LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28257-2004 proposto da:
IMPRESA MASTIO GIUSEPPE P. IVA ***** in persona del titolare e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BERTOLONI 35, presso lo studio dell’avvocato BIAGETTI VITTORIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
SAIM DI MARIO SOTGIU & C SNC P. IVA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE presso lo studio dell’avvocato GROSSI DANTE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARRAS GIANNI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 467/2004 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di SASSARI, depositata il 17/09/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;
udito l’Avvocato BIAGETTI Vittorio, difensore del ricorrente che ha chiesto di illustrare e richiamare oralmente le proprie difese depositate;
udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 4.6.96 M.G. citò al giudizio del Tribunale di Nuoro la società SAIM di Mario Sotgiu & C. s.n.c., al fine di sentirla condannare al pagamento della somma di L. 848.545.347. Espose di aver eseguitogli appalto della convenuta, lavori di demolizione di un fabbricato e scavo del terreno e di aver ricevuto un corrispettivo di L. 337.500.000, tuttavia risultalo largamente insufficiente in relazione alla particolare difficoltà ed onerosità del lavoro, a causa della natura rocciosa del suolo, per cui l’effettivo importo delle opere eseguite ascendeva a L. 1.186.045.347 donde la richiesta differenza.
Costituitasi la convenuta, chiese il rigetto della domanda,eccependo che il compenso incassato dall’attore era quello pattuito e che mai, nel corso dei lavori, la controparte aveva formulato riserve.
La domanda fu respinta dal tribunale adito con sentenza del 27.4.03, sugli essenziali rilievi che lo stesso attore aveva ammesso, nel corso del formale interrogatorio che il corrispettivo ricevuto era quello preventivamente pattuito quale compenso massimo, mentre i testi avevano riferito che il terreno era stato preventivamente visionato da un tecnico di fiducia dell’appaltatore e questi nessuna riserva aveva avanzato nel corso delle opere.
Appellata dal M., cui resisteva la SAIM,la suddetta decisione veniva confermata, con condanna dell’appellante alle spese, dalla Corte d’Appello di Cagliari. sez. dist. di Sassari, con sentenza del 14/17.9.04. Premesso che l’attore aveva l’onere di provare se il compenso fosse stato pattuito a misura o a forfait e successivamente dimostrare che nel corso delle opere si fossero incontrate difficoltà imprevedibili, la corte di merito considerava che anche a voler ritenere che la domanda integrasse una richiesta di equo compenso ex art. 1664 c.c. per “sorpresa geologica le relative prove a supporto della stessa erano mancate. In particolare non poteva valere a dimostrare l’imprevedibilità delle difficoltà geologiche e che le stessa fossero state tempestivamente denunciateci conteggio prodotto quale consulenza di parte dal M. nè poteva al riguardo disporsi una consulenza tecnica di ufficio, non essendo compreso tra i quesiti proposti il calcolo della misura del compenso dovuto ex art. 1664 c.c., nè onere della Corte proporre indagini afferenti a richieste non ben precisate dall’attore”, il quale, peraltro, aveva “sempre chiesto il pagamento dei lavori e non il compenso per le asserite impreviste difficoltà”. Pertanto la reiezione della domanda veniva “decisa non tanto sulle risposte rese dal M. al formale interrogatorio … ma sul riscontro della mancanza di ogni prova in ordine al verificarsi della sorpresa geologica, della sua incidenza sulle difficoltà delle opere pattuite e dei parametri da adottarsi per la determinazione del relativo compenso.
Conseguentemente risultavano irrilevanti le doglianze dell’appellante deducenti la nullità dell’interrogatorio – e delle prove testimoniali assunte su richiesta della controparte, dal momento che era l’attore a non aver dimostrato gli elementi a sostegno della propria domanda.
Per la cassazione della suddetta sentenza il M. ha proposto ricorso basato su tre motivi illustrati con successiva memoria.
Ha resistito la SAIM con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 1657 e 1346 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Le doglianze attengono alla mancata determinazione, del “giusto compenso” per le opere appaltate, per essersi limitata la corte di merito alla verifica dei presupposti di cui all’art. 1664 c.c., senza considerare la fattispecie sotto il profilo di cui all’art. 1657 c.c., in un contesto nel quale il contratto era stato stipulato oralmente e tra le parti era controverso solo se il coni penso, inizialmente pattuito per la realizzazione della opere commissionato, fosse a forfait ovvero a misura. Avendo la parie attrice chiaramente e semplicemente esposto che “il costo dell’opera era risultato altamente superiore alle previsioni e che quindi il compenso attribuito – sia esso stato o meno pattuito tra le parti – non era idoneo a compensare l’onere sopportato per l’esecuzione dei lavori”, giudici di merito avrebbero dovuto fornire risposta, previa adeguata qualificazione giuridica della pretesa ed individuazione dei mezzi istruttori necessari dirimendo il contrasto che verteva non solo “sul carattere a forfait o a misura del prezzo, ma sullo stesso prezzo complessivo”. La corte territoriale non avrebbe dovuto, dunque, limitarsi a decidere la causa sull’assunto che l’impresa M. non avrebbe fornito la prova che il prezzo fosse stato pattuito a misura, ma avrebbe dovuto essa stessa procedere in via sussidiaria, alla determinazione del giusto prezzo.
Le censure non meritano accoglimento, considerato che la domanda di determinazione del prezzo ai sensi dell’art. 1457 c.c. avrebbe dovuto essere comunque corredata da sufficienti indicazioni atte ad individuare i parametri oggettivi, sulla base dei quali il giudice di merito avrebbe potuto determinare, in via integrativa e con l’eventuale ausilio di un consulente tecnico, il giusto compenso dovuto all’attore. Ma di tali indicazioni non vi è cenno nel ricorsole nella sentenza impugnatacene correttamente pertanto ha ritenuto di non poter prendere in considerazione la domanda per l’indeterminatezza della stessa,non solo sotto il profilo formale,non avendo l’attore chiarito se intendesse agire ex art 1657 o 1664 c.c. ma anche e soprattutto sotto quello sostanziale, poichè la mancata precisazione dei preventivi patti intervenuti tra le parti circa le modalità di determinazione del compenso (se a corpo o a misura) e degli stessi elementi oggettivi della resa prestazione (quali l’ampiezza della superficie scavata, la profondità dello scavo, la quantità di materiale estratto, i mezzi impiegati, la durata del lavoro) non consentivano al giudice, in cospetto dell’inottemperanza della parte attrice all’onere non solo probatorio, ma anche deduttivo, di assolvere al compito sussidiario previsto dall’art. 1657 c.c.. Tale norma, infatti, pur derogando a quella generale di cui all’art. 1346 c.c., nel senso che la mancata determinazione del corrispettivo di appalto non è causa di nullità del contratto,presuppone tuttavia che siano comunque determinati o, quanto meno, determinabili, gli altri elementi oggettivi del contratto, non potendo l’intervento del giudice estendersi anche alla ricerca degli stessi, tanto meno nell’ipotesi in cui la domanda risulti ambigua come nel caso di specie, in cui neppure erano stati precisati i criteri in base ai quali le parti avevano quantificato, il pur rilevante, corrispettivo percepito durante l’esecuzione dei lavori.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1664 c.c., art. 99 c.p.c., con connesse carenze e contraddittorietà di motivazione, censurandosi l’affermazione della corte di merito secondo la quale l’impresa Mastio non avrebbe mai proposto una domanda di equo compenso ai sensi dell’art. 1664 c.c., sicchè tale mancanza sarebbe stata di per sè sufficiente al rigetto della domanda. Tale affermazione si porrebbe in insanabile contrasto con altra precedente di segno opposto, nella quale, dopo aver evidenziato che il primo giudice aveva qualificato proprio nei suddetti termini la domandala corte aveva considerato “ciò …
perfettamente congrua al testo dell’atto di citazione in primo grado …” sicchè la controversia avrebbe dovuto, tanto più che nulla in contrario era stato dedotto dall’appellante, “esser limitata al predetto ambito giuridico”.
L’infondatezza anche di tale motivo risulta evidente alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, atteso che l’equo compenso dovuto in dipendenza della cd. “sorpresa geologica” di cui all’art. 1664 c.c., comma 2 costituisce un supplemento di natura indennitaria, proporzionale al prezzo (pattuito dalle parti o in difetto, determinato dal giudice ex art. 1657 c.c.), assolvente alla funzione di reintegrare l’appaltatore dei maggiori oneri dispetto al compenso contrattuale, subiti per effetto delle impreviste ed imprevedibili (secondo i canoni dell’ordinaria diligenza professionale) difficoltà incontrate nell’esecuzione della prestazione, per ostacoli di natura geologica e simili. Dovendo tale indennizzo essere liquidato tenendo conto del prezzo originario,ne consegue che in difetto dì prova o deduzione di quest’ultimo, neppure sarebbe stato possibile da parte dei giudici di merito provvedere alla relativa determinazione, mancando la necessaria base di partenza a tal fine. In altri termini,pur non essendovi necessaria alternatività o incompatibilità tra le due domande, ex art. 1657 c.c. e art. 1664 c.c., comma 2 costituendo la determinazione del giusto prezzo ove non pattuito dalle parti un prius rispetto a quella dell’equo compenso previsto dalla seconda norma, l’inaccoglibilità della prima,per indeterminatezza dei relativi elementi oggettivi, non avrebbe potuto che comportare anche quella della seconda, anche a prescindere dal difetto di adeguate prove in ordine alla verificazione della cd.
“sorpresa geologica”.
Con il terzo motivo si deduce mancanza o insufficienza di motivazione su punto decisivo della controversia e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., censurandosi le argomentazioni secondo le quali sarebbe mancata la prova dell’imprevedibilità delle difficoltà incontrate e che l’impresa le avesse tempestivamente denunziate; sotto quest’ultimo profilo si osserva divertendosi in rapporto di appalto privato, nessun onere incombeva sull’impresa di iscrivere riserve nei documenti contabili entro termini perditori come nei casi di appalti pubblici. Si lamenta ancora la mancata considerazione della prodotta perizia giurata di parte e la mancata ammissione della, pur richiesta, consulenza tecnica di ufficio, che in quel contesto particolare avrebbe costituito l’unico modo per verificare la sussistenza delle dedotte difficoltà di scavo e l’imprevedibilità delle stesse. Neppure tali censure meritano accoglimento.
A parte l’evidente difetto di autosufficienza e specificità, laddove non riportano, neppure in sintesi il contenuto della prodotta perizia stragiudiziale che i giudici di merito hanno rilevato essere costituita da un “mero conteggio”, è agevole osservare che una consulenza tecnica di ufficio sarebbe stata esperibile in funzione della quantificazione del giusto prezzo e dell’equo compenso, ai rispettivi sensi dell’art. 1657 c.c. e art. 1664 c.c., comma 2 solo se ammissibilmente proposte e provate nei rimanenti elementi le relative domande, ma non anche in funzione esplorativa, per fornire la prova ex post dei fatti, integranti le condizioni dell’azione, così sopperendo all’inerzia probatoria della parte onerata. Ed a tal proposito, per quanto riguarda la domanda ex art. 1664 c.c., comma 2 la corte territoriale, pur tralasciando le risultanze delle prove orali di segno contrario assunte in primo grado (interrogatorio formale dell’attore e prova testimoniale), la cui validità era stata contestata nell’atto di appello, ha comunque evidenziato come l’appellante attore non solo avesse omesso, a sua volta, di fornire adeguate prove in ordine all’effettivo svolgimento dei fatti così come esposti, segnatamente con riferimento alla verificazione degli imprevisti ed imprevedibili ostacoli incontrati durante i lavori, ma anche tenuto,nel corso di questi ultimi,un comportamento palesemente incompatibile con la dedotta tesi della “sorpresa geologica” non avendo provato di averne, ove la stessa si fosse effettivamente verificata, messo a conoscenza la committente, come pur sarebbe stato ragionevole e conforme al principio della buona fede, cui le parti devono ex art. 1375 c.c. improntare la propria condotta durante l’esecuzione del contratto in considerazione della notevole rilevanza economica delle opere appaltate e degli aggravi che la relativa prosecuzione avrebbe comportato. Le doglianze contenute nel motivo d’impugnazione si risolvono, pertanto, in palesi censure in fatto avverso le argomentazioni con le quali i giudici di merito hanno ritenuto non provala e screditata dallo stessa condotta contrattuale dell’appaltatore la sussistenza delle condizioni dell’azione in questione senza incorrere in vizi logici, nè in malgoverno di norme di diritto. A tal ultimo riguardo palesemente inconferente risulta la deduzione dell’assenza dell’obbligo, in tema di appalto tra privati, dell’iscrizione di “riserve”, dal momento che la corte di merito non ha rilevato un’omissione formale in proposito, ma solo valutato nel particolare contesto, il comportamento silente dell’appaltatore, pur retribuito nel corso dell’esecuzione dei lavori, quale elemento atto a screditare ulteriormente una domanda altrimenti non provata.
Il ricorso va in definitiva respintole spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore della resistente, delle spese del giudizio liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui 200 per esborsi.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010