Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.356 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al n. 15410/08 di RG) proposto da:

M.A., residente in *****, elettivamente domiciliato in Roma alla Via dei Monti Paridi n. 48 presso l’avv. MARINI GIUSEPPE che lo rappresenta e difende insieme con l’avv. Loris TOSI in forza della procura speciale rilasciata a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(1) AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l’AVVOCATURA DELLO STATO che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

(2) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro tempore;

(3) l’Ufficio di Padova ***** dell’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimati –

nonchè

2. sul ricorso incidentale condizionato (iscritto al n. 18768/08 di RG) proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, come innanzi rappresentata e difesa;

– ricorrente incidentale –

contro

M.A., ut supra rappresentato;

– intimato –

entrambi i ricorsi avverso la sentenza n. 13/14/07 depositata il 19 aprile 2007 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 dicembre 2009 dal Cons. dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, svolte dall’avv. Giuseppe MARINI, per il ricorrente, e dall’avv. Amedeo ELEFANTE (dell’Avvocatura Generale dello Stato) per l’Agenzia;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale, con assorbimento di quello incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 3 giugno 2008 al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE ed all’AGENZIA delle ENTRATE ed il giorno 11 giugno 2008 all’Ufficio di Padova 2 della stessa AGENZIA (ricorso depositato il 17 giugno 2008), M.A. – premesso che sulla scorta della segnalazione degli ispettori dell’INAIL i quali il 30 ottobre 2002 avevano redatto “verbale di accertamento” nel quale sostenevano che il 1 ottobre 2002 avevano trovato “intenti a lavorare” nel suo laboratorio di pasticceria suo nipote V.D. (che “aveva appena iniziato l’attività lavorativa”) e tal Z.S. (“pensionato”, “cliente”) non iscritti nei libri paga e nel libro matricola, il competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, in base all'”allora vigente D.L. 22 febbraio 2002, n. 12 art. 3, comma 3, (convertito nella L. 23 aprile 2002, n. 73)” (“che prevedeva l’irrogazione di una sanzione dal 200% al 400% del costo del lavoro sostenuto per ciascun lavoratore irregolare”), gli aveva irrogato una sanzione pari ad Euro 37.133,28 -, in forza di CINQUE motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 13/14/07 depositata il 19 aprile 2007 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto che aveva accolto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (114/12/05) con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Padova, “preso atto delle prove” (“dichiarazioni” del V. e dello Z. nonchè di “dipendenti, di ex dipendenti e di fornitori”) da lui offerte, aveva recepito il suo ricorso.

Nel controricorso notificato il 14 luglio 2008 (depositato il 22 luglio 2008) l’Agenzia intimata (con i “conseguenti provvedimenti in punto di spese di giudizio”) instava per il rigetto dell’avversa impugnazione e, per l’ipotesi di “sua ritenuta fondatezza”, spiegava “ricorso incidentale incondizionato” per la “declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice tributario”.

Il Ministero e l’Ufficio locale dell’Agenzia non svolgevano attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., va disposta la riunione di quello incidentale dell’Agenzia all’anteriore ricorso proposto dal M. avendo entrambe le impugnazione ad oggetto la medesima decisione.

2. In via ancora preliminare, ma gradata, deve essere, di poi, rilevata ex officio e dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto contro il Ministero (la cui partecipazione al processo non emerge dalla sentenza impugnata) per non avere il ricorrente dedotto che detto ente abbia preso parte a precedente grado o fase del giudizio nè allegato (e provato) la titolarità in capo allo stesso di un qualche rapporto giuridico che – come costantemente richiesto da questa Corte (Cass.: 2^, 23 agosto 2007 n. 17922; trib., 7 maggio 2007 n. 10341; 3^, 26 gennaio 2006 n. 1692; 2^, 26 gennaio 2006 n. 1507; 2005 n. 965; 2^, 13 settembre 2004 n. 18346; 2^, 29 aprile 2003 n. 6649; 2^, 4 febbraio 2002 n. 1468; 2^, 23 novembre 2001 n. 14910) – lo legittimi, anche al fine di dimostrare la sussistenza del necessario ed imprescindibile interesse (art. 100 c.p.c.), a resistere all’impugnazione: la necessità di tale accertamento, nel caso, discende dal rilievo che (giusta quanto si legge nella sentenza impugnata) la violazione contestata al M. (a prescindere dalla sua natura tributaria o meno) è stata accertata il primo ottobre 2002, quindi in epoca successiva alla data (primo gennaio 2001) di operatività (D.M. 28 dicembre 2000, art. 1) dell’Agenzia delle Entrate, ente dotato (D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 61, comma 1) di propria “personalità giuridica di diritto pubblico”, del tutto distinta da quella del Ministero detto.

3. Ancora preliminarmente, infine, si deve evidenziare che – diversamente da quanto sotteso nella concorde richiesta delle parti (formulata all’esito della discussione nella pubblica udienza) di affermare la giurisdizione del giudice ordinario – l’afferente questione, siccome posta soltanto nel ricorso incidentale spiegato dall’Agenzia e non pure nell’impugnazione principale del M., non può essere scrutinata con priorità rispetto ai motivi propri del ricorso principale avendo queste sezioni unite affermato (sentenza 6 marzo 2009 n. 5456) il principio (da ribadire per carenza di convincenti argomentazioni contrarie) secondo cui “il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili di ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ ultima sia possibile) da parte del giudice di merito”; “qualora invece”, come nel caso (in cui il giudice tributario di appello, richiamata la pronuncia di queste stesse sezioni unite n. 123 del 2007, ha espressamente affermato “la propria giurisdizione”), “sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale”.

La scrutinabilità della questione concernente la giurisdizione, posta dall’Agenzia, pertanto, è condizionata dall’esito dell’esame del ricorso principale.

4. Nella sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Ufficio osservando:

– “ogni tentativo” di “ulteriormente estendere la portata” della declaratoria di illegittimità costituzionale del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, “non può essere condiviso' avendo la Corte Costituzionale (sentenza 12 aprile 2005 n. 144) “esplicitamente affermato la irragionevole equiparazione, ai fini dell’applicazione della sanzione, di situazioni tra loro diseguali, con riferimento a soggetti che utilizzano i lavoratori irregolari da momenti diversi e per i quali la constatazione della violazione sia, in ipotesi, avvenuta nella medesima data”;

– le “dichiarazioni sostitutive' del V., dello Z. e dei “fornitori” – tenuto conto dell’affermazione di questa Corte (sentenza 29 luglio 2005 n. 16032) per la. quale “in tema di contenzioso tributario le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni… che possono essere utilizzate quando abbiano trovato ulteriore riscontro nelle risultanze dell’accesso diretto dei verbalizzanti” -, “in mancanza di ulteriore documentazione idonea a dimostrare l’insussistenza di rapporti di natura subordinata tra il M. ed i due soggetti rinvenuti presso il suo laboratorio”, “non possono costituire prove ma solo mere affermazioni, prive dei requisiti della certa attendibilità”.

Lo stesso giudice, infine, ha ritenuto “non… meritevole di accoglimento la tesi dedotta all’… udienza dal… M. in ordine all’applicazione della disciplina più favorevole introdotta dal D.L. n. 223 del 2006… tenuto conto che, in materia di illecito amministrativo, vige il principio generale tempus regit actum”.

5. Il M. – riprodotte nel ricorso le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà dello Z. e del V. nonchè di “dipendenti”, “ex dipendenti”, di “fornitori” e di “clienti” esibite al giudice del merito – chiede di cassare tale decisione in forza di cinque motivi (erroneamente numerati sino a sei essendo stato saltato il n. 2).

A. Con il primo il ricorrente denunzìa “violazione e falsa applicazione” del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, (“modalità di quantificazione del costo del lavoro da porre come base per il calcolo della sanzione”) adducendo che, essendo “irragionevole” far dipendere “l’entità della pena da irrogare dal momento dell’anno in cui la violazione viene constatata” perchè un tal “criterio punitivo… creerebbe un’inaccettabile disparità di trattamento di situazioni identiche”, detta norma “non prevede alcuna presunzione” in proposito ma “si limita a stabilire che la sanzione è unica per le violazioni commesse nel periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione ed è pari ad una percentuale… del costo del lavoro che sarebbe stato sostenuto dal datore di lavoro se le giornate effettivamente lavorative fossero state pagate sulla base delle tariffe previste dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro”, “sicchè, come confermato dalla circolare interministeriale n. 56/E del 2002…, la quantificazione del costo del lavoro da porre come base per il calcolo della sanzione non poteva prescindere dalle giornate lavorative effettivamente effettuate dai lavoratori irregolari”.

A conclusione il ricorrente formula questo quesito di diritto:

“Il D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, nella versione vigente all’epoca di riferimento dei fatti controversi, collega l’entità delle sanzioni per il c.d. lavoro sommerso al numero delle giornate effettivamente lavorate fuori regola e… non contiene la presunzione relativa di legge secondo cui, al fine della determinazione delle sanzioni, sarebbe possibile presumere che un lavoratore irregolare accertato tale al momento dell’accesso abbia prestato la propria opera continuativamente ed ininterrottamente dall’inizio dell’anno sino alla data di constatazione della violazione”.

B. Con il secondo motivo il M. – assunta l’illegittimità dell’avviso di irrogazione di sanzione per “mancanza di una presunzione relativa di legge” e per non aver l’Ufficio “fornito alcun elemento che provasse l’impiego irregolare dei lavoratori dal primo gennaio al 30 settembre 2002” – denunzia “contraddittoria motivazione” in ordine alla “valutazione di prove decisive” (“le dichiarazioni di terzo” da lui fornite) adducendo che “la semplice lettura del ragionamento svolto dal giudice… laddove svaluta le dichiarazioni testimoniali risulta incompleto, incoerente e illogico” perchè “non indica quale sarebbe l’ulteriore documentazionè che potrebbe confortare quanto evidenziato dai soggetti terzi nelle dichiarazioni” e “le dichiarazioni rese dagli interessati e dalle persone che avevano accesso al laboratorio… dimostrano ictu oculi l’infondatezza delle accuse mosse dall’Ufficio finanziario” avendo lo Z. dichiarato di “essere pensionato” e di trovarsi “presso il laboratorio… al solo fine di preparare un dolce” per il nipote, il V. di “essere stato assunto” lo stesso giorno primo ottobre 2002 e gli altri confermato queste circostanze.

Secondo il ricorrente, quindi, poichè il “quadro probatorio” attesta che il V. è stato assunto il primo ottobre 2002 e che lo Z. non è mai stato suo dipendente, “non è comprensibile…, nè è stato… spiegato, come possa(no) considerarsi inattendibili le dichiarazioni… laddove le stesse debbono essere considerate in re ipsa credibili”.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., quindi, il M. indica il “fatto controverso e decisivo” nel “periodo di lavoro irregolare svolto da… Z. e da… V. presso il laboratorio di pasticceria”.

C. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia “insufficienza della motivazione' in relazione “alla valutazione di prove decisive” (“dichiarazioni degli stessi lavoratori asseriti irregolari”) sostenendo che la motivazione della sentenza impugnata “si appalesa insufficiente in quanto il giudice ha superficialmente esaminato e valutato… le dichiarazioni dei lavoratori asseriti irregolari che confermano quanto già indicato dai soggetti terzi”.

A sintesi (art. 366 bis c.p.c.), il ricorrente indica il “fatto controverso e decisivo” ancora nel “periodo di lavoro irregolare svolto da… Z. e da… V. presso il laboratorio di pasticceria”.

D. Con il quarto motivo il M. – esposto avere “eccepito” già nel ricorso di primo grado che i funzionar dell’INAIL si erano recati presso il suo laboratorio il primo gennaio 2002 “concludendo la verìfica senza la redazione del processo verbale di accesso e/o verifica” “incombenza prevista da tutte le leggi sul procedimento amministrativo (… riconducibile al principio di trasparenza dell’azione amministrativa di cui alla L. n. 241 del 1990)” e “in diritto tributario” dalla “disciplina di ogni singolo procedimento” (“si veda il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, secondo cui di ogni accesso deve essere redatto processo verbale”) – denunzia, “in relazione all’art. 112 c.p.c.”, che il giudice a quo ha “omesso di pronunciarsi sulla eccepita mancata redazione del processo verbale di accesso e verifica” il cui esame “avrebbe per certo condotto ad una pronuncia di annullamento dell’atto sanzionatorio”.

In conclusione, per il ricorrente (quesito di diritto):

– “il giudice alla luce dell’art. 112 c.p.c., deve pronunciarsi su tutte le domande e/o eccezioni proposte dalla parte”;

– “la sentenza… è viziata per avere omesso di pronunciarsi sull’eccepita carenza di redazione del processo verbale di accesso da parte dei funzionari dell’INAIL”.

E. Con il quinto (ultimo) motivo il ricorrente – assunto che “nei precedenti gradi di giudizio” aveva chiesto l'”applicazione alla vicenda… della disciplina più favorevole introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, convertito nella L. n. 248 del 2006" – contesta l’affermazione del giudice di appello secondo cui “non appare meritevole di accoglimento la tesi dedotta all’odierna udienza dal… M. in ordine all’applicazione della disciplina più favorevole introdotta dal D.L. n. 223 del 2006… tenuto conto che, in materia di illecito amministrativo, vige il principio generale “tempus regit actum” e denunzia “falsa applicazione di legge” (“violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3”, per il comma 3, del quale “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole”) in quanto “nel caso… la legge più favorevole è quella di più recente introduzione” perchè la sua applicazione “avrebbe al più previsto l’irrogazione di una sanzione di Euro. 3.000 per ciascun lavoratore”.

Il ricorrente, quindi, “in via del tutto subordinata”, chiede “la riduzione delle sanzioni in applicazione della legge più favorevole al contribuente”, formulando questo quesito di diritto:

“Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, stabilisce che in materia di violazioni tributarie trova applicazione la legge più favorevole, anche se entrata in vigore in epoca successiva a quella cui si riferiscono i fatti controversi e quindi.. nella specie sono applicabili le sanzioni ridotte introdotte nelle more del giudizio dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis”.

6. Il ricorso del M. deve essere respinto perchè infondato.

A. Il D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3, (nel testo originario, introdotto dalla Legge di Conversione 23 aprile 2002 n. 73, applicabile alla specie ratione temporis), dispone(va): “ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, è altresì punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione”.

A.1. Tale norma, come noto, è stata dichiarata incostituzionale, per “lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.”, dalla competente Corte (sentenza 12 aprile 2005 n. 144) “nella parte in cui non consente al datore di lavoro di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione”.

Il giudice delle leggi – ritenuto indubbio (“non è è dubbio”) che “la disposizione censurata sia funzionale all’esigenza di garantire l’effettività della sanzione senza porre a carico della amministrazione l’onere di fornire tutte le volte la prova della reale durata del rapporto irregolare” – è giunta a detta declaratoria osservando:

– “la base su cui viene quantificata la sanzione prescinde dalla durata effettiva del rapporto di lavoro per essere ancorata ad un meccanismo di tipo presuntivo” in quanto il “trattamento sanzionatorio per l’impiego di lavoro irregolare” è “determinato con riferimento all’entità del costo del lavoro per ciascun lavoratore, computato in relazione al lasso di tempo intercorrente tra il primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione e la data di tale accertamento”;

– siffatta “presunzione assoluta”, però, “determina” (1) “la lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.” (“dal momento che preclude all’interessato ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta e che pertanto sono in grado di incidere sulla entità della sanzione che dovrà essergli irrogata”) e (2) “la irragionevole equiparazione, ai fini del trattamento sanzionatorio, di situazioni tra loro diseguali, quali quelle che fanno capo a soggetti che utilizzano lavoratori irregolari da momenti diversi e per i quali la constatazione della violazione sia in ipotesi avvenuta nella medesima data”.

A.2. Il “meccanismo di tipo presuntivo” predisposto dal legislatore, siccome integrante (art. 2727 c.c.) “conseguenze che la legge… trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato” (quindi una vera e propria presunzione di legge, sia pure, per effetto della declaratoria detta, iuris tantum), per la sua qualità dispensa (art. 2728 c.c.) “da qualunque prova coloro a favore dei quali” quelle “conseguenze” sono “stabilite”: il “meccanismo” detto, quindi, tenuto conto della finalità perseguita dal legislatore (“determinare un ulteriore inasprimento del trattamento sanzionatorio per coloro che continuino ad impiegare lavoratori irregolarmente, nonostante che siano stati introdotti meccanismi agevolati di varia natura per incentivare l’emersione del lavoro sommerso”, come precisato dalla Corte Costituzionale), (1) esclude qualsiasi obbligo dell’ente che irroga la sanzione di provare la effettiva prestazione di attività lavorativa subordinata per il periodo intermedio compreso tra il giorno di accertamento dell’infrazione ed il primo gennaio dello stesso anno e (2) prescrive al medesimo ente di commisurare la sanzione a quella durata avendo il legislatore imposto di presumere (fino a prova contraria facente carico sull’autore della violazione) la stessa in misura corrispondente al detto periodo intermedio.

B. Il secondo ed il terzo motivo – scrutinabili congiuntamente per la identità della critica svolta negli stessi – sottopongono, inammissibilmente, all’esame di questo giudice di legittimità mere questioni fattuali, in ordine alle quali nella sentenza impugnata non si riscontra nessuna carenza propriamente motivazionale.

Il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione, per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie, denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come noto, sussiste soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento; la contraddittoria motivazione, a sua volta, presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., lav., 12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355).

Nel caso le doglianze proposte dal ricorrente si risolvono nella sola esposizione della sua contraria (ma interessata) valutazione della (oggettivamente) totale insufficienza probatoria delle dichiarazioni esibite, nelle quali tutti i dichiaranti si sono limitati ad affermare che ” V.D. è stato assunto.. in data 1 ottobre 2002" e che ” Z.S. non è stato mai dipendente del… M.”, ciascuno ripetendo la generica e vuota formula di “essere informato sui fatti sopra menzionati” per avere “accesso diretto presso il laboratorio di pasticceria”, senza nessuna ulteriore specificazione, per cui resta confermato il complessivo giudizio di inattendibilità (“affermazioni prive della certa attendibilità”) delle stesse reso dal giudice del merito, cui quel giudizio è istituzionalmente riservato.

C. La “carenza di redazione del processo verbale di accesso” – peraltro fondata, principalmente, sul disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, (per la quale: “di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute”; “il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione”; “il contribuente ha diritto di averne copia”), cioè di una norma che regolamenta propriamente gli “accessi”, le “ispezioni” e le “verifiche” degli organi ispettivi tributar e non anche l’attività degli ispettori degli istituti previdenziali, preposti (solo) al controllo dell’osservanza delle diverse norme poste a tutela dei lavoratori subordinati -, dedotta nel quarto motivo di ricorso, non integra nè una domanda nè una eccezione ma soltanto, ove giuridicamente rilevante, un motivo, cioè una ragione ulteriore, dell’unica (o, comunque, principale) domanda, di “annullamento” della sanzione proposta dal M.: l’omessa considerazione della stessa, quindi, non integra violazione dell’art. 112 c.p.c., ma – ove si dimostri idonea a determinare una decisione diversa da quella censurata – influisce, semmai, sulla complessiva valutazione, compiuta dal giudice del merito, dei motivi posti dalla parte a fondamento dell’impugnazione del provvedimento sanzionatorio per cui, come tale, la stessa è contestabile (e valutabile) unicamente come vizio (che, però, il ricorrente non ha nè denunziato nè illustrato) di carenza motivazionale per omessa considerazione del fatto relativo.

D. Il quinto (ed ultimo) motivo è inammissibile. La censura in esso svolta e l’afferente quesito di diritto, infatti, non investono nè contrastano l’affermazione posta dal giudice a quo a fondamento della sua decisione secondo cui la disciplina più favorevole invocata dal M. (peraltro all'”odierna udienza”, quindi solo nella pubblica udienza di trattazione del giudizio in appello e non prima, con conseguente problema anche di ammissibilità della richiesta) non può trovare applicazione perchè “in materia di illecito amministrativo, vige il principio generale tempus regit actum”.

Tale sintetica espressione, infatti, contiene due affermazioni:

la prima, che la violazione ascritta al M. costituisce “illecito amministrativo” e non “tributario”;

la seconda, che la sanzione per l'”illecito amministrativo” è retta dal “principio generale tempus regit actum”.

Il decisum – corretta (ai sensi dell’art. 384 c.p.c.) la motivazione del secondo profilo con le osservazioni che seguono – va confermato perchè conforme a diritto.

D.1. La Corte costituzionale (sentenza n. 130 del 14 maggio 2008), invero, ha fondato la sua declaratoria di incostituzionalità, per riscontrato “contrasto con l’art. 102, comma 2, e con la 6^ disposizione transitoria della Costituzione”, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 1, perchè letto dal “diritto vivente” – quale espresso nell’interpretazione di queste sezioni unite ordinanza 27 marzo 2008 n. 7931, la quale ricorda le pronunce n. 2888 del 2006 (secondo cui “l’oggetto della giurisdizione tributaria si identifica, in via principale, nei tributi di ogni genere e nelle correlative sanzioni, ma anche, in via residuale, con riferimento all’organo (Agenzia delle entrate) che irroga una sanzione amministrativa in ordine ad infrazioni commesse in violazione di norme di svariato contenuto, non necessariamente attinente a tributi, come fatto palese dall’impiego del termine comunque”) e n. 13902 del 2007; cui adde: 11 febbraio 2008 n. 3144) come attributivo anche delle controversie aventi ad oggetto il provvedimento, emesso dall’Agenzia delle Entrate, irrogativo della sanzione amministrativa per la violazione prevista dal D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3, alla cognizione del giudice tributario in esclusivo riferimento alla natura fiscale dell’organo cui il legislatore (comma 4) aveva demandato l’emissione di quel provvedimento – unicamente sulla natura (certamente, siccome posta a tutela dell’osservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro) non tributaria della violazione ascritta al M., affermando che quella devoluzione si risolve “nella creazione di un nuovo giudice speciale”.

Secondo la Corte delle leggi, infatti, “l’identità della natura” (ovviamente tributaria, quanto al giudice tributario) “delle materie oggetto delle suddette giurisdizioni costituisce… una condizione essenziale perchè le modifiche legislative di tale oggetto possano qualificarsi come una consentita “revisionè dei giudici speciali e non come una vietata introduzione di un nuovo giudice speciale”.

D.2. La stessa Corte Costituzionale, di poi (ordinanza 15 luglio 2003 n. 245), in conformità alle precedenti sue “ordinanze n. 140 del 2002” e “n. 501 del 2002”, ha ribadito, specificamente “in materia di sanzioni amministrative pecuniarie”, che:

– “non è dato rinvenire, in caso di successione di leggi nel tempo, un vincolo costituzionale nel senso dell’applicazione della legge posteriore più favorevole” perchè rientra “nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza, modulare le proprie scelte secondo criteri di maggiore o minore rigore a seconda delle materie oggetto di disciplina”;

– “il differente e più favorevole trattamento non irragionevolmente riservato dal legislatore alla disciplina delle sanzioni amministrative tributarie e valutarie, trovando fondamento nell’innegabile peculiarità sostanziale che caratterizza le rispettive materie, non si presta a essere messo a raffronto con la disciplina dettata dalle norme impugnate nè tantomeno a essere esteso in via generale, trasformandosi da eccezione in regola”;

– la “differenza di trattamento di violazioni analoghe commesse in tempi diversi” costituisce “la semplice conseguenza”, “sul piano applicativo”, del “principio di stretta legalità” (quindi non di quello tempus regit actum, indicato dalla Commissione Tributaria Regionale) che “sorregge la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie”.

D.3. Dagli esposti principi discende l’inapplicabilità, ai fini della individuazione del parametro legale di riferimento, (1) della norma (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3, secondo cui “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”) che il ricorrente ritiene violata, perche la stessa si applica soltanto alle sanzioni propriamente tributarie e non anche a quelle non aventi tale natura e, di conseguenza, in carenza di qualsivoglia diversa previsione normativa di applicazione anche alle infrazioni commesse in precedenza;

(2) della modifica (“l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria è altresì punito con la sanzione amministrativa da Euro 1.500 a Euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di Euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo”; “l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a Euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata”) apportata all’art. 3, comma 3, cit. D.L., dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36 bis, comma 7, (convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248).

7. Il rigetto del ricorso principale – giusta il principio di diritto richiamato innanzi sub 3 – importa l’assorbimento di quello incidentale “condizionato” proposto dall’Agenzia avverso il capo con cui il giudice a quo ha espressamente statuito sulla giurisdizione, affermando la propria: questa situazione processuale, pertanto, deve essere aderentemente dichiarata.

8. Per la sua totale soccombenza il M., ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannato a rifondere all’Agenzia le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alla vigenti tariffe professionali, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese processuali relative al ricorso proposto contro il Ministero atteso che questa amministrazione non ha svolto alcuna difesa.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia; dichiara assorbito il ricorso incidentale di quest’ ultima; condanna il M. a rifondere all’Agenzia le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.200,00 (duemiladuecento/00), di cui Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorario, oltre spese generali, accessori di legge e spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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