Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.390 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27301-2005 proposto da:

SOCIETA’ GENERALE AGROINDUSTRIALE – S.G.A.I. S.P.A. (c.f.

*****), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 113/A, presso l’avvocato GUCCI DARIO, rappresentata e difesa dall’avvocato ALLOCCA GIANCARLO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.F. (c.f. *****), nella qualità di titolare della cessata ditta individuale Termotecnica N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELL’ORSO 74, presso l’avvocato DI MARTINO PAOLO, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSARA FILIPPO, MASSARA CARLO DOMENICO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1973/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/09/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del 27.1.2003 il Tribunale di Torre Annunziata ha accolto la domanda proposta da N.F. nei confronti della s.p.a. S.G.A.I. avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 171.123,81, oltre interessi legali, portata da titoli cambiari protestati, privi di efficacia esecutiva per essere prescritta l’azione cambiaria.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 28.6.2005, ha confermato la decisione del Tribunale, appellata dalla società convenuta la quale, per quanto ancora interessa, aveva sostenuto in primo grado che i titoli erano stati emessi in base al rapporto nascente da un contratto di appalto stipulato tra le parti in data ***** ed avente ad oggetto i lavori occorrenti per le opere impiantistiche necessarie alla costruzione di uno stabilimento industriale e, in relazione al predetto contratto, aveva contestato l’effettiva realizzazione delle opere per cui non poteva ritenersi maturato diritto al compenso. Inoltre, aveva dedotto che il N. era stato sottoposto a procedimento penale per sovrafatturazione e aveva chiesto la sospensione del processo in vista degli accertamenti penali.

La Corte territoriale ha osservato che il motivo di impugnazione con il quale la Società SGAI, aveva ribadito “che le somme richieste in citazione dal N. non sono allo stesso dovute in quanto le opere previste dal contratto sono state eseguite solo parzialmente e, per le opere realizzate, la ditta appellata è stata interamente soddisfatta mediante il pagamento di circa un miliardo e duecento milioni” era da ritenere inammissibile in quanto contenente un’eccezione nuova.

Invero, in primo grado la convenuta aveva eccepito che “in merito al contratto di appalto si contesta l’entità dell’importo richiesto che va riferito al completamento dell’appalto che non ha visto la realizzazione dell’opera con la conseguente mancata maturazione di quanto eventualmente dovuto”.

Con il motivo di appello in esame, quindi, l’appellante assumeva sostanzialmente di aver corrisposto il corrispettivo dovuto: “le somme richieste non sono dovute: la richiesta di detti importi infatti non risulta giustificata da azioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle pagate”.

Infine, la Corte di appello ha ritenuto inammissibile, ex art. 345 c.p.c., la produzione del nuovo documento costituito da una relazione di collaudo del novembre 2 001 nella quale si affermava che la somma dovuta, pari a L. 1.209.226.666, sarebbe stata “a suo tempo versata alla ditta creditrice”.

Contro la predetta sentenza la società convenuta ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso il N. il quale, successivamente, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.- Con il primo motivo la società ricorrente lamenta l’erroneità della mancata ammissione in appello della relazione di collaudo, trattandosi di documento che non aveva potuto produrre in primo grado e la mancata produzione non era “colpevolmente imputabile” alla convenuta. Inoltre, si trattava di documento indispensabile per la decisione perchè attestante che il valore delle opere era inferiore all’ammontare dei titoli azionati e di altri in possesso dell’attore, che si era riservato di azionare separatamente. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione alla ritenuta novità dell’eccezione di pagamento della somma di circa un miliardo e duecento milioni di lire. Deduce che quanto allegato in secondo grado non contrasta con quanto affermato in primo grado.

Deduce, ancora, che “si è accertato definitivamente che con i costi indicati nella Relazione Ministeriale, i titoli cambiari prodotti nonchè gli altri in possesso (come pure afferma parte attorea) non avevano più il conforto di un rapporto sostanziale sottostante come indicato nei costi concordati ma sfiduciato in quanto corretto sia sotto il profilo penale (salvo quanto questo giudice definitivamente accerterà) sia sotto il profilo amministrativo accertato dalla Relazione Ministeriale ai fini del collaudo finale e della corresponsione dell’ultima tranche di contributo e secondo la quale tutto risulta già totalmente pagato”.

3.- Osserva la Corte che entrambi i motivi di ricorso sono infondati.

Quanto al primo, invero, la decisione impugnata ha correttamente applicato il principio per il quale “nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3 va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione” (Sez. U, Sentenza n. 8203 del 20/04/2005).

In relazione ad entrambi i requisiti previsti dall’art. 345 c.p.c. la censura è priva di specificità in quanto la società ricorrente non indica quali mezzi di prova abbia offerto per dimostrare l’impossibilità di tempestiva produzione del documento, risalente al *****, quindi ad epoca di molto antecedente a quella di decisione in primo grado.

Inoltre, nel ricorso non si spiega la decisività della Relazione Ministeriale di collaudo – e ciò riguarda anche il secondo motivo di ricorso – a fronte della presunzione di esistenza del rapporto sottostante di cui all’art. 1988 c.c. e della mancata allegazione del modo di estinzione dell’obbligazione risultante dai titoli prodotti dall’attore e ricondotti proprio dalla società convenuta a contratto di appalto.

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato e le spese del presente giudizio – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dell’intimato in Euro 3.500,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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