LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –
Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18479/2006 proposto da:
PASTIFICIO GAZZOLA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato MACIOCI CLAUDIO, che la rappresenta e di fende unitamente all’avvocato GRISERI ROSITA, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
B.B., già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO TOSCANI 95 (STUDIO V. CAVOLI), presso lo studio degli avvocati ROSSO MARIO e CORDERO MILANA, che la rappresentano e difendono, giusta mandato a margine del controricorso e da ultimo domiciliata d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 133/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/02/2006 R.G.N. 1664/04;
udito la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;
udito l’Avvocato TURCHETTI MARINA per delega ROSITA GRISERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il Pastificio Gazzola spa in liquidazione chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Torino pubblicata il 3 febbraio 2006, che, riformando la sentenza emessa dal Tribunale di Mondovì, ha accolto in parte la domanda della lavoratrice B.B. ed ha condannato il pastificio a corrisponderle le differenze retributive conseguenti al riconoscimento della qualifica superiore di ***** livello. Il ricorso è articolato in due motivi. La B. ha depositato controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La ricorrente ha depositato una memoria.
Il ricorso non è fondato.
Con il primo motivo si denunzia una “erronea valutazione dei fatti di causa”, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 26 del ccnl per l’industria alimentare, nonchè la insufficienza ed illogicità della motivazione. La critica centrale mossa alla sentenza è di aver valutato erroneamente i fatti e in particolare di aver valutato erroneamente la prova testimoniale. Ciò avrebbe portato ad una violazione dell’art. 2967 c.c., e specificamente dell’art. 26 del ccnl per l’industria alimentare applicabile al rapporto. E si sarebbe risolto anche in un vizio di motivazione.
Tutti i rilievi critici sono infondati. La ricostruzione diversa dei risultati della prova testimoniale esula dal giudizio di cassazione, che è giudizio di legittimità e non un terzo giudizio di valutazione del merito. La violazione dell’art. 2967 c.c., non sussiste se è fondata solo sulla diversa valutazione delle prove testimoniali, mentre la violazione dell’art. 26 del ccnl, considerata l’epoca della pubblicazione della sentenza, potrebbe rilevare solo come erronea applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 1362 c.c. e ss., che nel caso in esame non viene neanche prospettata.
Infine, la lettura della sentenza permette di escludere che la motivazione possa essere considerata illogica o insufficiente. La sentenza motiva in maniera coerente sul piano logico e con esposizione ed argomenti che certo non possono dirsi insufficienti a spiegare le ragioni della decisione.
Il secondo motivo si sostanzia in una denunzia di violazione di legge perchè la Corte d’appello avrebbe quantificato la condanna al pagamento delle differenze retributive conseguenti al riconoscimento della qualifica superiore, basandosi su conteggi che avrebbe erroneamente giudicato non contestati.
La società ricorrente assume invece di aver proceduto a tale contestazione indicando gli atti in cui vi avrebbe provveduto.
La parte ricorrente, però, sul punto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, omette di riportare nel suo ricorso il testo delle contestazioni che assume di aver svolto, non consentendo una precisa valutazione dei caratteri della contestazione, che ai sensi dell’art. 416 c.p.c., deve essere “precisa e non limitata ad una generica contestazione”.
Il ricorso pertanto deve essere rigettato, con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la spa ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della B., liquidandole in Euro 12,00, nonchè 2.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010