Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.392 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28331-2004 proposto da:

C.P. (c.f. *****), C.O. (c.f.

*****), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E.

GIANTURCO 5, presso l’avvocato CARBONI SANDRO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARBONI GIORGIO, AMERINI FRANCESCO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

R.S., C.U.;

– intimati –

sul ricorso 2867-2005 proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA NUOVA SCITI S.C.AR.L. (c.f.

*****), in persona del Curatore fallimentare dott. R.

S., elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE GIANICOLENSE 95, presso l’avvocato CORSINI ANDREA, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOSIA GIUSEPPE IGNAZIO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.P., C.O., C.U.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3 8/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2009 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

preliminarmente vengono riuniti i due ricorsi vertenti sul medesimo provvedimento impugnato;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato NICOSIA che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale e deposita nota spese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, inammissibilità o rigetto del ricorso principale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 28 e 29 marzo 1993 il fallimento della cooperativa NUOVA SCITI a r.l. conveniva dinanzi al Tribunale di Grosseto i sigg. C.O., C.P. e C.U. per ottenerne la condanna in solido al pagamento della somma di L. 249.673.142 a titolo di saldo del corrispettivo di un contratto di appalto di opere edili da essa eseguito prima della dichiarazione di fallimento.

Costituendosi ritualmente in giudizio, i convenuti eccepivano la responsabilità contrattuale dell’appaltatore per vizi e ritardi nell’esecuzione dei lavori ed opponevano altresì in compensazione il credito portato da un decreto ingiuntivo esecutivo ottenuto da una terza società, Sugherificio Etruria di Cini & Co. s.a.s in liq., di cui essi si erano resi cessionari dopo la sentenza di fallimento.

Nel corso dell’istruttoria era esperita consulenza tecnica d’ufficio, integrata con successivo supplemento.

Con sentenza 25 gennaio 2002 il Tribunale di Grosseto accoglieva la domanda nei limiti della compensazione eccepita e per l’effetto condannava i convenuti al pagamento della somma di L. 22.942.568, oltre gli interessi legali, e alla rifusione di metà delle spese di giudizio.

In parziale accoglimento del gravame della curatela, la Corte d’appello di Firenze con sentenza 14 gennaio 2004 condannava i signori C. al pagamento della maggior somma di Euro 57.907,40, oltre al rimborso di metà delle spese processuali.

Motivava.

– che la competenza funzionale del giudice fallimentare ex art. 92, L. Fall., non era assoluta, comportando esclusivamente l’impossibilità di pronunciare nei confronti della massa, e poi di eseguire, una condanna al pagamento di una somma di denaro: restando fuori del divieto il mero accertamento di un debito risarcitorio conseguente all’inadempimento della società appaltatrice fallita;

– che la liquidazione dei danni da ritardo nella consegna dell’opera era stata correttamente ritenuta ammissibile dal tribunale in via equitativa, ma in concreto appariva liquidata in misura eccessiva e andava ridotta alla somma di L. 30 milioni;

– che era applicabile la compensazione solo limitatamente alla parte del controcredito vantato direttamente dai sigg. C. e scaduto anteriormente alla sentenza di fallimento, mentre era inammissibile ex art. 56, comma 2, L. Fall. in ordine all’ulteriore credito di cui essi si erano resi cessionari in data successiva alla sentenza di fallimento della debitrice Nuova Sciti s.c.ar.l..

Avverso la sentenza, non notificata, proponevano ricorso per cassazione, articolato in tre motivi e notificato il 10 dicembre 2004, i sigg. C., deducendo:

1) la violazione degli artt. 112, 329, 342 e 345 cod. proc. civ. per omessa rilevazione del giudicato interno formatosi sull’esigibilità del controcredito opposto in compensazione, scaduto anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento: esigibilità, non contestata con motivo di gravame e negata invece dalla Corte d’appello di Firenze che, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, aveva dichiarato inammissibile, in parte qua, la compensazione, adducendo la data posteriore al fallimento dell’acquisto del credito;

2) la violazione delle norme suddette e la carenza di motivazione sulla ritenuta scadenza in data successiva al fallimento del credito opposto in compensazione;

3) la violazione degli artt. 1218, 1223, 1226 e 2697 cod. civ. nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla liquidazione equitativa del danno da inadempimento contrattuale in misura inferiore alla somma determinata dal Tribunale di Grosseto.

Resisteva con controricorso la curatela del fallimento della Nuova Sciti srl, che proponeva, a sua volta, ricorso incidentale in ordine alla ritenuta ammissibilità della domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto d’appalto e del conseguente risarcimento del danno.

All’udienza del 30 settembre 2009 il Procuratore generale ed il difensore del fallimento Nuova Sciti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Carattere prioritario riveste la disamina del ricorso incidentale del fallimento Nuova Sciti s.r.l. volto a censurare il rigetto dell’eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto d’appalto e di risarcimento del danno svolta dai committenti, sigg. C..

Al riguardo si osserva, in sede dogmatica, che tale domanda, prospettata sulla causa petendi dell’inadempimento del contraente fallito, non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto solo qualora essa risulti “quesita” prima della sentenza dichiarativa del fallimento (Cass., sez. 1, 16 maggio 2002, n. 7178;

Cass., sez. 2, 26 marzo 2001, n. 4365).

Il principio enunciato dall’art. 52, legge fallimentare, nega infatti al creditore concorsuale iniziative giudiziarie suscettibili di alterare la par condicio creditorum; e quindi, la proponibilità di azioni giudiziarie, quale appunto quella di risoluzione contrattuale, cui conseguano effetti restitutori – e a fortiori risarcitori – incompatibili con la regola della cristallizzazione dei crediti e della indisponibilità dei beni acquisiti al fallimento (Cass., sez. 1, 17 gennaio 1998, n. 376).

Tuttavia, il divieto opera solo nei riguardi di un’azione di condanna nei confronti del fallimento svolta secondo il rito ordinario – e dunque anche in via riconvenzionale nel giudizio proposto dalla curatela per far valere un diritto di credito vantato dal fallito verso terzi – e trova la sua ratio nella specialità del rito; e non già nella competenza inderogabile del tribunale fallimentare (Cass., sez. 1, 9 dicembre 1998, n. 12.396), applicabile alla diversa ipotesi di azione derivante dal fallimento (art. 24, L. Fall.).

In quest’ottica, esso va quindi di conserva con l’analogo divieto dell’azione esecutiva individuale fondata su di un eventuale giudicato di condanna formatosi verso il fallito anteriormente alla dichiarazione di fallimento (art. 51, L. Fall.).

Per contro, l’inibizione non investe anche l’eccezione riconvenzionale, e cioè quel mezzo esclusivamente difensivo volto a paralizzare la pretesa creditoria del curatore, mediante compensazione con un controcredito (art. 56, L. Fall.);

se necessario, con la sua riserva di contenimento entro i limiti di valore del petitum avversario.

In questo caso, nel giudizio proposto dal curatore per la condanna al pagamento di un debito nei confronti del fallito, la deducibilità in compensazione di un credito del convenuto non è subordinata alla sua previa verifica nelle forme concorsuali; con l’unico limite dell’inammissibilità di una condanna del fallimento per l’eventuale eccedenza (Cass., sez. 1, 9 gennaio 2009, n. 287).

Ne consegue che non incorre, nella specie, nell’improcedibiltà derivante dall’art. 52, L. Fall. l’accertamento del credito dei sigg.

C. verso la Nuova Sciti ai soli fini della compensazione parziale: e tale principio di diritto è stato rispettato dalla Corte d’appello di Firenze, sia pure con formulazione meno lineare, legata alla natura di mero accertamento della propria pronuncia.

Non vi è dunque identità dei presupposti con il precedente invocato dalla difesa del fallimento Nuova Sciti (Cass., sez. unite 12 novembre 2004, n. 21499), formatosi in una fattispecie di concomitante pendenza, nello stesso giudizio, della domanda di condanna svolta dalla curatela e di una vera e propria domanda riconvenzionale scaturente dal medesimo rapporto negoziale:

fattispecie, che questa Corte, a superamento di un orientamento pregresso, ha sottratto alla disciplina del simultaneus processus ex art. 36 cod. proc. civ., dinanzi al giudice fallimentare.

Sotto diverso profilo, va pure esclusa l’inammissibilità della risoluzione del contratto d’appalto, per inadempimento dell’impresa fallita, in ragione degli effetti restitutori ad essa connessi, lesivi della par condicio.

Come sopra spiegato, ad onta del nomen iuris di domanda riconvenzionale, l’inadempimento contrattuale della Nuova Sciti è prospettato in funzione dell’accertamento di un credito risarcitorio di importo inferiore al petitum della curatela: in tal modo configurandosi, in realtà, come eccezione di compensazione, compatibile, come detto, con le regole del concorso (art. 56, L. Fall.).

Passando alla disamina del ricorso principale, si osserva che con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 112, 329, 342 e 345 cod. proc. civ. per omessa rilevazione del giudicato interno formatosi sull’esigibilità del controcredito opposto in compensazione, scaduto anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento.

L’eccezione è infondata.

La Corte d’appello di Firenze, nella parte in cui ha accolto il motivo di gravame della curatela del fallimento Nuova Sciti, ha ridotto l’importo del controcredito alla voce risarcitoria per danni da inesatto adempimento del contratto d’appalto; mentre ha escluso l’ulteriore credito derivante da un titolo diverso, oggetto di cessione, da terzi in favore dei sigg. C., successiva al fallimento. Nell’ambito di un motivo di gravame volto a contestare la compensazione operata in primo grado, non è quindi andata ultra petita, nè ha violato la preclusione ob rem judicatam, col rilevarne l’inammissibilità L. Fall., ex art. 56, comma 2, sul presupposto che si trattasse di obbligazione non ancora scaduta alla data post fallimentare dell’acquisto.

E ciò, indipendentemente dall’inesatta applicazione della norma alla fattispecie concreta, di cui alla successiva doglianza.

Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la violazione dell’art. 56, L. Fall., e la carenza di motivazione sulla ritenuta scadenza in data successiva al fallimento del credito opposto in compensazione.

Il motivo è fondato.

Come sopra osservato, la Corte d’appello di Firenze ha escluso la compensabilità con il credito ceduto, avente titolo diverso dal contratto d’appalto, assumendo che esso non fosse ancora scaduto alla data del fallimento. Ma la statuizione – astrattamente rispondente alla previsione di cui all’art. 56 cpv., L. Fall., – non è sorretta da alcuna motivazione: tale non potendosi considerare il riferimento alla data dell’acquisto del credito (art. 1260 cod. civ.), che non costituiva, certo, la causa genetica dell’obbligazione stessa, nè tanto meno ne identificava la data di scadenza. Sul punto è del tutto mancata la valutazione – ed eventualmente, la confutazione – del dato di fatto rilevante ai fini in esame, allegato dai ricorrenti (e confermato dalla stessa sentenza di primo grado del Tribunale di Grosseto) del pregresso accertamento del credito in un separato giudizio monitorio, definito ben prima della cessione, con la conseguente esecutività definitiva del decreto ingiuntivo (art. 653 cod. proc. civ.).

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1218, 1223, 1226 e 2697 cod. civ. nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla liquidazione equitativa del danno da inadempimento contrattuale.

Il motivo è infondato.

La liquidazione equitativa del danno rientra nella valutazione del giudice e ha natura di merito; sottraendosi quindi al sindacato di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione.

Nella specie, contrariamente a quanto censurato sul punto, la Corte d’appello di Firenze ha fatto puntuale riferimento alla perdita di occasioni di locazione vantaggiose, all’impossibilità di utilizzare il bene, alla perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente, nonchè ai maggiori oneri conseguiti al ritardo nel completamento dell’opera. Una volta individuati gli elementi di fatto da prendere in considerazione, la riduzione della somma attribuita, a tale titolo, in primo grado non pecca di arbitrarietà, in assenza di evidente vizio di incongruità per difetto, rispetto al caso concreto; dal momento che il ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 cod. civ. presuppone, per l’appunto, l’impossibilità di una dimostrazione minuziosa e particolareggiata dell’ammontare del danno (Cass. 8 Novembre 2007 n. 23304; Cass. 18 agosto 2005, n. 16992).

La sentenza dev’essere quindi cassata nei limiti sopra indicati, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione per un nuovo giudizio che accerti la data della genesi del credito ceduto ai sigg. C. in funzione della successiva compensabilita con la pretesa creditoria fatta valere dalla curatela.

In considerazione della particolarità della fattispecie, caratterizzata da obiettivi profili di incertezza e disputabilità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso incidentale;

– Accoglie nei sensi di cui in motivazione il secondo motivo del ricorso principale, rigettati il primo e terzo, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, per un nuovo giudizio;

– Compensa tra le parti le spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 Settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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