Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.303 del 12/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13963/2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.M., A.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5/2006 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 20/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato BARBARA TIDORE, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di A.M. e A.C. (che sono rimasti intimati) e avverso la sentenza n. 5/48/06, pubblicata il 20-03-06, con la quale, in controversia concernente avviso di accertamento Irpef relativo al 1995, la C.T.R. Campania accoglieva l’appello dei contribuenti e annullava l’avviso opposto dichiarando assorbito l’appello incidentale dell’Ufficio.

In particolare, i giudici d’appello rilevavano che nell’anno in questione il divario tra i ricavi dichiarati e quelli attribuiti dall’Ufficio era da attribuirsi alla crisi che aveva investito il mercato della carne a seguito del c.d. morbo della mucca pazza e che l’appello incidentale dell’Ufficio doveva ritenersi assorbito e in ogni caso inammissibile per genericità dei motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce vizio di motivazione per omessa considerazione del fatto che, come evincibile dal p.v.c., l’Ufficio finanziario aveva tenuto conto dell’incidenza del morbo della mucca pazza) è inammissibile per difetto di autosufficienza (non essendo stato riportato i. n ricorso il testo del p.v.c. da quale risulterebbe il fatto non considerato dai giudici d’appello), ed in ogni caso perchè il motivo risulta carente in relazione al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., comma 2 (a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione), essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008).

Il secondo motivo (col quale si deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per aver erroneamente ritenuto il di tetto di specificità dei motivi dell’appello incidentale) è inammissibile per difetto di interesse, posto che l’appello incidentale è stato ritenuto assorbito a seguito dell’accoglimento dell’appello principale (motivazione non censurata in questa sede) e che l’inammissibilità di esso per genericità dei motivi è stata esposta in motivazione solo come argomento ad abundidantiam che non ha trovato riscontro nella decisione (nel dispositivo si afferma infatti l’assorbimento dell’appello incidentale).

Peraltro, entrambi i motivi in esame, a prescindere da ogni altra possibile considerazione, non risultano rispettosi del dettato dell’art. 369 c.p.c., n. 4. E’ infatti da rilevare che i motivi sopraesposti sono fondati su alcuni atti (p.v.c. e ricorso incidentale in appello) che non risultano depositati ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4, a norma del quale, insieme col ricorso (e pertanto nello stesso termine previsto dal citato art. 369 c.p.c., comma 1) devono essere depositati, a pena di improcedibilità, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Come è evidente, la norma non distingue tra i vari tipi di censura proposti, e prevede il deposito non solo di documenti o contratti, ma anche di atti processuali, con la conseguenza che, anche in caso di denuncia di error in procedendo, gli atti processuali sui quali la censura si fonda devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso termine.

E’ infine appena il caso di aggiungere che non rileva ai fini della norma citata la richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, il deposito del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga), se tale deposito non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c. e se all’atto del deposito viene indicato in modo generico il suddetto fascicolo senza specificare gli atti e documenti in esso contenuti sui quali il ricorso è fondato (v. tra le altre Cass. n. 24940 del 2009).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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