Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.381 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

Sul ricorso proposto da:

R.L. C.F. *****, B.M. C.F.

***** elettivamente domiciliati in ROMA, VIA EUSTACHIO MANFREDI 17, presso lo studio dell’avvocato ZEMA DEMETRIO, rappresentati e difesi dall’avvocato PALMI ENRICO;

– ricorrenti –

contro

Q.M. DITTA;

– intimato –

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. ENNIO MALZONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 20.2.97 i coniugi R.L. e B.M., promissari acquirenti di un immobile in via di costruzione in ***** da parte del promittente venditore Q.M., convennero in giudizio costui, per ottenere la restituzione della somma di L. 10.000.000 versata a titolo di acconto e indebitamente trattenuta dal promittente a titolo di caparra a seguito della manifestata loro intenzione di recedere dal contratto e della correlativa accettazione da parte del promittente, assumendo che la caparra era stata convenuta per la sola somma di L. 2.000.000, mentre il restante versamento era avvenuto in acconto del prezzo concordato per l’acquisto dell’immobile.

Il convenuto, costituitosi contestava l’avverso dedotto, asserendo che la somma di L. 12.000.000 gli era stata versata tutta come caparra confirmatoria.

Il Tribunale di Taranto, competente a seguito della costituzione del Giudice Unico,con sentenza n. 152/01 accoglieva la domanda e condannava il convenuto alla restituzione della somma di L. 10.000.000 e spese.

La Corte di Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, con sentenza n. 203/04, depositata il 16.6.04, in accoglimento dell’appello proposto dal Q., rigettava la domanda e condannava gli appellati al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Per la cassazione della decisione ricorre la parte soccombente esponendo quattro motivi. Nessuna difesa è stata svolta dall’intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per difetto di motivazione in relazione all’art. 1418 c.c..

Si sostiene che l’attento esame del contratto preliminare avrebbe dovuto indurre a dichiarare la nullità del preliminare per indeterminatezza sia della natura dell’immobile se abitazione o ufficio, di cui alla promessa di vendita, sia degli obblighi nascenti dal contratto a carico dei promissari.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per difetto di motivazione in relazione all’art. 1342 c.c..

Si sostiene che la promessa di vendita conterrebbe una seconda parte aggiuntiva nella quale non si parla minimamente di somme versate o da versarsi a titolo di caparra, bensì che il versamento di L. 2.000.000 è asseverato come pagato e che con l’aggiunta “il restante entro la consegna” si da atto del pagamento di L. 10.000.000,ma senza precisare se a titolo di caparra o acconto sul prezzo, sicchè le aggiunte al contratto escludono la volontà di versare la ulteriore somma a titolo di caparra.

Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per difetto di motivazione in relazione all’art. 1370 c.c..

Si sostiene che in forza della norma richiamata avrebbesi dovuto escludere la volontà di costituire una qualsiasi somma a titolo di caparra con contenuto penitenziale.

Con il quarto motivo di ricorso deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1366 c.c., si sostiene che la Corte di merito non si era minimamente preoccupata di indagare quale era la comune intenzione delle parti, nè di mettere in relazione la clausola finale aggiuntiva, che prevedeva l’inserimento di un appartamento valutato L. 60.000.000 circa, che stravolgeva i termini contrattuali di pagamento previsti nella prima parte del preliminare.

Con il quinto motivo deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 6 in relazione all’art. 1373 c.c., si sostiene che il promittente, accettando il recesso,aveva conseguentemente rinunciato alla compravendita, sicchè lo scioglimento del rapporto doveva essere considerato assolutamente definitivo per reciproco consenso.

Con il sesto motivo di ricorso deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 circa il punto in cui asserisce che “il tenore logico letterale della clausola contrattuale del preliminare di vendita,reso palese dalle espressioni usate è quello di regolare il prezzo complessivo dell’immobile merce pagamenti che dovevano considerarsi quale caparra confirmatoria” in considerazione delle annotazione apposte in calce al contratto;

Si contesta l’assunto riportandosi alle precedenti considerazioni.

I motivi primo, secondo quarto e sesto del ricorso, essendo sostanzialmente connessi, possono essere decisi congiuntamente e vano rigettati perchè sono infondati.

Vale, innazitutto, osservare che l’impugnata sentenza non merita censure sul piano logico-giuridco quanto alla motivazione adottata.

Ed infatti, la Corte di merito ha espresso in maniera chiara che dal contesto del preliminare risulta che le parti intesero regolare il prezzo complessivo dell’immobile mediante pagamenti parziali, che, per quanto espresso nelle annotazioni in calce al contratto, dovevano considerarsi eseguiti a titolo di caparra confirmatoria, di tal che la conseguenza da trarsi non può essere diversa da quella assunta dalla Corte di merito di considerare irrimediabilmente compromessa la possibilità di recupero delle stesse somme da parte dei promissari con la loro rinunzia alla stipula del definitivo, comunicata alla promittente con la missiva del *****, dal momento che la parte adempiente aveva la possibilità di scelta tra il ritenere la caparra o chiedere il risarcimento del danno per l’inadempimento della controparte.

Non risulta che si versi in ipotesi di clausole aggiuntive inserite in un modulo o formulario predisposto unilateralmente dalla promittente, per cui non trova applicazione l’art. 1370 c.c..

Parimenti è a dirsi della censura sotto il profilo dell’art. 1418 c.c.. in assenza di una specifica causa di nullità, che, per essere esaminata, abbisognava di essere prima enunciata e poi provata.

Ne consegue che la sola questione proponibile avrebbe potuto essere l’interpretazione delle clausole contrattuali che definiscono il regime dei versamenti in acconto sul prezzo definitivo, ma tale questione incontra il vizio di autosufficienza del ricorso, in quanto non sono state riprodotte in ricorso le parti del contratto in discussione.

La mancata costituzione dell’intimata esime dalla decisione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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