidente del consiglio notarile del distretto nel cui ruolo era iscritto il notaio quando è stato commesso il fatto.
La norma ora menzionata deve essere correlata con l’art. 156 bis, L. N. che, al comma 5, testualmente stabilisce che “i soggetti di cui all’art. 153, comma 1, lett. a) e b), se non hanno richiesto l’eperlani del procedimento, possono intervenire fino a quando non è adottata la decisione finale, presentare memorie e indicare mezzi di prova nel rispetto dei termini di evi al comma 4 e partecipare alla discussione in Camera di consiglio”.
Da ciò si evince che al P.M, competente, e segnatamente al Procuratore della Repubblica di Udine, avrebbe dovuto essere comunicata la data fissata per la trattazione del procedimento dinanzi alla Commissione onde consentirgli di esercitare il suo diritto di intervento nel procedimento con la presentazione di memorie, di richieste di mezzi istruttori e con la partecipazione alla discussione. La circostanza che la partecipazione del P.M, nella forma dell’intervento, non sia obbligatoria, non rende facoltativo anche l’avviso, come mostra di ritenere la Corte d’Appello, poichè è evidente che non porre il P.M. nella condizione di poter intervenire nel procedimento integra una lesione del principio del contraddittorio che impone che tutte le parli abbiano notizia del procedimento. Deve poi essere ritenuto erroneo l’assunto della Corte d’Appello circa una pretesa sanatoria consistita nelle conclusioni del Procuratore generale che ha chiesto il rigetto del ricorso “senza minimamente dolersi della mancata notifica dell’avvio del procedimento disciplinare, ai fini dell’intervento del P.M.”. Una tacita sanatoria di tal genere non è concepibile per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo perchè non è prevista da alcuna norma nè discende dai principi, in secondo luogo perchè la nullità è stata dedotta con i motivi di appello. Del resto, il diritto di intervento del P.M. nei nuovo procedimento notarile si collega ad un interesse pubblico. Inoltre nel presente procedimento sarebbe stata opportuna la presenza di un organo terzo, quale il magistrato inquirente, attesa la obiettiva circostanza, inutilmente rilevata negli scritti difensivi ai fini di determinarne l’astensione, dello specifico interesse alla condanna del notato inquisito da parte del Presidente de) Consiglio notarile di Udine, titolare della sede di ***** di cui fa parte il comune di ***** nel quale sarebbe stata svolta l’attività dell’incolpato ritenuta illecita.
QUESITO DI DIRITTO; dica la Corte se il mancato avviso al P.M. dell’udienza fissata per la trattazione del procedimento disciplinare notarile dinanzi alla CO.RE.DI. costituisca causa di invalidità della decisione emessa all’esito del giudizio e se essa possa essere sanata non essendo stata dedotta nel giudizio d’appello dal Procuratore generale, ma soltanto dalla parte privata.
Il primo motivo non può essere accolto.
La prima ratio decidendi esposta nell’impugnata decisione (la quale ha chiaramente sostenuto che il mancato avviso al P.M dell’udienza fissata per la trattazione del procedimento disciplinare notarile dinanzi alla Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina non costituisce causa di invalidità della decisione emessa all’esito del giudizio) consiste nell’affermazione che la legislazione in materia non prevede la partecipazione necessaria al procedimento disciplinare (ove non ne abbia chiesto l’apertura) del Procuratore della repubblica in questione; e che deve quindi escludersi “… che tale intervento sia previsto in via inderogabile, nella fase amministrativa..”. Tale tesi interpretativa appare condivisibile per le ragioni esposte dalla Corte, mentre appaiono prive di pregio le argomentazioni della parte ricorrente (anche la giurisprudenza citata – Cass. 9 marzo 2005, n. 5072; Cass. S.U. 26 giugno 2002, n. 9328 – è inidonea a suffragare l’assunto del notaio C.F.).
Va dunque ribadito il seguente principio di diritto:
“La L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 153, (come sostituito ai sensi del D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 39), anche se prevede che l’iniziativa del procedimento disciplinare spetta fra l’altro al Procuratore della Repubblica (presso il Tribunale nel cui circondario aveva sede il notaio quando è stato commesso il fatto per ti quale si procede), non stabilisce la sua partecipazione necessaria a procedimento disciplinare (qualora non ne abbia chiesto l’apertura) nella fase amministrativa; quindi il mancato avviso al P.M. dell’udienza fissata per la trattazione del procedimento disciplinare notarile dinanzi alla Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina non costituisce causa di invalidità della decisione emessa all’esito del giudizio”.
Tanto basta per rigettare il motivo senza che sussista la necessità di esaminare la seconda ratio decidendi (concernente la suddetta sanatoria).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “violazione del principio della correlazione tra l’accusa ed i fatti addebitati di cui all’art. 158 bis, comma 9, L. n. nel testo modificato dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 43, in relazione all’art. 153, comma 5, L. n. anche esso modificato dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 39, all’art. 112 c.p.c., ed all’art. 52 c.p.p., con riferimento alla decisione della CO.RE.DI. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” esponendo censure da riassumere come segue. Con riferimento ai capo di incolpazione in esame, la difesa del notaio, già nella prima memoria, aveva espressamente richiesto che si precisasse la condotta contestata in violazione dell’art. 147, L. N. e del punto 17 dei principi deontologici all’epoca vigenti. L’incolpazione, contestata al punto 4 della penultima pagina dell’atto con il quale il presidente del Consiglio notarile di Udine promuoveva l’azione disciplinare, era cosi formulata: “violazione delle norma sull’illecita concorrenza di cui al Capo III sezione I punto 17 del Codice Deontologico, là dove purifica all’uso di procacciatori di affari, sanzionarle ex art. 147, lett. C, della L. N., le situazioni equivalenti quali lo svolgimento per iodico e continuativo di prestazioni presso (in questo caso addirittura a favore di) organizzazioni e studi di professionisti”. Tale essendo l’incolpazione, priva peraltro di qualsiasi riferimento temporale iniziale, il notaio si è difeso rilevando che le prestazioni professionali si svolgevano non già nello studio del Dott. G., bensì nella sede principale del notaio C. in ***** mentre, nella secondaria in *****, si procedeva esclusivamente alla stipula e, del resto l’incolpazione relativa alla pretesa mancanza della personale direzione nella formazione degli atti è stata ritenuta infondata nel giudizio di prime cure. In tale sede l’esemplare condanna è stata infinta per un caso definito dalla stessa Commissione di “preesistenza di aggregati di potenziale clientela e di fattivo comportamento del notaio per accaparrarli”, e più avanti “per la utilizzazione combinata di un preesistente studio notarile e di uno studio secondario opportunamente collocato alla più breve distanza dal primo”. Siffatte condotte, come inutilmente rilevato con il secondo ed il terzo motivo di reclamo, costituiscono un novum rispetto all’originaria contestazione perchè riguardano una ipolesi di situazione analoga al procacciamento di clientela non prevista nell’elencazione esemplificativa contenuta nell’art. 17 del codice deontologico e che avrebbe dovuto essere contestata espressamente. Vi è mancanza di corrispondenza tra l’imputazione ascritta (svolgimento di prestazioni a favore di studi professionali) e quella ritenuta nei primo giudizio (utilizzazione combinata di un preesistente studio notarile e di uno studio secondario collegato alla più breve distanza dal primo).
QUESITO DI DIRITTO dica la Corte se costituisca violazione del principio di correlazione tra l’accusa ed il provvedimento sanzionatorio) la modifica apportata dalla CO.RE.DI. alla imputazione inizialmente contestata (“situazioni equivalenti quali lo svolgimento periodico e continuativo di prestazioni presso (in questo caso addirittura a favore di) organizzazioni e studi di professionisti” rispetto a quella ritenta nella decisione (“utilizzazione combinata di un preesistente studio notarile e di uno studio secondario opportunamente collocato alla più breve distanza dal primo”).
Anche il secondo motivo non può essere accolto.
La Corte d’appello, sul punto ha rilevato che “…il capo di imputazione sub 2) presenta i necessari elementi di individuazione, dello specifico addebito, anche con riferimento alla norma deontologica (art. 17 del codice deontologico notarile), essendo del resto i fatti addebitati (procacciamento indotto dal vicino studio professionale del doti G., situato nei locali ove un notaio aveva tenuto – per decenni – il suo studio e nei quali era comunque continuata l’attività relativa alle pratiche immobiliari) compiutamente esposti nel provvedimento 24 luglio 2007 con il quale il Consiglio notarile di Udine aveva promosso il procedimento disciplinare..”.
Pure in tal caso si e di fronte ad una motivazione inappuntabile.
In particolare va rilevato che detta Corte, allorquando ha parlato di procacciamento di affari o situazioni equivalenti (o ha usato locuzioni assimilabili, ovvero comunque collegate) non ha certo inteso utilizzare dette espressioni in senso (tecnico-giuridico) stretto (come ad es. in Cass. Sentenza n. 4422 del 24/02/2009), ma ha (sempre) inteso semplicemente fare un generico riferimento al procacciamento di affari (nel senso meramente economico del termine;
ed anzi prescindendo completamente dall’individuazione dell’esatta qualificazione tecnico – giuridica di detta attività) svolta dallo studio G. il quale dirigeva “… la clientela…” verso l'”…ufficio notarile di *****…” provvedendo “…alla raccolta ed istruzione delle pratiche…” (v. in particolare a pag.
10 della sentenza), e ciò (evidentemente) in quanto ha ritenuto che tale procacciamento in senso generico ed economico integrasse pienamente la sopra citata fattispecie prevista dalla normativa deontologica; ed ha sostenuto che altrettanto aveva fatto la suddetta Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina. Insomma secondo l’assunto della Corte di merito l’incolpazione in sostanza non è mai mutata (e quindi non è configurabile alcuna violazione dei diritti difensivi del Notaio)..
La motivazione censurata, se correttamente interpretata in tal senso, è immune dai vizi logici e giuridici lamentati.
Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia “violazione del principio della correlazione tra l’accusa ed i fatti addebitati di cui all’art. 158 bis, comma 9, L. n. nel testo modificato dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 43, in relazione all’art. 153, comma 5, L. n., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 39, all’art. 112 c.p.c., ed all’art. 521 c.p.p., con riferimento alla sentenza della Corte d’Appello di Venezia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. La dedotta violazione non riguarda soltanto, come si è visto, il giudizio di prime aire, ma è ancora più patente nella sentenza oggetto della presente impugnazione poichè la Corte d’appello, nell’evidente intento di respingere le censure di violazione dell’art. 2 del c.d. decreto Bersani, ha ulteriormente modificato l’imputazione affermando tout court che il notaio si era reso responsabile non soltanto di aver utilizzato una situazione equivalente all’uso di procacciatori di affari ai sensi del punto 17 del codice deontologico, ma addirittura di un procacciatore di affari cosi da modificare radicitus l’imputazione ascritta. Quanto esposto si evince con chiarezza dalla pagina 4 e dalla pagina 12 della sentenza laddove, in primo luogo, si riporta l’imputazione nei seguenti termini: “per essersi servito nello svolgimento della sua attività di procacciatori di clienti “fatto questo assolutamente mai contestato all’odierno ricorrente e neppure adombrato dalla Commissione, pur avendolo la Commissione stessa inserito, per un evidente errore, nell’intestazione della decisione, ma non avendolo mai prima contestato a notaio.
QUESITO DI DIRITTO: dica la Corte se costituisca violazione del principio di correlazione tra l’accusa ed il provvedimento sanzionarono a modifica apportata dalla Corte d’appello di Venezia alla imputazione inizialmente contestata “situazioni equivalenti quali io svolgimento periodico e continuativo di prestazioni presso (in questo caso addirittura a favore di) organizzazioni e studi di professionisti” rispetto a quella ritenuta nella sentenza (accaparramento di clienti, realizzato mediante l’opera di un terzo procacciatore).
Anche il terzo motivo non può essere accolto.
Intatti non solo è immune dai vizi sopra considerati (a proposito del secondo motivo) l’assunto della Corte di merito secondo il quale in realtà, durante il procedimento che ha preceduto la sua decisione, non è mai sostanzialmente mutata l’incolpazione (con conseguente non configurabilità di qualsivoglia violazione dei diritti difensivi del notaio incolpato); ma è altresì immune la sentenza in esame dalla suddetta affermata ulteriore modifica dell’imputazione ascritta, dato che detto Giudice ha usato le espressioni in questione sempre (senza mutamenti) nel senso (generico) indicato a proposito del secondo motivo; e non ha quindi mai in realtà operato la mutatio predetta. insomma detto non mutamento dell’incolpazione ha caratterizzato il procedimento in questione dall’inizio alla fine.
Il quarto, il quinto ed il sesto motivo vanno esaminati insieme in quanto connessi.
Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia “violazione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2, comma 1, lett. c), e comma 3, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, in relazione al punto 17 del codice deontologico approvato dal consiglio nazionali: del notariato con Delib. 26 gennaio 2007 e pubblicato sulla G.U. 26 gennaio 2007 ed al nuovo codice deontologico approvato dal consiglio nazionale del notariato con Delib. 5 aprile 2008, e pubblicato sulla G.U. 30 luglio 2008 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. La difesa del notaio aveva denunciato l’omessa applicazione delle norme di legge poste a garanzia della concorrenza e del mercato ed in particolare dell’art. 2, comma 1, lett. c) del c.d. Decreto Bersani (D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) che ha abrogato il “divieto di fornire all’utenza servizi di tipo interdisciplinare da parte di società o di persone o associazioni tra professionisti”. Era stato anche richiamato lo stesso art. 2, comma 3, che espressamente statuisce che le disposizioni deontologiche che contengono prescrizioni contrastanti con il comma 1, sono in ogni caso nulle a partire dal 1 gennaio 2007. Orbene, tale obbligo è stato adempiuto, seppure con ritardo, dal Consiglio Nazionale del Notariato che, con deliberazione n. 2/56, adottata il 5 aprile 2008 e pubblicata sulla G.U. 30 luglio 2008, ha modificato i principi di deontologia professionale precisando espressamente, che le modifiche sono state apportate a seguito delle osservazioni dell’Autorità Antitrust e delle disposizioni contenute nella legge Bersani fornendo in tal modo una Interpretazione autentica in quanto proveniente dallo stesso organo che ha emanato il nuovo codice. Il Consiglio nazionale ha riformulato completamente il capo III Sezione prima – Della illecita concorrenza – del codice deontologico, sostituendo integralmente il punto 17 e disciplinando la materia al punto 14 ampiamente rimaneggiato ed al punto 31, con la esplicita eliminazione di una serie di condotte tra te quali in questa sede va sottolineata proprio l’utilizzazione di situazioni equivalenti al vero e proprio procacciamento, vale a dire proprio la fattispecie di illecito ritenuta nella decisione di prime cure. La vecchia norma, infatti, precisava al punto 17, ora eliminato, che l’utilizzazione di situazioni equivalenti può verificarsi nel caso di aggregati di potenziale clientela ed a titolo esemplificativo era citato il periodico e continuativo svolgimento di prestazioni presso organizzazioni e studi di professionisti. E’ palese, quindi, che la condotta per la quale il notaio C. ha subito la condanna, e consistente nell’utilizzo della struttura predisposta e messa a disposizione dal Dott. G. considerato come caso di preesistenza di aggregati di potenziale clientela, è stata eliminata dal novero degli illeciti. Ciononostante la Corte d’appello, con la sentenza oggetto della presente impugnazione, ha affermato che la censura era irrilevante in quanto “le nuove disposizioni non sono di alcun giovamento alla posizione del reclamante”. Tale convincimento è basato sul pacifico insegnamento giurisprudenziale relativo alla irrilevanza della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice nel giudizio disciplinare e nella circostanza che alla fattispecie in esame “sono estranee alle sinergie interdisciplinari… e che riguarda invece il diverso fenomeno dell’accaparramento di clienti, realizzato mediante l’opera di un terzo procacciatore”. In ordine alla prima affermazione, si osserva che la stessa difesa aveva citato la nota giurisprudenza sull’irretroattività della c.d. abolitio criminis e, tuttavia aveva puntualizzato che, quanto meno a partire dall’1 gennaio 2007, la eliminazione dal codice deontologico delle situazioni analoghe al procacciamento di clienti produceva effetti sia sulla sussistenza stessa dell’incolpazione contestata nel giugno 2007, sia sulla gravità della condotta ai fini della determinazione della sanzione in concreto irrogata. Nella specie si è passati dalla contestazione di una situazione equivalente genericamente affermata, al vero e proprio procacciamento diretto, ma quest’ultima accusa avrebbe dovuto formare oggetto di una contestazione suppletiva non soltanto in base ai principi generali, ma anche in attuazione del preciso disposto dell’art. 156 bis, comma 9, L. N. che tassativamente dispone che, se emergono fatti diversi da quello addebitato, il collegio rimette gli atti all’organo che ha promosso il procedimento per le valutazioni di competenza.
QUESITO DI DIRITTO: dica la Corte se l’eliminazione dal nuovo codice deontologico delle c.d. situazioni equivalenti al procacciamento costituisca un’ipotesi di abolitio crimims, quanto meno dal 1 gennaio 2007, con riferimento al fatto contestato in rubrica al notaio incolpato come violazione del punto 17 del codice deontologico, abrogato in attuazione del ed Decreto Bersani.
Con il quinto motivo la parte ricorrente denuncia; “INTRINSECA CONTRADDITTORIETA’ DELLA MOTIVAZIONE SULLA RITENUTA SUSSISTENZA SIA DELL’INCOLPAZIONE DI SITUAZIONE EQUIVALENTE AL PROCACCIAMENTO DI CLIENTI, SIA DELLA DIRETTA ATTIVITA’ DI PROCACCIAMENTO DI CLIENTI (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” esponendo doglianze da riassumere come segue. Al di là della dedotta violazione del principio della correlazione tra accusa e fatto ritenuto in sentenza, appare evidente l’intrinseca contraddizione contenuta nella motivazione della sentenza che in buona sostanza ritiene il notaio colpevole di due violazioni certamente alternative e da questo fa discendere l’irrilevanza delle censure riguardanti l’abrogazione del ricordato punto 17 con decisive conseguenze non soltanto sulla sussistenza dell’illecito disciplinale, ma anche sulla gravità dei fatti.
FATTO CONTROVERSO: la condotta indicata nella rubrica con la quale è stato introdotto il giudizio è stata ritenuta costituire simultaneamente violazione del punto 17 del codice deontologico abrogato ed una ipotesi di procacciamento di clienti di mi all’art. 31, lett. a) e b), del nuovo codice deontologico.
Trattandosi di imputazioni alternative la motivazione è contraddittoria e riguarda un fatto decisivo ai fini non soltanto della sussistenza dell’illecito, ma anche della gravità dell’illecito disciplinare.
Con il sesto motivo il notaio ricorrente denuncia “OMESSA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO IN RELAZIONE ALLA GRAVITA’ DEL FATTO ED ALLA CONSEGUENTE DETERMINAZIONE DELLA SANZIONE COSTITUITO DALLA DEDOTTA ABOLITIO CRIMINIS A PARTIRE DAL 1 GENNAIO 2007 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” esponendo censure da riassumere come segue. Con riferimento all’ultimo motivo subordinato del reclamo riguardante l’entità della sanzione inflitta e la mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 144, L. N., oltre alle argomentazioni riguardanti io stato di incensuratezza disciplinare ed le riconosciute capacità professionali del notaio C., si aggiungeva la circostanza che l’ipotesi di illecito disciplinare ritenuta dai primi giudici non era più neppure fisicamente presente nel codice deontologico con la conseguenza che, ove pure si fosse voluto ritenere, contrariamente a quanto già dedotto, che si tratti di una mera abolitio criminis con effetto ex nunc, risulterebbe oggettivamente inesistente la gravità del fatto. Queste considerazioni non sono state ritenute tali da giustificare una qualche argomentazione.
FATTO CONTROVERSO: omessa motivazione in ordine all’abrogazione del punto 17 dei vecchio codice deontologico oggetto dell’incolpazione, da considerarsi elemento decisivo ai fini della valutazione della gravità dell’illecito, sia sotto il profilo della irrilevanza disciplinare delle condotte successive al 1 gennaio 2007, sia perchè si tratterebbe di fatti che sono stati ritenuti comunque non più meritevoli di sanzione.
Pure i motivi in esame non possono essere accolti poichè la motivazione è immune dai vizi denunciati.
Infatti la Corte ha ritenuto che non vi è stata (come afferma la parte ricorrente) la predetta abolitio criminis ed in particolare “… a partire dal 1 gennaio 2007, la eliminazione dal codice deontologico delle situazioni analoghe al procacciamento di clienti…”; in quanto l’art. 2, comma 1, lett. c, del D.L. in questione “… che ha abrogato le disposizioni (legislative e regolamentari), relative alle attività libero professionali e intellettuali che prevedono: “c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni ira professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero – professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità” – non interferisce minimamente con il caso qui dibattuto, al quale sono estranee le sinergie interdisciplinari da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, e che riguarda invece il diverso fenomeno dell’accaparramento di clienti, realizzato mediante l’opera di un terzo procacciatore (il quale, come già visto, aveva la funzione di richiamo della clientela per dirottarla allo studio C.). Tale fattispecie risulta tuttora esattamente prevista dal nuovo art. 31 del codice deontologico notarile, secondo cui “nell’ambito del generale dovere di imparzialità il notaio deve astenersi, nella fase di assunzione dell’incarico, da qualsiasi comportamento che possa influire sulla sua designazione che deve essere rimessa al libero accordo delle parti”, e che vieta al notaio di servirsi “dell’opera di un terzo (procacciatore) che induca le persone a sceglierlo” o di conferire “al procacciatore l’incarico, anche a titolo non oneroso, di procurargli clienti”, giusta le ipotesi rispettivamente contemplate dalle lett. a) e b) della nuovo codice deontologico”.
In altri termini, secondo l’inappuntabile (e solo parzialmente implicita) motivazione esposta dalla Corte:
– A) anche se si ritenesse che il nuovo codice deontologico notarile suffraga validamente le tesi del notaio in ordine all’abolizione della precedente previsione, la soluzione non muterebbe data l’inapplicabilità del codice stesso (poichè “…non vigono i principi penalistici in punto di favor rei…”; e tale specifico punto – non applicabilità di detti principi – non appare di per sè ritualmente contestato nel ricorso);
– B) comunque, il nuovo codice deontologico non suffraga validamente le tesi del ricorrente; infatti anche in base a detto nuovo codice, i notai non possono accaparrarsi clienti utilizzando l’opera di terzi procacciatori di affari od utilizzando situazioni analoghe (va ribadito che dette attività di procacciamento e le attività analoghe vanno sempre intese nel senso generico, meramente economico e non tecnico – giuridico indicato a proposito del secondo motivo);
– C) non e possibile sostenere “…a partire dal 1 gennaio 2007, la eliminazione dal codice deontologico delle situazioni analoghe al procacciamento di clienti..” citando “… lo stesso art. 2, comma 3, che espressamente statuisce che le disposizioni deontologiche che contengono prescrizioni contrastanti con il primo comma sono in ogni caso mille a partire dal 1 gennaio 2007….”; infatti (e questo è un punto essenziale) la (vecchia) disposizione deontologica in tema di procacciamento di affari (o situazioni analoghe) non è contrastante con detto primo comma (per le ragioni correttamente esposte in sentenza; ed in sintesi per la non incompatibilità tra le disposizioni in questione); come del resto è ulteriormente dimostrato dal fatto che detta vecchia disposizione del codice deontologico è stata fondamentalmente riprodotta (almeno nella sostanza e per la parte che qui interessa) nella corrispondente norma del nuovo codice deontologico.
Una volta interpretata rettamente (nel senso ora esposto), detta motivazione deve ritenersi inappuntabile in quanto immune dai vizi denunciati.
Non rimane dunque che respingere il ricorso principale.
Con riferimento all’ultimo capo della sentenza impugnata il Consiglio Notarile Distrettuale di Udine denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 158 ter, in relazione agli artt. 737, 333, 343 e 343 c.p.c.”, esponendo doglianze da riassumere come segue. La novella legislativa che ha modificato ed integrato la L. 16 febbraio 1913, n. 89, nel regolamentare il sistema delle impugnazioni giurisdizionali della sanzioni disciplinari nel notariato reca in subiecta materia un unico riferimento al codice di rito: trattasi dell’art. 158 bis, ai sensi del quale la Corte d’appello riesamina l’esito del procedimento svoltosi dinanzi alle Commissioni Amministrative Regionali di Disciplina secondo lo schema procedimentale di cui all’art. 737 c.p.c. e ss. (procedimenti in Camera di consiglio). In tale quadro procedimentale, appaiono applicabili i principi generali sulle impugnazioni incidentali di cui agli artt. 333 e 334 c.p.c., con la conseguenza che, adoperando le parole della Corte di Cassazione, “sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione Incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parie, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia inondo rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale” (giurisprudenza univoca: cfr., tra le più recenti, Cass. SS.UU. 27 novembre 2007, n. 24627; idem 1^, 10 ottobre 2008, n. 24908, va rammentato, inoltre, che gli artt. 333 e 334 c.p.c., sono considerati pacificamente applicabili anche ai giudizi camerali: cfr.
Cass. 29 agosto 1998, n. 8654). La Corte di Appello Venezia ha, invece, dichiarato inammissibile il reclamo incidentale proposto dal Consiglio Distrettuale di Udine, sulla scorta della considerazione che esso è stato rivolto nei confronti di un capo della decisione “non correlabile” al reclamo principale proposto dal notaio C..
QUESITO DI DIRITTO: Chiarisca codesta Ecc.ma Corte se, ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 153 ter, è proponibile avverso una decisione che definisce un procedimento disciplinare reclamo incidentale tardivo ex artt. 333 e 334 c.p.c..
Il motivo deve ritenersi inammissibile per una questione preliminare rispetto a quella oggetto delle doglianze ora riassunte.
Infatti il Consiglio Notarile Distrettuale di Udine ha omesso di indicare ritualmente il contenuto di detto reclamo incidentale.
Va ricordato a tal proposito che la Corte di Cassazione ha il potere – dovere di controllare d’ufficio l’ammissibilità dei motivi di ricorso per cassazione, tra l’altro, pure sotto il profilo della sussistenza originaria e permanenza di un concreto ed effettivo interesse all’impugnazione (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 13373 del 23/05/2008; e Cass. Sez. U, Sentenza n. 12637 del 19/05/2008); e tale considerazione è sufficiente anche da sola ad affermare la necessità che ogni impugnazione volta a lamentare la mancata valutazione di motivi di appello (per ritenuta inammissibilità o per altre ragioni) contenga anche l’indicazione specifica del contenuto dei motivi medesimi.
Inoltre questa Corte Suprema può e deve controllare d’ufficio pure l’ammissibilità dell’appello in genere (e quindi, nella specie, del reclamo de qua, chiaramente soggetto alla medesima normativa sotto il profilo in questione) e di ogni singolo motivo del gravame medesimo, con riferimento anche ad eventuali ragioni di inammissibilità diverse da quella eventualmente affermata nell’impugnata sentenza;
(tra l’altro ad es. anche con riferimento all’eventuale genericità dei motivi; cfr. tra le altre Cass. a SU SENT. 07070 DEL 25/11/1983;
Cass. Sentenza n. 706 del 02/02/1990, Cass. Sentenza n. 12794 del 27/09/2000; Cass. Sentenza n. 12141 del 24/11/1995; Cass. Sentenza n. 7258 del 12/05/2003, Cass. Sentenza n. 13085 del 14/07/2004; Cass. Sentenza n. 22786 del 06/12/2004; Cass. Sentenza n 1188 del 19/01/2007). Pertanto, pure per questa ulteriore ed autonoma ragione, in base al principio di autosufficienza del ricorso (applicabile anche in materia processuale), detto Consiglio Notarile avrebbe dovuto indicare (nel ricorso; non avendo rilevanza quanto eventualmente emerge da altri atti) in modo specifico e rituale i motivi posti a base del suo reclamo alla Corte di Appello. Il che non è avvenuto.
Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso principale va respinto;
quello incidentale va dichiarato inammissibile; e le spese (dato l’esito del giudizio) vanno compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2010