LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – rel. Presidente –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
T.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio dell’avvocato TINELLI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOGOZZO MAURIZIO, giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 55/2 006 della Commissione Tributaria Regionale di MILANO del 22.3.06, depositata il 27/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/12/2009 dal Presidente e Relatore Dott. LUPI Fernando;
udito per il controricorrente l’Avvocato Giovanni Girelli (per delega avv. Giuseppe Tinelli) che si riporta agli scritti.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. SORRENTINO Federico, che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
La Corte:
RITENUTO IN FATTO
che e’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “La C.T.R. ha ritenuto che T. C., agente di commercio, non fosse soggetto all’IRAP in quanto era accertato che svolgeva la sua attivita’ avvalendosi di limitati beni strumentali e senza dipendenti o collaboratori.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione deducendo che i soggetti passivi dell’imposta sono a sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3 le persone fisiche esercenti attivita’ commerciale precisando che esercizio di impresa commerciale si intende l’esercizio per professione abituale anche se non esclusiva delle attivita’ indicate nell’art. 2195 c.c. anche se non organizzate informa di impresa. Poiche’ l’art. 2195 c.c. qualifica imprenditori commerciali i soggetti che esercitano una attivita’ intermediaria alla circolazione dei beni e tale e’ quella esercitata dal contribuente, si deve concludere che essa e’ tenuta al pagamento dell’IRAP. Il contribuente si e’ costituito con controricorso.
Sulla questione dell’assoggettamento all’imposta degli agenti di commercio e dei promotori finanziari si era delineato un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’ che e’ stato composto dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 12108 del 2009, che ha affermato i principi: In tema IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, periodo 1^, e art. 3, comma 1, lett. c) l’esercizio dell’attivita’ di agente di commercio, di cui alla L. n. 204 del 1985, art. 1 e di promotore finanziario,di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2, e’ escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attivita’ non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:
a) sia sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita’ ed interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamene non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni.
Alla stregua degli esposti principi sembra che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate vada rigettato”.
Rilevato che la relazione e’ stata comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti costituite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 375 c.p.c., n. 5 della manifesta infondatezza del ricorso e che, pertanto, la sentenza impugnata vada confermata;
L’incertezza della giurisprudenza sulla questione e’ motivo per compensare le spese.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Cosi’ deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010