Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.379 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27668-2004 proposto da:

A.F. C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLE IRIS 18, presso il proprio domicilio, rappresentato e difeso da se medesimo unitamente all’avvocato PANUCCIO ALBERTO;

– ricorrente –

contro

I.G. C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato VALENSISE CAROLINA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BERTELLO UGO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1190/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 27/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato GEROMEL DONATELLA con delega dell’Avvocato VALENSISE CAROLINA difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI jumpaolo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 13.1.1999 G.I. citava in giudizio avanti a Pretore di Torino l’avv. A.F., proponendo opposizione al decreto ing. notif. 4.12.1998 con il quale lo stesso Pretore, su ricorso del convenuto, gli aveva ingiunto il pagamento in suo favore della somma di L. 17.757.000, oltre interessi e spese, quale compenso per prestazioni professionali rese in 4 giudizi in favore dello stesso I.. L’opponente contestava resistenza del credito, deducendo di nulla dovere, sia perchè aveva corrisposto quanto dovuto tenuto conto degli acconti corrisposti e delle somme pagate, sia perchè contestava alcune prestazioni professionali e l’esattezza di alcune voci pretese. Si costituiva l’opposto contestando i motivi dell’opposizione: di cui chiedeva l’integrale rigetto; previa concessione della provvisoria esecutorietà del decreto opposto, che veniva quindi posto in esecuzione dall’interessato il tribunale di Torino, a conclusione dell’espletata istruttoria, con sentenza n. 2173/03 de 10 marzo 2003, accoglieva l’opposizione, ritenendo che il credito dell’avv. A. era di L. 7.164.084 e non già in L. 17.757.080 oggetto dei decreto ingiuntivo; poichè il credito stesso risultava totalmente estinto dal versamento ulteriore di L. 8.500.000 (risultante dai vaglia postali allegati dall’opponente), era revocato il decreto ing. opposto, mentre si riconosceva che l’opponente risultava in credito della somma di L. 1.335.916 nei confronti del professionista, che veniva condannato al pagamento delle spese processuali.

Avverso l’indicata sentenza, l’avv. A.F. proponeva appello, chiedendo la riforma della decisione; resisteva l’appellato instando per il rigetto dell’impugnazione.

L’adito Corte d’Appello, con sentenza n. 1190/2004 dei 14 luglio 2004, depos. il 27.7.2004, in parziale accoglimento dell’impugnazione, compensava in parte le spese dei giudizio di primo grado, ma confermava nei resto l’impugnata sentenza, con compensazione parziale anche delle spese del grado.

Avverso la suddetta pronuncia l’avv. A. propone ricorso per cassazione sulla base di 2 mezzi; l’intimato resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2223 c.c. e della L. 13 giugno 1942, n. 794, L. 24 in relaz. Al D.M. n. 585 del 1994, artt. 1, 2 e 5; nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce che il giudice a quo … “al capo 5.1 della motivazione richiama l’art. 2233 c.p.c. ed afferma che la norma per la determinazione del compenso dovuto per le prestazioni professionali rinvia alle pattuizioni contrattuali; e rilevando che l’avv. A.F. non ha dato prova dell’esistenza di pattuizioni, deduce che, in difetto di accordo tra le parti sul compenso, al professionista spetta il minimo di tariffa, rimanendo escluso che possa essere richiesto e dovuto dal cliente un compenso in ammontare compreso nella forbice tra il minimo e il massimo della tariffa, ma superiore al minimo”. Aggiunge poi che la Corte d’appello nella fattispecie, avrebbe omesso ogni valutazione “sull’opera professionale del professionista “ed avrebbe omesso di raffrontare l’opera svolta con i criteri fissati dalla normativa richiamata …”.

La censura non ha alcun fondamento ed è anzi al limite dell’inammissibilità sia perchè di scarsa intelligibilità, sia in quanto priva dei requisito dell’autosufficienza. Di certo non è ravvisabile alcuna delle denunciate violazioni di legge, in quanto gli onorari non sono stati liquidati al di sotto dei minimi tariffari.

D’altra parte – come ha sottolineato il controricorrente – occorre rilevare che in realtà nè il tribunale, nè la corte ha mai ridotto gli onorari richiesti dall’avv. A., avendo invece operato correzioni e riduzioni di singole note spese con riguardo a diritti non dovuti e a spese ed esborsi non sostenuti, non necessarie o non provate. In ogni caso la liquidazione degli onorari professionali, rientra pur sempre nella valutazione discrezionale del giudice, la cui determinazione, pertanto, se adeguatamente motivata, non è censurabile in questa sede di legittimità.

Con il 2^ motivo il ricorrente denunzia (l’omessa ed insufficiente motivazione per quanto concerne t’ammontare di alcune somme versate da cliente e sulle relative fatturazioni, con gli asseriti errori dei conteggi esposti nelle tabelle riportate sotto i capi 3.5 e 4 della motivazione. Lamenta in specie che il giudice di merito non aveva tenuto in considerazione le spese ed i diritti successivi al decreto ingiuntivo (reso provvisoriamente esecutivo ex art. 648 c.p.c.) di cui all’atto di precetto notificato allo I. il *****;

secondo il ricorrente si tratta di somme dovute anche se il decreto stesso era stato poi revocato, “perchè relative a procedimento legittimamente iniziato per l’esecuzione del titolo ai cui adempimento l’altra parte era obbligata, e le cui spese (andavano) pertanto addebitate, indipendente dalla successiva revoca del titolo … Il dr. I.G. infatti non (aveva) posposto giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. avverso l’atto di precetto”.

Il ricorrente inoltre richiama le fatture n. ***** emesse dal professionista per esborsi con specifiche causali di versamento; deduce che dette spese, non contestate dall’opponente “sono differenti rispetto a quelle riguardanti l’acquisto di marche da bollo per L. 2.982.000 che il Dr. I. ha asserito di avere direttamente sostenuto”. Pertanto … “non potevano essere imputate a deconto degli onorari gli importi per esborsi esposti in dette fatture … mentre nelle tabelle alle pag. 28 e 29 della sentenza …

risulta(va) che l’intero ammontare delle due fatture … (erano) state portate a deconto degli onorari, e la tabella a pag. 30 come somma complessiva dovuta dal dr. I. riporta(va) soltanto l’importo di L 17.750.000 senza aggiungere nè il rimborso delle spese, nè l’importo dei diritti relativi all’atto di precetto”.

Inoltre nella tabella di cui a pag. 29 della sentenza la Corte avrebbe conteggiato due volte la somma di L. 8.500.000, mentre l’importo fatturato era di L. 10.737.640, eseguito dallo I. tramite n. 4 vaglia postali; deduce infine che il calcolo riportato nella tabella a pag. 30 della sentenza,” che si conclude con l’enunciazione di un debito di L. 6,032,000 a carico dell’avv. A.F., è anch’esso viziato per omessa o insufficiente motivazione, perchè nella voce a credito dello stesso riporta soltanto la somma di L. 17,750.000, senza tener conto che quella somma costituisce soltanto l’importo dei diritti ed onorari … e non include rimborso spese, cpa, iva e spese successive. “Le doglianza predette sono prive di ogni fondamento. Si rileva in primis che la caducazione del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo rende evidentemente inesistenti tutti gli effetti che lo stesso abbia successivamente prodotto, comprese dunque le spese sostenute per la sua esecuzione; d’altra parte sarebbe assurdo pretendere che il debitore per avere diritto alla ripetizione delle somme stesse debba proporre opposizione a precetto all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., che peraltro non avrebbe giuridico fondamento stante la presenza di un valido titolo esecutivo sia pure provvisorio; si rileva infine al riguardo, che il creditore, nel momento in cui chiede la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ex art. 648 c.p.c., evidentemente si accolla tutti i rischi connessi con la possibile successiva revoca dello stesso e quindi con l’intervenuta caducazione del titolo esecutivo provvisorio.

Per quanto riguarda le altre questioni sollevate (certamente non in linea con il principio dell’autosufficienza del ricorso), si osserva che in definitiva trattasi di questioni di merito puntualmente ed analiticamente esaminate e risolte dal giudice a quo con motivazione ampia e dettagliata, corredata da chiare tabelle riepilogative e pertanto immune da vizi logici e giuridici. Peraltro – come ha obiettato il controricorrente – si tratta di questioni che non attengono a punti decisivi della controversia perchè il giudice con tali dati ha determinato incidenter tantum il credito restitutorio dello I. che aveva pagato all’avvocato molto più del dovuto.

Si legge invero nella sentenza, subito dopo la tabella conclusiva di cui a pag. 30 (richiamata dal ricorrente) quanto segue:

Poichè parte appellante ne presente giudizio, pur avendone titolo, non ha proposto alcuna domanda recuperatoria, essendosi limitata alla richiesta di rigetto dell’appello; poichè l’appello principale comunque non potrebbe portare al riconoscimento di un credito dell’ A. superiore rispetto a quello portato dal ricorso per d.i.; poichè tal debito, pur supposto esistente, è comunque estinto, consegue che parte appellante non ha alcun interesse all’esame minuto delle singole voci di parcella di cui ai motivi suddetti. Donde il rigetto degli stessi”. Ora tale punto non è stato oggetto di specifica impugnazione, per cui la questione ora sollevata in merito all’esattezza di alcuni conteggi deve ritenersi inammissibile, salvo a considerarla alla stregua di un vizio revocatorio, che però, come tale, non può essere fatto valere nella presente sede di legittimità.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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