LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo – Presidente –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.L., elettivamente domiciliato in Roma, presso la Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. MARRA Alfonso Luigi giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
Ministero della Giustizia in persona del Ministro, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Roma emesso nel procedimento n. 8365 Cron. in data 15.11.2005.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza del 17.11.2009 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;
Letta la richiesta del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con decreto del 15.11.2 005 la Corte di Appello di Roma rigettava il ricorso proposto da B.L. ai sensi della L n. 89 del 2001, con riferimento a giudizio di natura previdenziale protrattosi dall’ 1.2.2000 al 12.4.2002 in primo grado e dal 5.3.2003 essendo ancora pendente in grado di appello, la cui durata era stata considerata ragionevole per tre anni per il primo grado e per due in appello, sicchè per quest’ultimo l’eccesso di durata sarebbe stato apprezzabile nella misura di un anno circa. Tuttavia, nonostante la configurabilità della violazione sotto il profilo indicato, la natura della controversia (spese di lite) avrebbe escluso l’esistenza di qualsivoglia patema d’animo. Avverso la decisione B. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resisteva l’intimato, con i quali rispettivamente lamentava: 1) errata determinazione del periodo di durata ragionevole, in considerazione della natura della controversia; 2) erroneità della statuizione nella parte in cui era stata affermata l’assenza di interesse per la natura della controversia; 3) violazione del rapporto tra normativa nazionale e sovranazionale; 4) inadeguata motivazione della decisione e errata compensazione delle spese di lite.
Osserva il Collegio che è infondato il primo motivo, poichè la natura della controversia non comporta necessariamente un automatico abbattimento del periodo di durata ragionevole del processo ma, più semplicemente consente al giudice del merito di determinarlo in misura più contenuta ove lo ritenga opportuno, ipotesi non verificatasi nella specie. E’ poi inammissibile il terzo motivo in quanto generico, mentre va accolto il secondo (restando assorbito il quarto), atteso che la modesta consistenza della controversia non può valere ad escludere l’indennizzo, ma può eventualmente incidere soltanto sulla relativa quantificazione. Il ricorso va dunque accolto entro tali limiti, il decreto cassato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., il Ministero va condannato al pagamento di Euro 1.000,00 in favore di B. L. (Euro 1.000,00 per l’anno di ritardo in sintonia con i parametri CEDU), oltre alle spese del giudizio di merito e di legittimità, da distrarre in favore del procuratore dichiaratosi antistatario e liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo ex art. 384 c.p.., condanna il Ministero della Giustizia al pagamento di Euro 1.000,00 in favore di B.L., oltre alle spese del giudizio di merito e di legittimità, da distrarre in favore del procuratore dichiaratosi antistatario, che liquida rispettivamente in Euro 840,00 (di cui Euro 480,00 per onorari e Euro 310,00 per diritti) e in Euro 700,00, di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010