Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.372 del 13/01/2010

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – rel. Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27048/2004 proposto da:

Z.L. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PATANE’ ALFIO GAETANO;

– ricorrente –

e contro

P.E., S.G., SA.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 623/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 03/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2009 dal Consigliere Dott. ALFREDO MENSITIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato l’11.11.1994 S.A. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, Z.L. chiedendone la condanna all’esecuzione di opere idonee ad eliminare le infiltrazioni di umidità verificatesi nel suo appartamento nei modi e termini di cui alla relazione tecnica disposta dal Pretore di Giarre nel corso di altro procedimento.

Chiariva al riguardo di aver acquistato, nel *****, dallo Z., che ne era il costruttore, un appartamento al secondo piano di un Condominio sito in *****; che in detto appartamento si erano verificate infiltrazioni di umidità le quali, nonostante l’intervento riparatore del costruttore, non erano state eliminate, tal che egli, con citazione del marzo 1985, lo aveva citato dinanzi al Pretore di Giarre; che quest’ultimo con sentenza n. 48/86 aveva condannato il convenuto ad eseguire le opere indicate dal ctu nella relazione, opere la cui esecuzione era stata poi demandata a terzi su direzione del ctu. Precisava il S. che, nonostante l’esecuzione dei lavori, le infiltrazioni di umidità non erano scomparse ed egli, nel 1990, aveva nuovamente citato in giudizio il costruttore; che espletata altra CTU il pretore, con sentenza n. 27/93, si era dichiarato incompetente per valore ed aveva rimesso le parti dinanzi al Tribunale; che detto giudizio non era stato tempestivamente riassunto.

Ciò premesso chiedeva che, previa acquisizione agli atti dalla consulenza disposta nel procedimento non riassunto, lo Z. venisse condannato ad eseguire le opere in essa indicate.

Costituitosi, il convenuto contestava le pretese di controparte in quanto inammissibili, improponibili e comunque infondate, eccependo inoltre la prescrizione e la decadenza dell’azione “ex adverso” promossa.

Acquisita la CTU effettuata nel procedimento non riassunto, con sentenza del 19 luglio 1999 il Tribunale di Catania in veste monocratica condannava lo Z. ad eseguire i lavori indicati nella citata consulenza e a rifondere all’attore le spese del giudizio.

Proposto gravame dallo Z., interrotto il processo stante il decesso del S. e costituitisi gli eredi P.E., S.G. e Sa.Gi. che insistevano nelle argomentazioni formulate dal loro dante causa chiedendo in via incidentale che i prezzi per le opere da eseguire fossero adeguati a quelli correnti, con sentenza del 3 luglio 2004 la Corte d’appello di Catania rigettava l’impugnazione condannando l’appellante alle maggioro spese del grado.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Z.L. sulla base di tre motivi.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 50 e 310 c.p.c..

Contesta il ricorrente l’utilizzazione della consulenza tecnica espletata nel processo estinto per mancata riassunzione.

La doglianza è infondata giacchè la sentenza impugnata, con richiamo a copiosa giurisprudenza di legittimità, ha correttamente statuito che il giudice può trarre argomenti di prova dalle risultanze istruttorie di un processo estinto, come si è verificato nel caso di specie, in cui il giudice “a quo” ha basato il proprio convincimento sulla CTU espletata nel diverso giudizio svoltosi nel contraddittorio delle medesime parti del presente procedimento.

Con il secondo mezzo si deduce, sempre in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 1669 c.c..

Assume il ricorrente:

che i due episodi di infiltrazioni di acqua e umidità denunziati nel 1985 e nel 1990 sono del tutto diversi, come facilmente riscontrabile dagli accertamenti peritali;

che il preteso riconoscimento dei vizi denunziati con la prima causa poteva valere solo per quei vizi e non per quelli successivamente riscontrati dal secondo ctu, di cui peraltro veniva contestata la relazione; che i vizi riscontrati dalla seconda consulenza erano facilmente riconoscibili e quindi andavano denunciati entro l’anno dalla scoperta ed il giudizio iniziato entro l’anno successivo e cioè entro il 7 febbraio 1986, atteso che l’atto di acquisto era dell'*****.

Ciò posto, reputa lo Z. che da qualsiasi ottica si guardi l’azione spiegata dagli attuali intimati devesi considerare prescritta e decaduta.

La doglianza non può essere accolta.

Ha affermato la Corte catanese nella qui gravata pronunzia:

Correttamente il primo giudice aveva ritenuto che la domanda del S.A., dante causa degli attuali intimati, andasse inquadrata nella disciplina di cui all’art. 1669 c.c., posto che i vizi riscontrati dal ctu (mancanza di giunti termici nella pavimentazione a protezione del manto di asfalto della terrazza di copertura; insufficiente termocoibentazione sotto il manto di asfalto; inesistenza di adeguata barriera al vapore al di sotto del massetto di pendenza), pur non incidendo sulla stabilità dell’edificio, consistevano in alterazioni che, nonostante investissero direttamente una parte dell’opera, incidevano in maniera globale sulla sua struttura e funzionalità, menomandone apprezzabilmente il godimento.

Sotto tale profilo non poteva negarsi che costituissero gravi difetti di costruzione quelli che, come nel caso in esame, interessavano la terrazza di copertura dell’edificio, determinando infiltrazioni di acque piovane negli appartamenti sottostanti.

Altrettanto correttamente era stato ritenuto che nella fattispecie in esame non operassero i termini di decadenza e prescrizione di cui alla citata normativa sul rilievo (già accertato con sentenza del Pretore di Giarre n. 48/86) che lo Z., avendo già eseguito delle opere di riparazione dell’immobile, aveva con ciò stesso mantenuto un comportamento idoneo a far ritenere l’avvenuto riconoscimento dei vizi; circostanza questa che, da un lato esonerava il danneggiato dall’onere della denuncia dei vizi entro un determinato termine e dall’altro dava vita ad una obbligazione nuova (rispetto a quella originaria di garanzia) svincolata (per costante giurisprudenza) dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1669 c.c., e soggetta invece alla ordinaria prescrizione decennale.

E nel caso in esame, nel momento in cui era stato iniziato il presente giudizio, (citazione dell’11 novembre 1994) non era ancora maturato il suddetto termine decennale di prescrizione correlato alla nuova obbligazione sorta in capo allo Z. a seguito dell’avvenuto implicito riconoscimento dei vizi (come desumibile inequivocabilmente dal contenuto della relazione tecnica redatta dal geometra C., nominato consulente nel corso del procedimento conclusosi con la sentenza del Pretore di Giarre n. 4 8/86, da cui emergeva che l’intervento riparatore dello Z., rivelatosi insufficiente ad eliminare le lamentate infiltrazioni di umidità, poteva farsi risalire a non oltre uno o due mesi prima dell’inizio del procedimento dinanzi a quel giudice, marzo 1985).

Il S., nel corso delle varie azioni giudiziarie intraprese nei confronti del venditore-costruttore aveva sempre lamentato la presenza di infiltrazioni di umidità e chiesto l’esecuzione dei lavori necessari per la loro eliminazione, tal che la circostanza che nel corso del primo procedimento dinanzi al Pretore di Giarre si fosse accertata solo una delle cause generatrici di tali infiltrazioni non era certo di ostacolo alla proposizione dell’ulteriore domanda di risarcimento in forma specifica, in considerazione del reiterarsi dei fenomeni di infiltrazioni le cui cause erano, per come accertato, da ascrivere a carenze costruttive diverse e ben più gravi rispetto a quelle individuate nel primo giudizio.

Ebbene, come ognun vede, tali considerazioni costituiscono apprezzamento di fatto in ordine alla responsabilità dell’appaltatore Z. ai sensi dell’art. 1669 c.c., ed alla mancata operatività nel caso di specie dei termini di decadenza e prescrizione di cui alla citata normativa, non solo completo ed esauriente ma altresì sorretto da motivazione adeguata esente da vizi logici e da errori giuridici e pertanto incensurabile nell’attuale sede di legittimità.

Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto anche in ordine alla lamentata ingiusta condanna alle spese dei giudizi di merito, nei quali è stato invece correttamente applicato il principio che le stesse dovessero essere addebitate alla parte soccombente, mentre lo Z. evita quelle del presente giudizio stante la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472