LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
G.D.E. (c.f. *****), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. Q. VISCONTI 20, presso l’avvocato PETRACCA NICOLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato URCIOLO ALDO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
S.G. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 20, presso l’avvocato AGALBATO MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato DONATI FILIPPO, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 19/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/01/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 20.1.1997 S.G. chiedeva al Tribunale di Firenze che venisse dichiarata la cassazione degli effetti civili del matrimonio, a suo tempo contratto con G.D.E., la quale, costituitasi, non si opponeva, ma chiedeva la corresponsione in suo favore di un assegno divorziale di L. 2.000.000 mensili.
Il Tribunale con sentenza non definitiva dichiarava la cessazione del vincolo e, successivamente, con sentenza definitiva, riconosceva alla G. un assegno mensile di Euro 750,00.
Proponeva impugnazione lo S. ed all’esito del giudizio, nel quale si costituiva la G. contestando la fondatezza del gravame, la Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 14.10.2005-9.1.2006, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la richiesta della G. di corresponsione dell’assegno divorziale.
Dopo aver precisato che in sede di separazione non era stato previsto alcun contributo dello S. al mantenimento della moglie e che, successivamente alla separazione, le condizioni economiche di quest’ultima costituite da un reddito di L. 2.400.000 mensili (L. 2.000.000 a titolo pensione sociale e L. 2.200.000 originate da un appartamento sito in Nizza e dal possesso del 40/% delle quote della società proprietaria di un agriturismo piuttosto redditizio nella cui struttura risiedeva) non erano mutate sebbene avesse subito un incidente, come del resto era emerso dal procedimento penale per il reato di cui all’art. 572 c.p., dal quale lo S. era stato assolto in quanto i redditi della G. erano stati riconosciuti adeguati, osservava la Corte d’Appello che nessuna rilevanza poteva assumere ai fini in esame l’ingente patrimonio immobiliare da costui ereditato, sia pure in comunione con i fratelli, trattandosi di evento verificatosi in data 12.2.1995, vale a dire molto tempo dopo l’udienza di comparizione per la separazione risalente al 19.11.1987, e da considerarsi estraneo quindi nella valutazione sul tenore di vita goduto dalla moglie in costanza di matrimonio.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione G.D.E. che deduce due motivi di censura. Resiste con controricorso S.G..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso G.D.E. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e successive modificazioni nonchè difetto di motivazione.
Lamenta che la Corte d’Appello, pur riconoscendo natura assistenziale all’assegno divorziale, abbia comparato le sue attuali condizioni economiche a quelle di cui godeva non già come avrebbe dovuto, in costanza di matrimonio ma al momento della separazione, senza peraltro tener conto delle sue attuali precarie condizioni di salute nonchè della irrilevanza del mancato riconoscimento di un assegno in sede di separazione, attesa l’autonomia dell’assegno divorziale rispetto al quale quello riconosciuto al coniuge separato può costituire solo un elemento di riferimento.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia analoga violazione ed ancora difetto di motivazione. Lamenta che la Corte d’Appello abbia omesso di valutare le risultanze probatorie che erano emerse e di assumere quelle richieste sin dal primo grado, con cui sarebbe stato provato che in costanza di matrimonio lo S. era proprietario di una barca a vela di venti metri, di una Mercedes e di una Renault, che tra il 1970 ed il 1980 aveva viaggiato ininterrottamente insieme alla moglie in tutto il mondo e che era proprietario di una villa in Grecia nell’isola di Levskas. Sostiene inoltre che, come aveva accertato il C.T.U. curante il giudizio di primo grado, lo S. era risultato proprietario per successione dalla madre di numerosi appartamenti (10 a Roma e 12 a Venezia) per un valore complessivo, alla data di redazione della consulenza (Gennaio 2003), di euro 381.547.08 e che la Corte d’Appello non ha nemmeno tenuto conto dell’età (76 anni) e del precario stato di salute di essa ricorrente per l’infortunio occorsole nel febbraio del 1996 più infine che la pensione di cui è titolare ammonta ad Euro 500,00. Deferisce infine giuramento decisorio in ordine alle circostanze testè evidenziate sulla situazione economica dello S..
Gli esposti motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica, sono fondati.
La Corte d’Appello, nell’operare ai fini delle riconoscibilità del diritto all’assegno divorziale le proprie valutazioni con riferimento alle determinazioni adottate in sede di separazione, senza alcun richiamo al tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio ed alle attuali condizioni economiche dello S., si è certamente discostata dai principi che regolano la materia.
Va infatti rilevato in primo luogo che la determinazione dell’assegno divorziale previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, prescinde dalle statuizioni patrimoniali pronunciate in sede di separazione, potendo queste rappresentare solo un indice di riferimento qualora appaiono idonee a fornire utili elementi di valutazione. Ciò in ragione della diversità della disciplina, della natura e delle finalità dei relativi trattamenti in quanto l’assegno divorzile prescinde, in virtù dello scioglimento del matrimonio, degli obblighi di mantenimento che permangono sia in regime di convivenza che di separazione e costituisce invece un effetto diretto della pronuncia di divorzio (Cass. 25010/07; Cass. 22500/06; Cass. 15728/05).
Decisiva è comunque, come si è già accennato, l’assoluta mancanza di riferimenti alle condizioni economiche dello S. sia attuali che in costanza di matrimonio, vale a dire al patrimonio ed al reddito di cui egli dispone e disponeva nel contribuire al tenore di vita familiare.
La Corte d’Appello infatti, dopo il richiamo alle decisioni adottate in sede di separazione, ritenendo decisivo anche ai fini in esame il mancato riconoscimento in quella sede dell’assegno di mantenimento, si è limitata ad esporre la situazione economica della G., omettendo la necessaria comparizione fra i due redditi, alla quale non poteva invece sottrarsi nell’ambito del giudizio di adeguatezza alla luce della sopra richiamata normativa (L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e succ. modifiche).
Certamente, come la sentenza impugnata ha rilevato, devono escludersi dalla valutazione i beni pervenuti in successione allo S. alcuni anni dopo la separazione, non costituendo il frutto di un normale sviluppo della situazione preesistente, in linea del resto con l’art. 179 c.c., lett. b). ricordando una delle ipotesi di esclusione del regime di comunione. Ma permane pur sempre la necessità di tener presenti, ai fini di una corretta comparazione fra i due redditi, le effettive condizioni economiche di cui costui godeva e gode indipendentemente dalla successione).
Ovviamente, può essere d’ausilio (ma solo in tale limitato ambito) l’esame sulle ragione che avevano indotto il giudice nel procedimento di separazione a negare l’assegno di mantenimento e sulla loro attualità.
Infine è appena il caso di osservare l’irrilevanza ai fini in esame dell’assoluzione dello S. dal reato di cui all’art. 572 c.p., cui fa riferimento la sentenza impugnata in quanto, riguardando l’ipotesi di maltrattamenti in famiglia, esso è estraneo agli aspetti economici di cui si discute nel presente giudizio. Probabilmente il reato di cui egli ha dovuto rispondere è quello di cui all’art. 570 c.p., avendo da ciò, oltre tutto, la Corte d’Appello rafforzato il convincimento sull’adeguatezza delle fonti di reddito della G.. Se così è, non v’è dubbio che il più limitato campo di applicazione dell’ipotesi delittuosa relativa ai mezzi di sussistenza circoscritti a ciò che è strettamente necessario per vivere, e la diversa natura e finalità dell’assegno divorziale nonchè la diversità dei presupposti non consentono alcuna possibilità di desumere elementi di valutazione dalle risultanze emerse nel corso del procedimento penale.
Sulla base di tali considerazioni, la sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso, deve essere pertanto cassata con rinvio, anche per le spese alla stessa Corte d’Appello la quale, nell’uniformarsi ai principi esposti, procederà ad un nuovo esame attraverso la comparazione, sulla base degli elementi emersi, fra i redditi dei due coniugi, tenendo presente l’assetto economico esistente in costanza di matrimonio e le attuali condizioni dello S., senza considerare ovviamente tutti quei beni pervenutigli in successione dopo la separazione.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla stessa Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.
Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010