LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12530-2004 proposto da:
A.G. (c.f. *****), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LO GIUDICE VITTORINO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CALTAGIRONE (c.f. *****), in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DI BLASI VINCENZO, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 301/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 18/03/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2009 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA AURELIO che ha concluso per il rigetto del primo motivo, accoglimento del secondo e terzo motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 19.12.1997, A.L., premesso che il Comune di Caltagirone, con ordinanza del 24.11.1995, seguita, il 15.01.1996, dall’immissione in possesso per maggiore estensione e da ulteriore decreto del 20.10.1997, aveva occupato mq 222 di terreno di sua proprietà, poi irreversibilmente trasformato tramite la realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione, adiva la Corte di appello di Catania chiedendo la condanna dell’ente locale al pagamento dell’indennità di occupazione temporanea, salvo il risarcimento dei danni subiti. Nel giudizio si costituiva il Comune, contestando la fondatezza della domanda, ed il *****, spiegava intervento volontario A.G., quale comproprietario con il fratello A.L. del terreno occupato dall’ente locale, deducendo anche che per atto pubblico del ***** si era reso assegnatario della quota in titolarità del fratello e, dunque, di essere divenuto proprietario esclusivo del bene in questione.
Con successivo atto di citazione, notificato il 5.01.2000, A. G. conveniva in giudizio, dinanzi alla medesima Corte distrettuale, il Comune di Caltagirone ribadendo di essere divenuto proprietario esclusivo del terreno che era stato occupato per la realizzazione delle opere si cui al progetto approvato il ***** e deducendo che, con ordinanza del 18.10.1999, il terreno era stato espropriato con incongruo indennizzo, limitatamente a mq 649, mentre in realtà era stata occupata la maggiore superficie di mq 845,59. Chiedeva, quindi, che il Comune fosse condannato a pagargli le giuste indennità di occupazione legittima e di esproprio, oltre accessori e salvo il risarcimento del danno.
Riunite le due cause, con sentenza del 5.07.2002-18.03.2003, l’adita Corte di appello, anche disposta una CTU, respingeva le domande proposte da A.L. e con riguardo a quelle proposte da A.G. determinava in Euro 50.111,33 l’indennità dovutagli per l’espropriazione del suo fondo esteso mq 649, disposta con decreto sindacale n. 19 del 18.10.1999, nonchè l’indennità per l’occupazione legittima di mq 45, disposta con ordinanza n. 17 del 24.11.1995, da incrementare entrambe degli interessi legali. La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro ed in sintesi:
– che prima della stipula dell’atto di assegnazione del 5.08.1997, con cui la proprietà dei terreni occupati era stata trasferita in via esclusiva a A.G., essi appartenevano alla società Alparone Costruzioni s.n.c. di Alparone Giovanni e Luigi e poichè dagli atti risultava che A.L. aveva proposto il giudizio in proprio e non in rappresentanza di detta società proprietaria dei beni, la sua domanda doveva essere respinta per difetto di legittimazione attiva che non tutte le domande spiegate da A.G. potevano ritenersi ricomprese nell’ambito della propria competenza esclusiva in unico grado ex L. n. 865 del 1971 e che in particolare esulavano dalla sua competenza speciale le nuove domande dallo stesso formulate all’udienza del 6.11.2000, di precisazione delle conclusioni, tra l’altro anche inammissibili perchè tardive:
– che con Delib. G.M. 31 dicembre 1993, n. 1152 era stato approvato il progetto per la realizzazione dei lavori di urbanizzazione primaria della via *****, e le medesime opere erano state anche dichiarate di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti, che con ordinanza n. 36 del 20.10.1997 era stata determinata l’indennità provvisoria di espropriazione in L. 19.470.000 per una superficie di complessivi mq 649 e che successivamente, con ordinanza n. 19 del 18.10.1999, era stata pronunciata l’espropriazione relativamente alla medesima superficie di mq 649;
– che, dunque, all’ A.G., divenuto proprietario dei beni dal *****, spettava:
a. l’indennità di espropriazione limitatamente alla superficie di mq 649 contemplata sempre per l’esecuzione di detti lavori, nel provvedimento ablativo che era stato adottato il *****, in riferimento alla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla Delib. Giuntale 31 dicembre 1993 e non già in mancanza di tale declaratoria, come sostenuto dall’attore con riguardo all’ordinanza sindacale n. 17 del 24.11.1995, con cui era stata disposta l’occupazione temporanea e d’urgenza, indennità per la cui determinazione occorreva applicare i criteri di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, trattandosi di area edificabile, e recepire il valore venale unitario di L. 299.000, indicato dal ctu in riferimento alla data dell’esproprio, senza operare l’abbattimento del 40%, nella specie non applicabile, atteso l’incongrua offerta da parte dell’espropriante;
b. l’indennità di occupazione legittima, da determinarsi in misura percentuale rispetto alla suddetta indennità di esproprio, solo per il periodo intercorso tra il *****, data del provvedimento ablativo, e con limitato riferimento alla porzione estesa mq 45 di cui, a differenza della residua estensione, l’occupazione temporanea e d’urgenza risultava essere stata autorizzata per l’esecuzione di detti lavori, con ordinanza sindacale del 24.11.1995;
– che gli indennizzi dovevano essere maggiorati degli interessi legali secondo i precisati criteri e decorrenze ma non anche rivalutati per effetto dell’inflazione monetaria.
Contro questa sentenza A.G. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 30.04. 2004 al Comune ed a A.L., affidato a tre motivi. Il Comune di Caltagirone ha resistito con controricorso notificato il 9.06. 2004 al ricorrente ed a A. L.. Entrambe le parti hanno ritualmente depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In primo luogo devono essere dichiarati irricevibili tutti i documenti inseriti nel ricorso seppure tramite trascrizione integrale, estranei all’ambito di quelli di cui, in base all’art. 372 c.p.c, è consentito il deposito in sede di legittimità.
A sostegno del ricorso A.G. denunzia:
1. “Errores in procedendo. Art. 360 c.p.c., nn. 2, 3 e 5. Violazione della L. 22 otto 1971, n. 865, art. 19. Errores in iudicando. Difetto dei presupposti per la liquidazione dell’indennità di esproprio.
Illegittimità dell’occupazione. Violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13. violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E. incompetenza per materia ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia”.
Sostiene in sintesi:
– che l’occupazione aveva di fatto riguardato un’estensione del suo terreno maggiore di quella indicata nei provvedimenti di occupazione e di espropriazione, e pari a mq 845,59 come da CTU, che, inoltre, aveva ribadito e chiesto di limitare la prosecuzione del processo ai mq 45 occupati, poichè esulava dalla speciale competenza della Corte di appello la decisione per l’occupazione e l’espropriazione di detta area, avvenuta in carenza di potere ed integrante ipotesi di occupazione usurpativa per l’intero o per le maggiori superfici, a nulla rilevando l’adozione del provvedimento di esproprio, stante la carenza di potere e la mancanza/inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità e che avrebbe dovuto essere disapplicato, con conseguente suo diritto al risarcimento del danno subito e non all’indennità di esproprio da occupazione legittima;
– che sulla denunziata carenza di potere e mancanza di dichiarazione di pubblica utilità la Corte ha omesso ogni valutazione e motivazione;
– di non avere formulato domande nuove in sede di conclusioni ma di avere solo chiesto il rilievo d’incompetenza, essendo emerso che le superfici effettivamente occupate erano pari a mq 849,59 e, quindi, ben più estese di quelle contemplate dai provvedimenti di occupazione e di esproprio;
– che vertendosi in ipotesi di occupazione usurpativa, la Corte distrettuale avrebbe dovuto rilevare la sua incompetenza a decidere, verificando l’assenza dei presupposti per la chiesta determinazione dell’indennità di esproprio;
– che la sentenza è illegittima, abnorme, contraddittoria, priva di motivazione;
– che le ragioni della ricorrenza di un’occupazione usurpativa ed in carenza di potere per il difetto della dichiarazione di pubblica utilità erano palesi, dal momento pure che la stessa Corte aveva rilevato che alcun provvedimento legittimava un’occupazione di estensione superiore ai mq 45, che inoltre piano particellare e progetto originar non includevano la maggiore estensione occupata e che la dichiarazione di pubblica utilità non conteneva la fissazione del termine per l’ultimazione dei lavori prescritta dalla L. n. 865 del 1971, art. 13.
2. “Errores in iudicando. Violazione di legge, violazione L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 3, 4, 15 e 16 e L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 10. Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia”.
Si duole conclusivamente che i giudici di merito abbiano omesso di verificare la ricorrenza dei presupposti dell’occupazione legittima o di quella illegittima ed usurpativa, nonostante che il piano particolare e la Delib. n. 1152 del 1993 non ricomprendessero l’estensione di mq 845,59 occupata.
3. “Violazione della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis e successive modifiche ed integrazioni e della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65”.
Deduce che trattandosi di occupazione usurpativa le rubricate norme erano inapplicabili, che a seguito della scadenza dei termini per il completamento dei lavori e di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 13, avrebbero dovuto essere disapplicati sia il decreto di occupazione d’urgenza che il decreto di esproprio e che la Corte distrettuale avrebbe dovuto rimettere la causa ad altro giudice in sede risarcitoria sia per la perdita di disponibilità del bene per l’occupazione dello stesso e sia per il risarcimento del danno da occupazione usurpativa.
I primi due motivi di ricorso, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, non hanno pregio dal momento che:
– la fattispecie, qualificabile come “occupazione usurpativa”, ovvero come manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, è costituita da un comportamento di fatto dell’amministrazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, che in effetti è ravvisabile anche per i terreni nei quali nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica, si sia verificato uno sconfinamento da aree legittimamente occupate (cfr Cass. Su 200703723).
– ineccepibilmente, peraltro, la Corte di appello ha affermato che la sua speciale competenza in unico grado, prevista dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 19 e 20, era limitata esclusivamente alle domande formulate dall’ A. negli atti di citazione e di intervento, inerenti alla determinazione amministrativa dell’indennità di espropriazione di mq 649 ed all’indennità di occupazione legittima di mq 45, sulle quali poi si è pronunciata favorevolmente per il ricorrente, mentre non poteva estendersi ad altre domande estranee a tale speciale competenza, quale la domanda di risarcimento dei danni subiti da detta parte in relazione all’asserito illecito sconfinamento, essenzialmente ritenendo, sia pure per implicito, che tale sconfinamento, suscettibile di autonomo rilievo, in diversa sede giudiziaria, non interferisse con il conseguimento degli indennizzi relativi alle porzioni di terreno legittimamente occupate temporaneamente e poi definitivamente ablate, nel senso di determinare la riconduzione dell’intera vicenda nell’ambito di una occupazione temporanea e definitiva illecita;
– l’attore, inoltre, non può impugnare per incompetenza – anche per materia – la pronuncia, pur a lui sfavorevole nel merito, del giudice da esso stesso adito, non sussistendo l’interesse ad impugnare la sentenza, per la non configurabilità di una soccombenza in punto di competenza (cfr Cass. 200214006);
– nel giudizio promosso dall’espropriato dinanzi al giudice ordinario per la determinazione dell’indennità di espropriazione in misura più elevata di quella fissata in via amministrativa, la questione relativa alla legittimità del provvedimento ablatorio non costituisce premessa logicamente e giuridicamente necessaria della pronuncia richiesta, la quale postula soltanto l’esistenza del provvedimento medesimo (cfr. cass. 199309448; 199011041);
– nel verificare l’esistenza del provvedimento di esproprio, risultato adottato il 18.10.1999, la Corte distrettuale ha correttamente esteso l’accertamento anche all’esistenza della relativa dichiarazione di pubblica utilità, rinvenuta nella Delib.
giuntale 31 dicembre 1993, dopo avere rilevato che l’ A. aveva eccepito la mancanza di detta declaratoria soltanto con rilevato erroneo riguardo al contenuto dell’ordinanza sindacale n. 17 del 24.11.1995, che aveva autorizzato l’occupazione preespropriativa;
– il ricorrente non ha affermato di avere posto nel corso del precedente grado del giudizio anche questioni inerenti all’invalidità, o inefficacia pure della dichiarazione di pubblica utilità di cui alla delibera giuntale del 31.12.1993, valorizzata dai giudici di merito, o del decreto di esproprio, ulteriori rispetto a quella sollevata e sfavorevolmente apprezzata dalla Corte distrettuale, le quali esigono anche accertamenti in fatto preclusi in questa sede, e, dunque, non possono essere prospettate per la prima volta in cassazione, ai fini di affermare, tra l’altro in contrasto con la tesi iniziale, il diritto al risarcimento del danno in luogo dell’attribuito e non impugnato indennizzo espropriativo (in tema cfr Cass. 200810560).
Anche il terzo motivo del ricorso principale non è fondato, dal momento che per le ragioni in precedenza esposte, la Corte di merito, si è giustamente ritenuta competente a decidere sulle pretese indennitarie dell’ A., rinvenienti dai decreti di occupazione legittima e di esproprio e nei limiti delle aree, d’indole edificabile, indicate in tali provvedimenti.
L’ A. non ha impugnato anche la determinazione dell’indennizzo espropriativo o i criteri a tale fine applicati, per cui il relativo capo è divenuto definitivo per acquiescenza. Invece, con il terzo motivo di ricorso ha posto in discussione anche l’applicato criterio di liquidazione dell’indennità da occupazione temporanea, già calcolata in rapporto all’indennità di esproprio determinata ai sensi della L. n. 359 del 1992, rubricato art. 5 bis, e dunque, limitatamente a questo credito indennitario, ed a seguito del nuovo quadro normativo determinatosi per effetto della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 2007, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 (in tema, tra le altre, Cass. 200800599; 200811480), la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di merito, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. L’indennità di occupazione legittima dovrà, infatti, essere rideterminata in rapporto all’indennità di esproprio calcolata ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, ossia con applicazione del criterio del valore venale del bene.
P.Q.M.
La Corte respinge i primi due motivi di ricorso e decidendo sul terzo motivo cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010