Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.365 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21069/2008 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO N. 35, presso lo studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COSTANTINI CLAUDIA, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO CHIARA, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societarii, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 3503/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/08/2007 R.G.N. 9557/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2009 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato COSTANTINI CLAUDIA;

udito l’Avvocato TURCO CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza non definitiva in epigrafe indicata del 22 agosto 2007 la Corte d’appello di Roma, riformando la statuizione di primo grado, rigettava, per il periodo successivo al 31 ottobre 1992, la domanda proposta da M.G. nei confronti dell’Istituto Poligrafico, diretta alla inclusione dei compensi percepiti per lavoro straordinario nella base di calcolo sia dell’indennità di anzianità e del TFR, sia delle mensilità aggiuntive.

La Corte territoriale affermava che il compenso per lavoro straordinario non può essere computato nel TFR dopo l’entrata in vigore del CCNL del 1992, giacchè in questo era previsto, nella disposizione sulla “nomenclatura”, che per “retribuzione”, e cioè l’istituto a cui le norme sul Tfr sulle mensilità aggiuntive e sulle ferie facevano riferimento, doveva intendersi come quella corrisposta in relazione all’orario normale.

Avverso detta sentenza propone ricorso il M. con un motivo, mentre l’Istituto Poligrafico resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente denunzia violazione di norme di legge e del CCNL per i dipendenti delle aziende grafiche, degli artt. 1362, 1363, 1366 e 2120 c.c., e degli artt. 20 e 28, parte prima del CCNL del 1983, degli artt. 19 e 27 parte prima del CCNL del 1987, degli artt. 21 e 32 parte prima del CCNL del 1989, degli artt. 21 e 34 parte prima del CCNL del 1992, degli artt. 26 e 39 parte prima del CCNL del 1996, nonchè degli artt. 29 e 42 del CCNL del 2000.

Sostiene il ricorrente che il TFR dovrebbe essere ancora comprensivo dei compensi per lavoro straordinario giacchè la relativa disposizione del CCNL non è stata mai modificata, mentre non potrebbe attribuirsi rilievo alla nuova definizione del concetto di retribuzione, introdotta al CCNL del 1992, in quanto non si riferisce espressamente all’istituto del TFR che, per legge, è onnicomprensivo, di talchè, per apportarvi limitazioni, sarebbe necessario una norma espressa ed apposita, che nel CCNL non sarebbe reperibile.

Il ricorso non merita accoglimento.

1. La questione posta alla Corte concerne la determinazione del trattamento di fine rapporto, ed in particolare se la quota di retribuzione da accantonare anno per anno, secondo il disposto della L. n. 297 del 1982, sia comprensiva anche della compenso per lavoro straordinario annualmente percepito.

2. In via generale va osservato che l’art. 2120 c.c. – così sostituito dalla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 1, e recante la disciplina del trattamento di fine rapporto – prevede che in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, divisa per 13,5.

Quindi il parametro di calcolo è una “quota… della retribuzione”. Il comma 2, della medesima disposizione poi specifica che, salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del calcolo del T.F.R., comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.

Pertanto il criterio è quello della omnicomprensività, mentre eccezioni allo stesso possono essere contemplate dalla contrattazione collettiva, che viene autorizzata anche a prevedere, ai medesimi fini, una diversa nozione di retribuzione.

3. Deve precisarsi che ai fini del calcolo del t.f.r. i criteri di quantificazione della retribuzione annua fissati dall’art. 2120 c.c., nuovo testo, possono essere derogati solo dalla normativa collettiva intervenuta successivamente all’entrata in vigore della norma di legge e che tale deroga non può essere effettuata mediante il richiamo a norme pattizie previgenti. Infatti la reviviscenza di dette clausole contrattuali nulle può derivare solo da una “manifestazione di volontà delle parti contraenti che evidenzi una previsione diversa, rispetto a quella legale, circa il criterio specifico per l’individuazione della base di computo del trattamento di fine rapporto” (Cass. 24.6.95 n. 7185).

4. Le disposizioni da applicare sono le seguenti: nel CCNL del 1989, del 1992 e del 1996 la previsione in tema di TFR è rimasta immutata nel seguente tenore: comma 1: in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro il lavoratore ha diritto ad un trattamento di fine rapporto calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari alla retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5….Comma 3: Per quanto non previsto dal presente articolo si fa rinvio alle norme della L. 29 maggio 1982, n. 297.

Gli articoli sulla “nomenclatura” ossia l’art. 21 del CCNL del 1989 dispone: “Agli effetti dell’interpretazione e dell’applicazione del presente contratto la dizione ” Lavoratore”….. Le dizioni stipendio, salario, retribuzione devono essere intese come segue: Retribuzione è quanto complessivamente percepito dal quadro, dall’impiegato e dall’operaio per la sua prestazione lavorativa”.

Nell’art. 21 del CCNL del 1992, seguito poi da tutti i successivi, la disposizione è la seguente: Retribuzione è quanto complessivamente percepito dal quadro, dall’impiegato e dall’operaio per la sua prestazione lavorativa, nell’orario normale”.

5. Quindi il CCNL del 1992 non ha introdotto alcuna innovazione alla disciplina del T.F.R., mantenendo immutata la precedente formulazione dell’art. 34, ove si ribadisce che, per quanto non previsto, si fa riferimento alla L. n. 297 del 1982.

Tuttavia la volontà di escludere detti compensi dalla base di computo di indennità di anzianità e TFR, nell’esercizio della facoltà di deroga prevista dalla L. n. 297 del 1982, sarebbe stata espressa dal medesimo CCNL del 1992, che all’art. 21 ha appunto stabilito che la nozione di retribuzione deve essere intesa come quanto complessivamente percepito per la prestazione lavorativa nell’orario normale, mentre il precedente CCNL del 1989 definiva invece la retribuzione come quanto complessivamente percepito per la prestazione lavorativa.

Dal raffronto dei diversi testi dell’art, 21 emergerebbe quindi la volontà di escludere il compenso per lavoro straordinario dal TFR. 6. Si comprende che la soluzione varia a seconda del peso che si attribuisce alla citata disposizione sulla “nomenclatura”, perchè riconoscendole valenza generale, essa sarebbe applicabile anche al TFR, per cui la quota annuale dovrebbe essere al netto del compenso per lavoro straordinario. Al contrario, dando preminente rilievo ad un elemento diverso, e cioè il fatto che la norma contrattuale concernente il TFR è rimasta immutata sia nei CCNL precedenti, sia nel CCNL del 1992, senza che siano state apportate esclusioni di alcune voci, la prestazione dovrebbe essere mantenuta nei termini fissati dalla legge, ossia calcolata in misura comprensiva anche del lavoro straordinario.

7. Invero nella giurisprudenza di legittimità si rinvengono statuizione divergenti in relazione alle decisioni di merito che hanno interpretato il CCNL, com’era peraltro fisiologico nel regime anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006.

E’ sufficiente rammentare al riguardo l’orientamento pregresso, secondo cui “è fisiologico che due opposte interpretazioni dei giudici di merito di una medesima disposizione collettiva siano entrambe convalidate o censurate dalla Suprema Corte, a seconda del superamento o meno del controllo limitato alla verifica della correttezza della motivazione e del rispetto dei criteri ermeneutica di cui all’art. 1362 cc. e segg.” (tra le tante Cass. 12 maggio 2006 n. 11037; Cass. 5 giugno 2003 n. 9024; Cass. 23 maggio 2001 n. 7039).

Ed infatti con la sentenza n. 2781 del 06/02/2008, si è cassata la sentenza di merito per non avere indagato a sufficienza le norme dei contratti collettivi per i dipendenti dell’Istituto Poligrafico dello Stato del 1989 e del 1992 in materia di incidenza dello straordinario sull’onnicomprensività della retribuzione.

Nello stesso senso è andata la pronuncia n. 5004 del 11/03/2004, giacchè la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che l’art. 34 del CCNL del 1992 per il settore grafico, cosi come l’art. 36 del CCNL del 1996, nel disporre che il TFR si computa sommando per ciascun anno una quota di retribuzione, dovesse essere interpretato, alla luce della nozione di retribuzione definita dai medesimi CCNL, come quanto complessivamente percepito per la prestazione lavorativa nell’orario normale, con conseguente esclusione della possibilità di computare nel TFR il compenso per lavoro straordinario che, per definizione, non è percepito per la prestazione resa nell’orario normale.

In senso contrario è andata la sentenza n. 18289 del 30/08/2007 con cui si è affermato che la nozione legale di cui all’art. 2120 c.c., come sostituito dalla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 1, può trovare una deroga non mediante una generica conferma di precedenti disposizioni contrattuali, ma attraverso una chiara ed univoca volontà delle parti contraenti, non potendosi ravvisare tale intento in una clausola che abbia il mero scopo di esplicitare la nozione contrattuale di alcuni termini ricorrenti, fra i quali quello di “retribuzione”.

8. Nel caso di specie, poichè la sentenza è stata emessa il 22 agosto 2007, deve invece procedersi all’interpretazione diretta della normativa contrattuale, come previsto dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

In proposito, mette conto riportare le argomentazioni svolte dalla citata sentenza n. 18289 del 2007, che più approfonditamente si è confrontata con le norme, contrattuali. Si è osservato che l’eccezione alla regola generale posta dalla norma di legge richiamata (L. n. 297 del 1982, art. 2) non potrebbe essere ricavata “in modo chiaro ed univoco” dall’art. 21 del CCNL (rubricato “nomenclatura”), il quale, i esplicitando il significato di alcuni termini ricorrenti agli effetti dell’interpretazione e dell’applicazione del medesimo contratto, al comma 3, prevede che retribuzione è quanto complessivamente percepito dai quadro, dall’impiegato e dall’operaio per la sua prestazione lavorativa “nell’orario normale”. Secondo detta sentenza, la funzione di tale disposizione è che, quando il contratto stesso fa riferimento alla “retribuzione”, questo rinvio si riempie di contenuto mediante tale definizione contrattuale di “retribuzione”; come anche si ha che, quando la legge considera la retribuzione senza qualificarla come onnicomprensiva, c’è parimenti un rinvio alla nozione contrattuale di retribuzione. Ma in ciò non potrebbe leggersi una deroga implicita – e meno che mai espressa “in modo chiaro ed univoco” – al canone legale dell’omnicomprensività sancito dall’art. 2120, commi 1 e 2, cit., perchè questa disposizione non parla soltanto di “retribuzione”, rimettendone la definizione alla contrattazione collettiva e prevedendo un canone legale solo come residuale, ma detta essa stessa la nozione legale di retribuzione ai fini del T.F.R. (quella omnicomprensiva) facoltizzando nello stesso tempo la contrattazione collettiva ad introdurre delle eccezioni- Si conclude nel senso che quest’ultima può derogare al criterio legale della omnicomprensività ai fini del T.F.R.: a) vuoi prevedendo che alcuni emolumenti non entrano nel calcolo specificamente del T.F.R. ovvero di tutti gli istituti indiretti; b) vuoi più in generale dettando un’autonoma e diversa nozione di retribuzione ai fini del T.F.R.. Invece, si soggiunge, se la contrattazione collettiva non fa nè l’uno nè l’altro, bensì si limita a prevedere in generale – non specificamente ai fini del T.F.R. – una nozione contrattuale di retribuzione, non esercita quella facoltà di deroga consentita dall’art. 2120 c.c., comma 2. In altri termini, la eccezione al principio legale della onnicomprensività non potrebbe essere introdotta in modo indiretto e quasi surrettizio, ma richiederebbe una dichiarazione espressa o comunque desumibile in modo chiaro ed univoco.

9. Il collegio non condivide questo orientamento. La disposizione della L. n. 297 del 1982, prevede che “salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale.

Ne consegue che, nel silenzio del contratto collettivo, la retribuzione da accantonare annualmente non può che essere comprensiva di tutto quanto percepito nell’anno a titolo non occasionale. Poichè però la legge reca la formula “salvo diversa previsione dei contratti collettivi” questa espressione ampia e generica, non impone l’utilizzazione di formule speciali, nè espressamente “derogatorie” rispetto alla previsione della legge. In altri termini, affermando la necessità di una disposizione contrattuale che chiaramente contraddica il disposto della legge, si fa dire a quest’ultima cosa che non dice. Se infatti il legislatore ha statuito sulla misura degli accantonamenti nel silenzio della contrattazione, ha però, nel contempo, pienamente facoltizzato le parti collettive a provvedere diversamente. Ossia, al cospetto della generica formula utilizzata dalla legge, non sembra esservi spazio per discriminare tra le varie espressioni che la contrattazione collettiva può utilizzare, prescegliendone solo alcune, in particolare non si può escludere, se la volontà risulta comunque chiara che le parti stipulanti si esprimano in modo indiretto, facendo riferimento, come nella specie, alla definizione della retribuzione non onnicomprensiva che si trova in un diverso articolo del contratto. Nè vi sono altre clausole, in diverse parti del contratto, che valgano in qualche modo a circoscrivere il rinvio. Peraltro, a differenza di quanto pattuito in sede di nomenclatura per “stipendio” (che comprende paga base e contingenza), la retribuzione è pur sempre onnicomprensiva, essendovi incluse tutte le voci percepite (scatti stipendiali, indennità varie ecc.), con l’unica esclusione dei compensi per lavoro straordinario.

Inoltre, nel caso di specie, sarebbe tanto più arduo circoscrivere l’ambito di operatività di una disposizione, come quella sulla “nomenclatura”, dal momento che questa, ex se, assume valenza generale, avendone le parti voluto l’operatività per tutti i molteplici istituti che nel contorto fanno riferimento alla “retribuzione”; non vi sono cioè elementi per escluderne l’applicazione al TFR, dal momento che anche questo fa riferimento alla “retribuzione”.

Opinando diversamente, si finirebbe col sottrarre senso alla disposizione sulla “nomenclatura” che sembra invece asse “portante” nel complessivo equilibrio raggiunto dalle parti stipulanti, perchè si dovrebbe affermare che quella definizione, contrariamente a quanto pattuito tra le parti, non vale in via generalizzata per tutti gli istituti che alla “retribuzione fanno riferimento'.

Il ricorso va pertanto rigettato, affermandosi il principio per cui a partire dall’entrata in vigore del CCNL del 1992 per i dipendenti delle aziende grafiche ed affini e delle aziende editoriali, la quota annuale di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 1, per il calcolo del trattamento di fine rapporto concerne la retribuzione indicata nell’art. 21 del CCNL sulla nomenclatura, e cioè quella “complessivamente percepito dal quadro, dall’impiegato e dall’operaio per la sua prestazione lavorativa, nell’orario normale”.

Essendo la prima interpretazione diretta della disposizione contrattuale, ed al cospetto, nel passato, di sentenze che hanno diversamente deciso sulla interpretazione data dai giudici di merito, le spese del giudizio vengono compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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