Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.389 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.G. (c.f. *****), nella qualita’ di legale rappresentante della Macrochip S.r.l., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 190, presso l’avvocato FAVINO LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato TARLAO ALBERTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DI MACROCHIP S.R.L., CAPITALIA J.V. S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 415/2007 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 17/08/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 22/09/2009 dal Consigliere Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto depositato in data 29.1.2007 la s.r.l. Capitalia Service J.V. chiedeva al Tribunale di Trieste che venisse dichiarato il fallimento della s.r.l. Macrochip, sostenendone lo stato d’insolvenza.

Con sentenza dei 15.6.2007, dopo un rinvio di tre mesi richiesto dalla Microchip che aveva dichiarato di essere in attesa di un finanziamento, il Tribunale ne dichiarava il fallimento, ritenendo provati sia lo stato d’insolvenza, che il presupposto soggettivo richiesto dalla l. Fall., art. 1, comma 2, lett. a), come sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 1, comma 2, lett. a), in quanto dal bilancio del 2005 era risultato un totale di investimenti pari alla somma capitale di Euro 451.703,00.

Proponeva impugnazione N.G., quale legale rappresentante della societa’ fallita, ed all’esito del giudizio la Corte d’Appello di Trieste con sentenza del 14 – 17.8.2007 rigettava il gravame.

Rilevava la Corte d’Appello che correttamente il Tribunale aveva considerato fra gli investimenti, come dei resto rappresentato in bilancio i beni immateriali costituiti dai brevetti e dalle ricerche in quanto, tenuto conto dell’oggetto sociale della fallita (ricerca e sviluppo di conoscenze finalizzate alla produzione di nuove tecnologie), il prodotto di quella impresa e’ il risultate finale di un investimento nella ricerca e nello sviluppo, con la conseguenza che sul piano contabile la relative spese non possono che far parte delle componenti attive del patrimonio sociale.

Sotto il profilo giuridico riteneva poi che, qualora detti investimenti fossero stati inferiori rispetto a quanto indicato in bilancio, si sarebbe configurato un falso in bilancio di cui la societa’ non avrebbe potuto certamente giovarsi, attesa la necessita’ di tutelare l’affidamento del terzo, quale e’ la banca istante, la quale ha ritenuto di poter erogare il prestito, nella consapevolezza che in base a detti investimenti la societa’ non poteva considerarsi piccolo imprenditore. Richiamava infine la giurisprudenza, pur datata, di questa Corte la quale ha affermato che con l’espressione “capitale investito”, contenuta anche nella norma in esame, debba intendersi la quantita’ di ricchezza complessivamente immessa nell’attivita’ commerciale.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione la Microchip s.r.l. che deduce tre motivi di censura.

La controparte non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale deve essere dichiarata la inammissibilita’ dei ricorso per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 50 del 2006, art. 6 ed applicabile “ratione temporis” nel caso in esame, essendo stata depositata la sentenza impugnata in data 17/08/2007, vale a dire successivamente all’entrata in vigore di detta legge.

In linea di principio infatti il quesito di diritto, in relazione alla censura di violazione di legge rapportata all’art. 360 c.p.c., n. 3, deve consistere in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimita’, formulala in termini tali che dalle risposte, positive o negative, che ad essa vengano date discende in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (vedi fra le tante Cass. 4008/08).

In altri termini il quesito deve possedere una propria autonoma sufficienza e non deve essere intelligibile solo attraverso il contenuto del ricorso perche’ in tal caso si risolverebbe nella abrogazione tacita della norma in esame (vedi Sez. Un. 7258/07);

inoltre non puo’ esaurirsi in un’enunciazione di carattere generale, priva di qualsiasi riferimento alla fattispecie (Sez. Un. 6420/08).

A tali principi non si e’ attenuta la ricorrente.

Quanto ai primi due quesiti, ne seno evidenti la genericita’ e la mancanza di collegamento con la fattispecie in assenza di qualsiasi relazione con l’oggetto sociale della societa’ (sviluppo e sviluppo), valorizzato dalla Corte d’Appello per precisare il contenuto da attribuire agli investimenti cui fa riferimento l’art. 1, comma 2 lett. a) nella formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, 4 con decorrenza dal 16.7.2006 ed applicabile quindi al caso in esame.

Per quanto riguarda poi il terzo motivo, incentrato unicamente sulla sentenza n. 570 del 2 2.12.1989 della Corte Costituzionale (che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della L. Fall., art. 1 come modificato della L. n. 1375 del 1952, art. unico in ordine alla definizione di piccolo imprenditore) ed in particolare sul punto della motivazione in cui si sottolinea la necessita’ di evitare fallimenti nei confronti di soggetti aventi un esiguo patrimonio, la censura e’ del tutto priva dei quesito,- al di la’ di ogni considerazione sulla sua rilevanza.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla disposto in ordine alle spese, non avendo la controparte svolto alcuna attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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