Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.327 del 12/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A. e G.M. ‘ rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso dall’avv. Di Meo Stefano, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, alla via Pisanelli, n. 2;

– ricorrenti –

contro

S.A., P.M.A., C.P.L., S.

S., B.F. e B.A. ‘ rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso dall’avv. MESSINA Massimo G. del foro di Pisa e dall’avv. Pananti Benito, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, alla via Celimontana, n. 68;

– controricorrenti –

G.G. e F.M.G. – elettivamente domiciliati in Firenze, alla via La Pira, n, 21, presso l’avv. Bechi Antonio;

– intimati ‘

nonche’

M.S. ‘ residente in *****;

– intimato ‘

e G.F. – elettivamente domiciliato in Firenze, al Borgo S.

Croce, n. 13 (studio avv. Antonino Filasto’), presso l’avv. Grossi Carlo;

– intimato ‘

nonche’

sul ricorso n. 10501/04 proposto il 27 aprile 2004 da:

S.A., P.M.A., C.P.L., S.

S., B.F. e B.A. ‘ rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso dall’avv. MESSINA Massimo G. del foro di Pisa e dall’avv. Panariti Benito, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, alla via Celimontana, n. 68;

– controricorrenti ricorrenti incidentale ‘

contro

B.A. e G.M. – elettivamente domiciliati in Roma, alla via Pisanelli, n. 2, presso l’avv. Di Meo Stefano;

– ricorrenti principali intimati –

M.S. ‘ residente in *****;

– intimato ‘

nonche’

G.F. ‘ elettivamente domiciliato in Firenze, al Borgo S.

Croce, n, 13 (studio avv. Antonino Filasto’), presso l’avv. Grossi Carlo;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1267 del 17 luglio 2003 – notificata il 19 gennaio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 24 novembre 2009 dal Consigliere Dott. ODDO Massimo Oddo;

uditi per i ricorrenti principali l’avv. Stefano Di Meo e per i ricorrenti incidentali l’avv. Domenico Calvetta, delegato dall’avv. Benito Panariti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A., G.M. e G.F., riassumendo un giudizio di denuncia di nuova opera, con atto del 10 luglio 1992 convennero M.S. davanti al Tribunale di Pisa e ne domandarono la condanna alla demolizione di un fabbricato, da lui realizzato nella locale via ***** a distanza illegale da due villette di loro proprieta’, ed al risarcimento dei danni.

Il M.S. si oppose alla domanda, deducendo l’avvenuto rispetto delle distanze stabilite dal p.r.g. adottato dal Comune di Pisa il 2 agosto 1965 e l’inapplicabilita’ del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 ad esso successivo, che aveva prescritto l’osservanza tra le costruzioni di una distanza minima di m. 10, e chiese il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, la declaratoria dell’illegittimita’ delle villette degli attori.

Il Tribunale accolse il 18 dicembre 1993 la sola domanda del B.A. e dei G. di condanna del M.S. alla demolizione del fabbricato e la decisione venne impugnata dal M.S. e, in via incidentale, dal B.A. e da G. M..

Nel giudizio di secondo grado intervennero S.A., P. M.A., G.G., F.M.G., C.P., S.S., B.F. e B. A., acquirenti degli appartamenti del fabbricato del M.S., che aderirono all’impugnazione del dante causa, e rimase contumace G.F..

La Corte di appello di Firenze con sentenza del 2 ottobre 1996 rigetto’ entrambe le impugnazione e confermo’ la decisione di primo grado, osservando che il p.r.g. deliberato dal Comune di Pisa nel 1965, essendo stato approvato dalla Regione Toscana con D.P.R. 13 giugno 1970, avrebbe dovuto essere adeguato alle prescrizioni del D.M. n. 1444 del 1968 e che per la loro illegittimita’ dovevano essere disapplicati tanto il p.r.g. che la concessione edilizia rilasciata al M.S. nella parte in cui prevedevano tra i fabbricati distanze inferiori ai dieci metri.

Avverso la sentenza proposero ricorso per Cassazione gli intervenuti – acquirenti e, in via incidentale, il B.A. e la G. M. e la Suprema Corte con sentenza n. 6029 dell’11 maggio 2000, in accoglimento dell’unico motivo di ricorso principale, casso’ la decisione di secondo grado, dichiarando assorbito l’esame del ricorso incidentale, e rinvio’ la causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, enunciando il principio di diritto che: “i limiti in materia di distanze tra fabbricati previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 emanato ai sensi della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17 obbligano i Comuni solo ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici e, pertanto, non trovano applicazione qualora i Comuni abbiano gia’ adottato, prima dell’entrata in vigore di detto decreto, gli strumenti urbanistici e questi siano stati approvati dalla Regione, ancorche’ successivamente, senza modifiche o integrazioni”.

Il giudizio venne riassunto con distinti atti sia dal S.A., dalla P.M.A., dal G.G., dalla F.M.G., dal C.P.L., dalla S.S., dal B.F. e dalla B. A. e sia dal G.F. e nel giudizio si costituirono il B.A. e la G.M., mentre rimase contumace il M.S.. La Corte di appello di Firenze, pronunciando quale giudice di rinvio, con sentenza del 17 luglio 2003, in riforma della decisione di primo grado, rigetto’ la domanda degli attori di condanna del M.S. alla demolizione del fabbricato e quella degli intervenuti di condanna degli stessi al risarcimento del danno per responsabilita’ aggravata. Premesso che la prospettazione degli attori di una modifica del p.r.g. intervenuta nel 1973 costituiva una questione non esaminabile per la sua novita’ e che la materia del contendere andava circoscritta alle situazioni gia’ esaminate nelle precedenti fasi del giudizio, osservarono i giudici, facendo applicazione del principio enunciato nella sentenza di cassazione, che dovevano ritenersi operanti e rispettate nella fattispecie controversa le distanze tra gli edifici previste dal p.r.g. adottato dal comune di Pisa anteriormente all’emanazione del D.M. n. 1444 del 1968 e che non sussistevano i presupposti per l’accoglimento della domanda proposta dai convenuti nel giudizio di rinvio di risarcimento dei danni per responsabilita’ aggravata.

Il B.A. e la G.M. sono ricorsi per la cassazione della sentenza con due motivi e gli intimati S.A., P.M. L., C.P.L., S.S., B.F. e B.A. hanno resistito con controricorso, proponendo un contestuale motivo di ricorso incidentale. Gli altri intimati non hanno svolto attivita’ nel giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

A norma dell’art. 335 c.p.c., va disposta la riunione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo, il ricorso principale denuncia la nullita’ della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 preleggi, degli artt. 869, 871 e 873 c.c., e degli artt. 113, 213, 345 e 372 c.p.c., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo negato la possibilita’ di esaminare nel giudizio di rinvio la questione della adozione nell’anno 1973 di una variante al p.r.g. a cagione della sua novita’ e dei limiti del giudizio di rinvio, pur riconoscendo che la circostanza era stata gia’ dedotta nella fase cautelare e nonostante che la medesima dovesse essere rilevata d’ufficio, attenendo ad una questione di diritto, e proprio il suo esame giustificasse il rinvio seguito alla sentenza di cassazione.

Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., comma 3, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo escluso la possibilita’ di formulare nel giudizio di rinvio conclusioni diverse da quelle prese in quello nel quale era stata pronunciala la sentenza cassata, benche’ rese necessarie dalla sentenza di cassazione, che, enunciando il principio al quale il giudice di rinvio doveva adeguarsi, aveva reso rilevanti questioni assorbite nelle precedenti fasi di merito.

Il ricorso incidentale lamenta con l’unico motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, la motivazione insufficiente, incompleta e contraddittoria della decisione, avendo rigettato la domanda di condanna degli attori per responsabilita’ aggravata sotto entrambi i profili dedotti dell’illecito mantenimento della trascrizione della domanda giudiziale e dell’introduzione nel giudizio di rinvio di domande improponibili ed inammissibili, benche’ noti assumesse piu’ rilievo dopo la cassazione della sentenza di secondo grado la richiamata complessita’ del merito della vicenda ed il danno fosse agevolmente desumibile da nozioni di comune esperienza e liquidabile d’ufficio. Entrambi i motivi di ricorso principale, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. La Suprema Corte, sollecitata nel giudizio alla soluzione della questione relativa alla valenza delle prescrizioni in tema di distanza tra gli edifici, contenute nel D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 nel caso particolare in cui contrastassero con le previsioni di un p.r.g. adottato dal comune prima dell’emanazione di detto decreto, ma approvato dalla regione successivamente, casso’ la decisione di secondo grado e rinvio’ la causa per nuovo esame al giudice di merito che “identifichera’ la norma sulle distanze tra costruzioni applicabile e si adeguera’” al principio di diritto che i limiti previsti in materia dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, non trovano applicazione qualora i comuni abbiano gia’ adottato gli strumenti urbanistici prima della sua entrata in vigore e questi siano stati approvati dalla regione, ancorche’ successivamente, senza modifiche ed integrazioni.

Non si pronuncio’ il giudice di legittimita’ sull’applicazione delle disposizioni del D.M. n. 1444 del 1968, alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti e sulla individuabilita’ di una revisione del p.r.g. nella sua variante adottata dal Comune di Pisa nel 1973, e su di essa poteva pronunciarsi, non in quanto nella sentenza impugnata l’esame della questione fosse stato ritenuto assorbito, ma perche’, non essendo stata la stessa riproposta nel giudizio di appello, come prescritto anche alla parte vincitrice in primo grado dall’art. 346, c.p.c., l’eccezione posta a suo fondamento nel procedimento di denuncia di nuova opera doveva intendersi rinunciata in secondo grado e non piu’ parte del thema decidendum.

Correttamente, quindi, il giudice a quo ha applicato il principio che nel giudizio di rinvio, nel quale e’ inibito alle parti, prendere conclusioni diverse dalle precedenti o che non siano conseguenti alla cassazione, non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti nella sentenza di annullamento e che la preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla od a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operativita’ del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa (cfr. Cass, civ., sez. 2^, sent. 23 maggio 1996, n. 4748; cass. civ. sez. L., sent. 27 dicembre 1991, n. 13957).

Ne’ soccorreva in contrario l’obbligo del giudice, onerato dalla sentenza di cassazione di identificare la norma sulle distanze tra le costruzioni applicabile, di acquisire diretta conoscenza d’ufficio delle della normativa urbanistica sulle distanze che si assumevano violate, giacche’ la verifica dell’esistenza della variante al p.r.g.

adottata nel 1973 e della sua inclusione tra le revisioni cui fa riferimento il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, presupponeva un preliminare accertamento di fatto in ogni caso ormai precluso dalla mancata riproposizione della questione nel grado di giudizio conclusosi con la sentenza cassata. L’unico motivo di ricorso incidentale e’ infondato. L’accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilita’ aggravata ex art. 96 c.p.c., dei requisiti dell’avere agito o resistito nel giudizio con mala fede o colpa grave (comma 1) ovvero del difetto della normale prudenza (comma 2) implicano un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimita’ se la sua motivazione in ordine (in)sussistenza all’elemento soggettivo ed all’an ed al quantum dei danni di cui e’ chiesto il risarcimento risponde ad esatti criteri logico giuridici.

Nella specie il richiamo della sentenza, oltre che alla mancanza di prova del danno, anche ad una “perdurante complessita’ delle questioni che sono state oggetto di giudizio, tali da escludere che si sia agito senza la normale prudenza (e, a fortiori, con mala fede o colpa grave) non puo’ essere ritenuta incongrua ed appare adeguata a sostenere la pronuncia, atteso che la prosecuzione del giudizio, al quale era necessariamente connessa la trascrizione dell’atto di citazione, era imposta dalla cassazione con rinvio della decisione di primo grado, ed il principio enunciato dal giudice di legittimita’ non escludeva di per se’ la prospettazione di questioni rilevanti nella sua applicazione.

All’infondatezza dei motivi seguono il rigetto tanto del ricorso principale quanto di quello incidentale e la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i giudizi.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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