Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.434 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 219-2009 proposto da:

P.P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato CAROZZA DOMENICO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

TANGENZIALE NAPOLI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 52 97/2 008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del 18/09/08, depositata il 05/11/2008;

udito l’Avvocato Carozza Domenico, difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. Velardi MAURIZIO che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

FATTO E DIRITTO

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 5 novembre 2008, ha respinto l’appello di P.P.P. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città. Il Tribunale aveva rigettato la domanda del P., dipendente della Tangenziale di Napoli s.p.a. addetto alla riscossione dei pedaggi, diretta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data *****, con reintegrazione e risarcimento del danno. La Corte territoriale ha osservato che gli illeciti addebitati dalla società al P. – essersi più volte appropriato degli incassi simulando di aver subito rapine – erano provati dalle stesse dichiarazioni rilasciate dal dipendente alla Polizia Stradale e verbalizzate dagli organi di polizia, mentre del tutto pretestuose si rivelavano le giustificazioni date dal P., che accampava di aver agito in stato di incapacità perchè affetto da grave crisi depressiva. La Corte rilevava, altresì, che la deduzione della non veridicità delle dichiarazioni rese alla Polizia Stradale era stata dal P. prospettata per la prima volta in appello, mentre il ricorso introduttivo si fondava sul presunto stato di incapacità di intendere e di volere del dipendente, sicchè tale deduzione non era ammissibile in quanto fatto nuovo tardivamente eccepito; rilevava peraltro che tale affermazione era in contrasto con quanto risultava dal verbale redatto da pubblici ufficiali, come tale munito di particolare forza probatoria.

Avverso detta sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo con il quale ha denunciato violazione di numerosi articoli del codice civile, del codice di procedura civile e di leggi speciali, nonchè omessa ed insufficiente motivazione.

La società intimata non si è costituita. Il ricorrente ha depositato memoria. Si osserva preliminarmente che il ricorso in esame è soggetto al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile a tutti i ricorsi avverso sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006, come disposto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2. Il cit.

art. 366 bis è stato abrogato dal D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 47, ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per cassazione presentati avverso sentenze pubblicate prima del 4 luglio 2009 (D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 58).

Osserva la Corte che i quesiti di diritto posti con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, non rispondono ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., poichè il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve consistere in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali che dalla risposta affermativa o negativa che ad essa si dia discenda in modo univoco l’accertamento o il rigetto del gravame; il quesito, quindi, deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione del fatto sottoposto al giudice di merito: b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare, restando escluso che il quesito possa essere desunto dal contenuto del motivo o integrato dal medesimo motivo, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (Sez. U. 6420/2008), ragione per cui è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. n. 19769/2008, n. 19892/2007).

I predetti quesiti, inoltre, non sono idonei a superare le affermazioni della sentenza impugnata in quanto non chiariscono quale sia il canone di interpretazione dell’atto introduttivo del giudizio violato dal giudice di appello laddove ha affermato che la causa petendi del ricorso era fondata esclusivamente sullo stato di incapacità del dipendente e che l’affermazione di non aver commesso i fatti contestati, prospettata per la prima volta con il ricorso in appello, costituiva una modificazione della causa petendi non consentita in secondo grado. I predetti quesiti, inoltre, non sono idonei a sostenere la tesi che il semplice disconoscimento delle ammissioni di responsabilità in ordine ai fatti contestati rese alla Polizia Stradale e da questa verbalizzate, sia sufficiente a superare il particolare valore probatorio dei verbali redatti da pubblici ufficiali.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c., nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione) l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Le Sezioni Unite della Cassazione al riguardo hanno avuto modo di chiarire che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 20603/2007, n. 4646/2008, n. 16558/2008) ed hanno altresì precisato che la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o insufficiente non può essere desunta dal contenuto del motivo o integrata dai medesimi motivi, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (Sez. Un. 6420/2008).

Nella specie i quesiti proposti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 non rispondono ai requisiti sopra enunciati non precisando quali sono i vizi logici e le contraddizioni della motivazione riscontrabili in relazione ai fatti controversi, posto che al giudice di legittimità non compete il riesame del materiale probatorio e la valutazione che di esso ha fatto il giudice di merito. Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciarle con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obbiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata; vizi che non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, poichè spetta solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare, le prove, controllarne l’attendibilità e la congruenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (cfr.

tra le tante Cass. n. 6064/2008, n. 17076/2008).

Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese di questo giudizio, poichè l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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