LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 28911/2008 proposto da:
P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 2 09, presso lo studio dell’avvocato CESARE CARDONI, rappresentato e difeso dall’avvocato CONTICELLI GUIDO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.F.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4945/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 20/06/07, depositata il 28/11/2007;
è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.
FATTO E DIRITTO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 28 nov. 2007, ha riformato la decisione del Tribunale di Viterbo ed ha respinto la domanda di P.D. intesa ad ottenere il pagamento di differenze retributive da C.F. in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato intercorso da *****, ritenendo non provato il rapporto di lavoro.
Avverso detta sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi con i quali ha denunciato, 1) violazione degli artt. 112 e 416 c.p.c., e art. 2697 c.c., per non avere il giudice di appello rilevato la tardività dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata tardivamente dalla C.; 2) omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla valutazione delle prove testimoniali raccolte;
L’intimata non si è costituita. Il ricorrente ha depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso è infondato. La deduzione con la quale il convenuto tardivamente costituito in giudizio nega l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato affermato dall’attore non costituisce eccezione in senso stretto per la quale opera la decadenza di cui all’art. 416 c.p.c., bensì mera difesa non soggetta a decadenza. Questa Corte ha precisato che la preclusione di cui all’art. 416 c.p.c., comma 2, ha ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni improprie ed alle mere difese, ossia alle deduzioni volte alla contestazione dei fatti costitutivi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa, le quali trovano la loro disciplina nello stesso art. 416 c.p.c., comma 3, la cui disposizione non commina alcuna decadenza per le deduzioni e difese formulate in epoca successiva a quella stabilita per il deposito della memoria di cui al citato art. 416 c.p.c. (vedi Cass. n. 21073/2007). La giurisprudenza richiamata dal ricorrente nella memoria non è applicabile alla fattispecie in esame in quanto diretta soltanto a stabilire la differenza tra legittimazione ad agire, rilevabile d’ufficio dal giudice, e titolarità del rapporto controverso, deducibile solo dalla parte.
Il secondo motivo è parimenti infondato. Per costante giurisprudenza di questa Corte la valutazione delle prove testimoniali e documentali spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se non sorretta da motivazione congrua e se presenti contraddizioni e vizi logici; di conseguenza con il ricorso per cassazione non è possibile chiedere al giudice di legittimità una diversa valutazione delle prove, rispetto a quella accolta dal giudice di merito, ma soltanto indicare i vizi logici, le contraddizioni e le lacune della motivazione che non consentono di ricostruire l’iter logico della decisione, atteso che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale.
Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Per contro, le censure mosse dal ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal giudice di merito in senso contrario alle aspettative dei medesimo ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.
In definitiva il ricorso deve essere respinto. Nulla per le spese di questo giudizio, atteso che la convenuta non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010