Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.306 del 12/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ikebana di Adesso Franco e C. in persona del legale rappresentante A.F., rappresentata e difesa per procura in calce al ricorso dall’Avvocato prof Castilio Francesco, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Giuseppe Cerbara n. 64;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza n. 155/4/04 della Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione distaccata di Salerno, depositata il 27.10.2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 dicembre 2009 dal consigliere relatore Dott. BERTUZZI Mario;

viste le conclusioni de P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 30.12.2004, la s.n.c. Ikebana di Adesso Franco e C. in persona del socio e legale rappresentante A.F., ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione distaccala di Salerno, n. 155/4/04 del 27.10.2004, che aveva confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato il ricorso della societa’ per l’annullamento di una cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di rettifica iva per l’anno 1992 che le aveva contestato indebite detrazioni di imposta sugli acquisti.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si e’ costituto senza svolgere attivita’ difensiva.

L’Agenzia delle Entrate, pure intimata, non si e’ invece costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso, deducendo omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione dell’art. 111 Cost., denunzia la nullita’ della sentenza per avere respinto l’impugnativa sulla base della mera affermazione che la cartella opposta e’ “rispondente ai canoni normativi previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25”, senza esaminare i motivi di merito con cui la contribuente aveva contestato la fondatezza della pretesa tributaria.

Il motivo e’ infondato.

La censura proposta si basa su una errata lettura della decisione impugnata, la quale ha respinto l’appello della societa’ contribuente non gia’ in forza del mero richiamo alla disposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25 ma in ragione del piu’ pregnante rilievo circa l’inammissibilita’ delle questioni sollevate dal ricorso, osservando in proposito che esse investivano il merito della pretesa tributaria e che ogni questione sul punto doveva considerarsi ormai preclusa in ragione della acquisita definitivita’ dell’avviso di rettifica, essendo stata respinta nel relativo giudizio l’impugnativa proposta nei suoi confronti. Questa decisione, oltre ad essere congruamente motivata mediante il richiamo alle decisioni che avevano respinto il ricorso avverso il prodromico atto impositivo, appare del tulio condivisibile anche nel merito, costituendo un principio giurisprudenziale de tutto consolidato – ricavabile direttamente, tra l’altro, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 2 laddove in particolare stabilisce l’autonoma impugnabilita’ degli atti elencati nel comma 1 ma soltanto per vizi propri – che la cartella di pagamento puo’ essere contestata soltanto per difetti propri di forma e di contenuto e che con la relativa impugnativa non possono essere fatti valere motivi di illegittimita’ che avrebbero dovuto essere proposti avverso gli atti impositivi da cui essa scaturisce e che ormai sono divenuti definitivi perche’ non impugnati o in quanto la relativa impugnazione sia stata respinta. Del tutto correttamente, pertanto, il giudice di appello non ha esaminato le questioni di merito sollevate dalla ricorrente nei confronti della fondatezza della richiesta di pagamento, ritenendole inammissibili per intervenuta preclusione sostanziale.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 36, comma 3 e dell’art. 111 Cost., lamentando che il giudice di appello non abbia tenuto conto che la pretesa tributaria era infondata per avere avuto origine da un errore nella dichiarazione iva, prontamente corretto dalla contribuente in forza di una comunicazione al competente Ufficio.

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione del D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1 e dell’art. 111 Cost., assumendo che ai sensi dell’indicato decreto l’Ufficio doveva dare prevalenza al comportamento concreto della contribuente, tenendo conto quindi anche di quello successivo.

Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione della L. n. 342 del 1990, art. 4, violazione dei principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e violazione dell’art. 111 Cost., lamentando che il giudice di appello non abbia pronunciato sul merito dei motivo con cui la odierna ricorrente aveva dedotto che non aveva preso in considerazione il comportamento concludente della contribuente.

Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 1324 e 1429 c.c. e violazione dell’art. 111 Cost., assumendo l’illegittimita’ della pretesa tributaria per non avere tento conto che la dichiarazione iva della contribuente era affetta da errore materiale e della sua successiva correzione.

Il sesto motivo di ricorso denunzia violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 violazione dei principi della collaborazione e della buona fede e violazione dell’art. 111 Cost., lamentando che il giudice a quo abbia disapplicato i principi dell’affidamento e della buona fede, che impongono di non tener conto dei meri errori formali del contribuente.

Tutti questi motivi vanno dichiarati inammissibili per le ragioni esposte in occasione dell’esame del primo motivo, in quanto i fatti con essi dedotti non costituiscono, all’evidenza, vizi propri della cartella di pagamento ma investono ne merito la pretesa tributaria ed integrano quindi contestazioni e censure che avrebbe dovuto essere proposte avverso l’avviso di rettifica. Non sussiste inoltre la violazione dell’art. 112 denunziata con il quarto motivo, attesti che il giudice a qua ha espressamente dichiarato inammissibile la relativa questione.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo il Ministero delle Finanze, unica controparte costituita, svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso Cosi’ deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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