Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.462 del 13/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3369/2009 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso lo studio dell’avvocato GAMBERINI MONGENET Rodolfo, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

QUESTURA DI ROMA, PREFETTURA DI ROMA, MINISTERO DEGLI INTERNI;

– intimati –

avverso il provvedimento N. 562/08 del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il 03/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito l’Avvocato Valerio Bernardini Betti, (delega avvocato Rodolfo Gamberini Mongenet, difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore:

” S.O. impugna per cassazione l’ordinanza del Giudice di Pace di Roma con la quale è stato respinto il suo ricorso contro il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Roma ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 lett. b, formulando sei motivi, corredati di quesiti, con i quali denuncia violazione di legge e vizi di motivazione.

Il Prefetto di Roma, il Ministero e la Questura intimati non hanno svolto difese.

Considerato in diritto.

Il ricorso è improcedibile perchè in relazione al ricorso per cassazione avverso il decreto reso nel procedimento d’opposizione al provvedimento d’espulsione dello straniero, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 13 e 13 bis, non contengono deroghe alla disciplina dettata dagli artt. 365 e 366 c.p.c. (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 12822 del 2003 quanto alla procura speciale).

Il ricorrente, infatti, ha espressamente affermato in ricorso che l’ordinanza impugnata è stata notificata a mezzo fax il 25 novembre 2008. Sennonchè all’atto del deposito del ricorso non è stata depositata copia autentica dell’ordinanza notificata.

Invero, le Sezioni unite hanno di recente chiarito che “la previsione – di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, e esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 cod. proc. civ., comma 2, n. 2, applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione” (Sez. U, Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009).

Inoltre, le Sezioni unite hanno chiarito, altresì, che “in tema di ricorso per regolamento di competenza, qualora il ricorrente alleghi che la sentenza gli è stata comunicata in una certa data, l’obbligo del deposito, da parte dello stesso ricorrente, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, del biglietto di cancelleria da cui desumere la tempestività della proposizione dell’istanza di regolamento (obbligo fissato, a pena di improcedibilità, dal combinato disposto dell’art. 47 cod. proc. civ. e dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2 e posto a tutela dell’esigenza pubblicistica della verifica della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione) può essere soddisfatto o mediante il deposito del predetto documento contestualmente a quello del ricorso per cassazione (come previsto, per l’appunto, dal citato art. 369 c.p.c., comma 2) oppure attraverso le modalità previste dal secondo comma dell’art. 372 cod. proc. civ. (deposito e notifica mediante elenco alle altre parti), purchè nel termine fissato dal primo comma dello stesso art. 369 cod. proc. civ.; deve, invece, escludersi ogni rilievo dell’eventuale non contestazione in ordine alla tempestività del ricorso da parte del controricorrente ovvero del reperimento dei predetti documenti nel fascicolo d’ufficio o della controparte da cui risulti tale tempestività” (Sez. U, Ordinanza n. 9004 del 16/04/2009).

Per questi motivi ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 1 e art. 380 bis c.p.c.”.

2. – Il Collegio, anche alla luce della memoria depositata dal ricorrente e della difesa orale sviluppata dal difensore, ritiene di non condividere le conclusioni della relazione innanzi trascritta posto che per il principio, ripetutamente enunciato da questa Corte (Cass. SS. UU. 29 aprile 1997, n. 3670; Cass. 25 luglio 1997, n. 6971; Cass. 20 settembre 2002, n. 13772; Cass. 26 novembre 2002, n. 16659), secondo cui, a norma dell’art. 739 c.p.c., comma 2 (oggetto del richiamo, secondo quanto si è detto, contenuto nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 6), nei procedimenti in Camera di consiglio che si svolgono “in confronto di più parti” (come quello di specie), la notificazione del provvedimento che abbia definito il relativo procedimento è idonea a far decorrere il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo solo quando sia stata effettuata ad istanza di una delle parti e non, quindi, quando sia stata eseguita (come, di nuovo, nella specie, giusta la stessa prospettazione del ricorrente) a ministero del cancelliere del giudice a quo o su istanza di quell’ausiliare, onde, per effetto di tale disciplina, applicabile anche con riferimento ai procedimenti contenziosi assoggettati per legge al rito camerale, salvo che non sia diversamente disposto in modo espresso, la notifica del decreto eseguita dal cancellerie del giudice di pace, o su sua istanza, non è idonea a determinare la decorrenza del termine breve per il ricorso per cassazione avverso detto provvedimento.

3.1 – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, e succ. modd., formulando il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se nel caso di specie e cioè di fronte ad un decreto di espulsione D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 13, comma 2, lett. B, comma 4, il Giudice di Pace, argomentando nel senso che: “in realtà questo preteso diritto leso è apoditticamente sostenuto dal cittadino extracomunitario in quanto per Giurisprudenza costante della S.C. rientra in pieno nel cosiddetto potere di discrezionalità della P.A. ossia la facoltà di specificare e/o giustificare i motivi posti alla base dell’emissione dei prestampati il cui contenuto non può e non deve in alcun modo essere valutato dal G. di P., ben potendosi adire alla Magistratura Amministrativa nella sede Giurisdizionale del Tribunale Amministrativo regionale competente” potesse, il Giudice di Pace adito, decidere nel senso di rigettare il ricorso ritenendosi incapace di valutare la situazione ed indicando quale organo competente nel merito il Tribunale Amministrativo Regionale.

Deduce che i vizi di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, e successive modificazioni, sono riscontrabili in ulteriori punti dell’ordinanza come: Sulla totale mancanza di risposta al punto 2) dei motivi di ricorso: insussistenza della violazione contestata al ricorrente e mancanza dei presupposti di fatto per l’emissione del provvedimento violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 8, ed inadeguatezza della motivazione.

Per cui la Prefettura, non solo non ha fornito la prova in ordine alla presunta data di arrivo dell’interessato nel territorio dello stato italiano ma addirittura omette l’indicazione dei motivi dell’espulsione, ed alle conseguenti violazioni di legge che sono state contestate al ricorrente.

La prefettura non poteva indicare con certezza la data d’ingresso del cittadino Ucraino e pertanto non si comprende come potesse considerare decorso il termine degli otto giorni lavorativi per la comunicazione dell’ingresso in Italia, quando la sua presenza a Roma era solo per fini di transito non sapendo di incorrere in comportamenti irregolari.

3.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, e successive modificazioni e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, commi 6 e 7, per la motivazione in ordinanza sul punto 5 dei motivi di ricorso: violazione dell’obbligo di traduzione del decreto di espulsione in una lingua conosciuta dallo straniero e meglio ancora nella lingua madre, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7. Formula il seguente quesito: “dica la Suprema Corte di Cassazione se nel caso di specie, la violazione dell’obbligo di traduzione del decreto di espulsione in lingua conosciuta dallo straniero e meglio ancora nella lingua madre, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, potesse il Giudice di Pace, argomentando nel senso che “..modalità logistiche che attengono all’esecuzione del provvedimento impugnato e trattandosi di conseguenza di un servizio lasciato alla discrezionalità degli Uffici territoriali del Governo, sfuggono alla competenza del G. di P., che come detto ha il ruolo di controllare esclusivamente la sussistenza del requisito relativo alla legittimità formale dell’atto impugnato…, il G.d.P. non è autorizzato a sindacare le scelte della P.A. in termini di concreta possibilità di effettuare immediate traduzioni nella lingua dell’espellendo”, potesse considerare l’ordine di espulsione immune da vizi di nullità formali, senza il minimo accertamento in merito alla concreta possibilità di reperire un traduttore od una traduzione del provvedimento impugnato o delle sue parti rilevanti pur se sinteticamente esposte, anche in considerazione della non rarità delle lingue di specie, russo od ucraino, sicuramente disponibili negli Uffici della prefettura o della Questura di Roma.

3.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 comma 1, e dell’art. 4, comma 1, art. 5, comma 2, art. 13, comma 2, lett. A e B e comma 3 T.U., e contraddittorietà della motivazione in riferimento alla motivazione fornita dal Giudicante sul punto 1) del ricorso: Mancanza ed sufficiente identificazione del destinatario del provvedimento.

Formula il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte di cassazione se nel caso di specie, in aperto contrasto con quanto risultante dai fatti verbalizzati dalla P.A. ed in palese violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 comma 1; e dell’art. 4, comma 1, art. 5, comma 2, art. 13, comma 2, lett. A e B e comma 3 T.U., potesse, il Giudice di Pace adito, affermare, travisando apertamente i fatti narrati nell’impugnato decreto: “l’eccezione sollevata di mancanza di identificazione è infondata in quanto, al momento in cui i cittadini extracomunitari vengono fermati sono privi di documenti e pertanto la polizia verbalizza quanto dichiarato dagli stessi sulle loro generalità e sulla data di ingresso nel territorio italiano” e senza alcuna attenzione all’effettiva narrazione e senza accertamento alcuno, decidere nel senso di ritenere sufficientemente identificato il soggetto del provvedimento di espulsione pur in palese assenza di oggettivi elementi di individuazione richiesti in tal senso dalla normativa vigente. Deduce che egli era stato identificato per mezzo del passaporto.

3.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, precisamente prospettato dalla difesa, anche in correlazione con il dettato della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1; e dell’art. 4, comma 1, art. 5, comma 2, art. 13, comma 2, lett. A e B e comma 3 T.U. in considerazione dell’assoluta mancanza di motivazione e di specifica risposta al punto n. 2 dei motivi di ricorso insussistenza della violazione contestata al ricorrente e mancanza dei presupposti di fatto per l’emissione del provvedimento, violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8 ed inadeguatezza della motivazione. Formula il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte di cassazione se nel caso di specie, in presenza di precise richieste e censure avanzate dalla difesa del ricorrente in ordine alla insussistenza della violazione contestata al ricorrente così come formulata nell’impugnato decreto ed alla mancanza dei presupposti di fatto per l’emissione del provvedimento in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8, ed inadeguatezza della motivazione del medesimo, potesse, il Giudice di Pace adito, pur argomentando in semplicistica sintesi sul punto 2 delle proprie ipotesi riassuntive il riferimento alla L. n. 241 del 1990, art. 3, concludere nel senso che “… la facoltà di specificare e/o giustificare i motivi posti alla base dell’emissione dei prestampati il cui contenuto non può e non deve in alcun modo essere valutato dal G.diP., ben potendosi adire alla Magistratura Amministrativa nella sede Giurisdizionale del Tribunale Amministrativo regionale competente” decidere con rigetto ed, in realtà, omettere integralmente la motivazione e la decisione sul punto.

3,5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla difesa, anche in correlazione alla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1; e dell’art. 4, comma 1, art. 5, comma 2, art. 13, comma 2, lett. A e B e comma 3 T.U..

Deduce che il provvedimento di espulsione deve essere motivato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 e del principio generale previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, mentre nel caso in oggetto il Prefetto ha omesso di indicare, nel decreto notificato al signor S.O., non solo specifiche contestazioni effettuate al ricorrente ma anche i presupposti di fatto e di diritto utilizzati.

Formula il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte di cassazione se nel caso di specie, in presenza di precise richieste e censure avanzate dalla difesa del ricorrente in ordine alla nullità del provvedimento impugnato per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3, e conseguente difetto o comunque grave inadeguatezza della motivazione, potesse il Giudice di Pace, omettere integralmente di motivare e decidere.

3.6.- Con l’ultimo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla difesa, anche in correlazione alla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1; e dell’art. 4 comma 1, art. 5, comma 2, art. 13, comma 2, lett. A e B e comma 3 T.U. e L. n. 15 del 2005, art. 21 septies e 21 octjes, in considerazione dell’assoluta mancanza di motivazione e di specifica risposta al punto n 6 dei motivi di ricorso: Mancata indicazione nella copia del provvedimento di conformità all’originale.

Deduce che con la riforma della L. n. 241 del 1990, operata con la L. n. 15 del 2005, il legislatore ha dettato, per la prima volta, una disciplina generale della invalidità del provvedimento amministrativo. In termini generali, solo l’atto conforme al suo paradigma normativo, che esprime la volontà di conseguire un risultato gradito all’ordinamento, produce effetti giuridicamente riconosciuti e tutelati.

Formula il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte di cassazione se nel caso di specie, in presenza di precise richieste e censure avanzate dalla difesa del ricorrente in ordine alla nullità del provvedimento impugnato per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1; e dell’art. 4 comma 1, art. 5, comma 2, art. 13 comma 2 lettere A e B e comma 3 T.U. e L. n. 15 del 2005 art. dell’art. 21 septies e 21 octies, potesse il Giudice di Pace adito, pur argomentando in semplicistica sintesi sul punto 2 delle proprie ipotesi riassuntive il riferimento solo alla L. n. 241 del 1990, art. 3, concludere nel senso che “…la facoltà di specificare e/o giustificare i motivi posti alla base dell’emissione dei prestampati il cui contenuto non può e non deve in alcun modo essere valutato dal G. di P., ben potendosi adire alla Magistratura Amministrativa nella sede Giurisdizionale del Tribunale Amministrativo regionale competente” decidere con rigetto ed, in realtà, omettere integralmente la motivazione e la decisione sul punto.

4. – Osserva preliminarmente la Corte che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il provvedimento di espulsione è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta in assenza di cause di giustificazione del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento o nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego;

non è invece consentita al giudice investito dell’impugnazione del provvedimento di espulsione alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo poichè tale sindacato spetta al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione. Infatti, il giudice dell’espulsione è tenuto solo a verificare la carenza di un titolo che giustifichi la presenza del ricorrente sul territorio nazionale, non anche la regolarità dell’azione amministrativa svolta al riguardo, le cui carenze non possono essere dedotte come motivo di impugnazione dell’espulsione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22217 del 2006).

4.1.- Il ricorrente è stato espulso ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), che prevede l’espulsione nei confronti dello straniero che “b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’art. 27, comma 1 bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo”.

Il giudice di pace, pertanto, era tenuto a verificare la carenza di un titolo che giustificasse la presenza del ricorrente sul territorio nazionale, non anche la regolarità dell’azione amministrativa svolta al riguardo, le cui carenze non possono essere dedotte come motivo di impugnazione dell’espulsione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22217 del 2006).

4.2.- “In tema di espulsione amministrativa dello straniero, l’obbligo dell’autorità procedente di tradurre la copia del relativo decreto nella lingua conosciuta dallo straniero stesso è derogabile tutte le volte in cui detta autorità attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia impossibile e si imponga la traduzione nelle lingue predeterminate dalla norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 (francese, inglese, spagnolo), atteso che tale attestazione è nel contempo condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente a che il decreto di espulsione risulti immune da vizi di nullità senza che il giudice di merito possa ritenersi autorizzato a sindacare le scelte della p.a. in termini di concrete possibilità di effettuare immediate traduzioni nella lingua dell’espellendo. In particolare, come chiarito dal D.P.R. n. 334 del 2004, art. 3, che detta norme regolamentari e di attuazione del citato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, sempre che il giudice non accerti la sufficiente conoscenza da parte dello straniero della lingua italiana, l’attestazione da parte dell’autorità procedente della indisponibilità di personale idoneo alla traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero della sintesi del contenuto del decreto di espulsione è condizione sufficiente per la validità della traduzione in una delle predette tre lingue, per le quali l’interessato abbia indicato preferenza” (Cass., 7 ottobre 2009 n. 21357).

4.3.- “Incombe allo straniero documentare – nelle forme di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 7, non modificato dal D.P.R. n. 334 del 2004 – la data di ingresso nel territorio nazionale al fine di dedurre la mancata decorrenza, all’atto del controllo, del termine concesso per l’inoltro della richiesta del permesso” (Cass., 2 ottobre 2009 n. 21185).

4.4.- “L’obbligo di motivazione del decreto prefettizio di espulsione amministrativa dello straniero – di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3 – comporta che in esso sia chiaramente esposta la specifica situazione di fatto assunta a presupposto ed autorizzante l’espulsione, contestazione in fatto che costituisce elemento del tutto immutabile. Solo alla stregua di essa l’espellendo è in grado di apprestare le sue difese dinanzi al giudice dell’opposizione, essendo irrilevanti, nel decreto, eventuali erronee evocazioni delle norme di legge, non attagliantisi all’ipotesi di fatto contestata, semprechè dall’errato richiamo non discenda confusione che possa indurre errore scusabile nell’apprestamento delle dette difese (nella specie, la S.C. ha escluso che nel decreto di espulsione che addebitava alla straniera il fatto di essere entrata in Italia senza avere poi tempestivamente richiesto il titolo di soggiorno fosse ravvisabile contraddittorietà della motivazione, per essere stato richiamato l’art. 13, comma 2, lett. a – evocante un’entrata clandestina -, in luogo dell’art. 5, comma 2, del T.U., potendo integrare l’erronea evocazione della disposizione mero errore materiale) (Sez. 1, Sentenza n. 1828 del 7/02/2003).

4.5.- “L’obbligo di motivazione del decreto prefettizio di espulsione amministrativa dello straniero – di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3 – deve essere inteso in funzione dello scopo della motivazione stessa, che è quello di consentire al destinatario la tempestiva tutela dei propri diritti mediante l’opposizione, facendo, cioè, valere le proprie ragioni dinanzi al giudice chiamato ad esercitare il dovuto controllo giurisdizionale sull’atto, onde detto obbligo, pur quando non siano state indicate le norme di legge violate, deve ritenersi soddisfatto se il provvedimento, pur senza indicarli direttamente, richiami purtuttavia, anche solo in sintesi, gli elementi necessari e sufficienti dei quali, con la normale diligenza, sia possibile la cognizione certa e completa, affinchè il destinatario possa individuare la violazione addebitatagli cui si riferisce la misura adottata” (Sez. 1, Sentenza n. 6535 del 7/05/2002).

4.6.- Alla luce di tutti i principi innanzi esposti – di cui il giudice del rinvio dovrà tenere conto nel riesaminare la causa – il provvedimento impugnato deve essere cassato, mancando in esso ogni risposta al punto 2) dei motivi di ricorso in ordine alla insussistenza della violazione contestata al ricorrente e mancanza dei presupposti di fatto per l’emissione del provvedimento. Lacuna che non poteva essere giustificata con l’affermazione per la quale “per Giurisprudenza costante della S.C. rientra in pieno nel cosiddetto potere di discrezionalità della P.A. ossia la facoltà di specificare e/o giustificare i motivi posti alla base dell’emissione dei prestampati il cui contenuto non può e non deve in alcun modo essere valutato dal G. di P., ben potendosi adire alla Magistratura Amministrativa nella sede Giurisdizionale del Tribunale Amministrativo regionale competente”. Ciò tenuto conto del principio – innanzi richiamato – per il quale il giudice di pace è “tenuto a verificare la carenza di un titolo che giustificasse la presenza del ricorrente sul territorio nazionale” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22217 del 2006), mentre nella concreta fattispecie dal provvedimento impugnato non è dato evincere neppure sulla base di quali presupposti il provvedimento amministrativo impugnato sia stato emesso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia anche per le spese al Giudice di pace di Roma in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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