LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 26324/2007 proposto da:
D.D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimato –
avverso il decreto R.A.D. 53300/05 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 13.3.06, depositato il 18/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., dal consigliere relatore è del seguente tenore: ” D.D.S. chiede, per sedici motivi, la cassazione del decreto, emesso il 18 settembre 2006, con cui la Corte d’appello di Roma gli ha riconosciuto la somma Euro 2.400,00, a titolo di equa riparazione dei danni non patrimoniali subiti in conseguenza della durata, ritenuta irragionevole in misura di quattro anni e otto mesi circa, di un giudizio, avente a oggetto la liquidazione di interessi e rivalutazione su indennità di disoccupazione involontaria corrisposte in ritardo, iniziato il 15 maggio 1995 davanti al giudice del lavoro di Torre Annunziata, definito in primo grado con sentenza di rigetto del 4 giugno 2001 e pendente in appello (dall’11 febbraio 2002) alla data di presentazione del ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 2 (30 giugno 2005). Non si difende il Ministero della Giustizia.
Osserva:
I tredici motivi di ricorso deducono diversi profili di violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, nonchè vizi di motivazione.
Con il secondo motivo, pregiudiziale dal punto di vista logico, si contesta la determinazione della durata ragionevole del processo, affermandosi che, alla stregua della disciplina delle controversie previdenziali, dovrebbe essere fissata in due anni per il primo grado e in un anno e sei mesi per il giudizio di secondo grado.
Il motivo è palesemente inammissibile non avendo il ricorrente formulato specifiche censure alla motivazione sulla quale si basa la determinazione della durata ragionevole effettuata dal giudice del merito, peraltro in assoluta corrispondenza con i parametri cronologici dettati dalla giurisprudenza sovranazionale e nazionale, e non valendo d’altra parte il richiamo operato dal ricorrente all’astratta scansione temporale del processo previdenziale, che dovrebbe giustificare una durata inferiore, in quanto la valutazione rimessa al giudice del merito deve tenere conto della fattispecie concreta.
Con il primo motivo e coi motivi dal terzo al decimo, il ricorrente critica la quantificazione dell’equa riparazione del danno non patrimoniale, deducendo che la corte territoriale: ha immotivatamente disapplicato i parametri indicati dalla corte di Strasburgo (da Euro 1000,00 a Euro 1.500,00 per anno di durata della causa e non per il solo periodo eccedente la durata ragionevole); non ha tenuto in debita considerazione la natura previdenziale del credito; ha omesso di statuire sul bonus di Euro 2.000,00 richiesto in ragione della suddetta natura del credito vantato.
I motivi si appalesano manifestamente fondati nei limiti appresso precisati.
Questa Corte ha già precisato che in materia di equa riparazione il giudice nazionale deve fare riferimento all’interpretazione della CEDU da parte della Corte di Strasburgo, potendosene discostare solo in presenza di particolari circostanze (Cass. Sez. Un. n. 1340/2004).
Consegue che il giudice di merito, per potersi ragionevolmente e motivatamente discostare dai parametri indennitari dettati dalla Corte EDU (oscillanti mediamente tra i mille ed i millecinquecento euro per anno), dovrà procedere a un giudizio di comparazione i cui termini sono costituiti, da un lato, dalla natura e dall’entità della pretesa avanzata in giudizio (la c.d. posta in gioco) e, dall’altro, dalle condizioni socio-economiche della parte, posto che solo da tale comparazione è in grado di fornire la prova, sia pure presuntiva, dell’effettiva entità dello stress subito dal ricorrente, essendo ancorata a elementi concreti e non a formule generiche e meramente astratte. La comparazione degli indicati elementi, che dovrà essere effettuata sulla base delle allegazioni delle parti, costituisce valutazione di merito non sindacabile nel giudizio di legittimità se congruamente motivata.
Nella specie, la Corte d’appello di Roma, nel quantificare la riparazione dovuta, ha considerato “il significato economico della vicenda giudiziaria, trattandosi del soddisfacimento di un diritto connesso alla condizione di disoccupato” e del consistente ritardo salvo poi, contraddittoriamente, a discostarsi sensibilmente dai parametri indennitari minimi indicati dalla Corte EDU, avendo liquidato Euro 500,00 per ogni anno di ritardo.
Sono palesemente infondate alla luce della ferma giurisprudenza di questa Corte le censure riguardanti il criterio di calcolo dell’equo indennizzo utilizzato dal giudice del merito e il mancato riconoscimento del bonus.
Infatti, come è stato più volte affermato, il principio del dovere del giudice nazionale di rispettare le norme della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare tenendo conto dei criteri di determinazione della riparazione utilizzati, trova un limite nel dovere di applicare la norma di cui L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale può essere indennizzato solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Nè tale criterio di calcolo, divergente da quello utilizzato dalla corte europea che prende in considerazione il danno relativo all’intera durata del processo influisce sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1, della convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Cost. 23 novembre 1999 n. 2) (Corte europea dei diritti dell’uomo, 2 dicembre 2004, Provvedi; Cass. nn. 8714/2006, 8658/2005, 8603/2005).
Quanto alla domanda di attribuzione di una somma forfettaria di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non appare decisivo il richiamo alla sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo 10 novembre 2004, Zullo, perchè se la decisione richiamata ha ritenuto di riconoscere tale somma in caso di violazione del termine di durata ragionevole nei giudizi aventi particolare importanza, tra i quali ha annoverato le cause previdenziali, non ne deriva automaticamente che tutte le cause previdenziali debbano essere considerate di particolare importanza.
Spetta infatti al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, tale da giustificare l’attribuzione del bonus. Tale valutazione discrezionale non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, in caso di diniego di detta attribuzione, una motivazione implicita.
I restanti motivi (dall’undicesimo al sedicesimo) rivolti alla liquidazione delle spese, rimangono assorbiti.
Ove si condividano i superiori rilievi, sussistono i presupposti per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 375 c.p.c.”.
2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso, non essendo, per contro, condivisibili le argomentazioni svolte dall’Amministrazione in sede di memoria difensiva.
Peraltro, la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo rende possibile affermare che la presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale – salvo che non ricorrano circostanze che permettano di escluderlo -, qualora la parte non abbia allegato, e comunque non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza di detto danno (costituiti, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), e l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impongono una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo (per i primi tre anni). La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze sopra richiamate del giudice europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001, (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonchè dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.
Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendosi quantificare il periodo di eccessiva durata del processo in anni 4 e mesi 8, tenuto conto dei criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla CEDU, l’indennizzo va liquidato nella misura di Euro 3.916,00, con gli interessi dalla domanda. Le spese del giudizio di merito vanno poste a carico della parte soccombente e vanno liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari.
Il limitato accoglimento del ricorso, per converso, giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità nella misura di 1/2, da porre carico dell’Amministrazione per la parte rimanente.
Spese distratte.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 3.916,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario;
che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 665,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010