LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 26377/2007 proposto da:
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimato –
avverso il decreto R.G.A.D. 53487/05 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 13.3.06, depositato il 26/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., dal consigliere relatore è del seguente tenore: ” B.G. chiede, per tredici motivi, la cassazione del decreto, emesso il 26 settembre 2006, con cui la Corte d’appello di Roma gli ha riconosciuto la somma Euro 1.180,00, a titolo di equa riparazione dei danni non patrimoniali subiti in conseguenza della durata, ritenuta irragionevole nella misura di un anno e sette mesi, di un giudizio, avente a oggetto la liquidazione di interessi e rivalutazione su indennità di disoccupazione involontaria corrisposta in ritardo, iniziato il 20 ottobre 1999 davanti al giudice del lavoro di Napoli, definito in primo grado con sentenza di rigetto del 28 novembre 2000 e pendente in appello (dal 22 novembre 2001) alla data di presentazione del ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 2 (7 luglio 2005) . Non si difende il Ministero della giustizia.
Osserva:
I tredici motivi di ricorso deducono diversi profili di violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, nonchè vizi di motivazione.
Con il secondo motivo, avente priorità logica, si contesta la determinazione della durata ragionevole del processo, affermandosi che, alla stregua della disciplina delle controversie previdenziali, dovrebbe essere fissata in due anni per il primo grado e in un anno e sei mesi per il giudizio di secondo grado.
Il motivo è palesemente inammissibile, non avendo il ricorrente formulato specifiche censure alla motivazione sulla quale si basa la determinazione della durata ragionevole effettuata dal giudice del merito, peraltro in assoluta corrispondenza con i parametri cronologici dettati dalla giurisprudenza sovranazionale e nazionale, e non valendo d’altra parte il richiamo operato dal ricorrente all’astratta scansione temporale del processo previdenziale, che dovrebbe giustificare una durata inferiore, in quanto la valutazione rimessa al giudice del merito deve tenere conto della fattispecie concreta.
Con il primo motivo e con i motivi dal terzo all’ottavo, il ricorrente critica la quantificazione dell’equa riparazione del danno non patrimoniale, deducendo che la corte territoriale: ha immotivatamente disapplicato i parametri indicati dalla corte di Strasburgo (da Euro 1000,00 a Euro 1.500,00 per anno di durata della causa e non per il solo periodo eccedente la durata ragionevole); non ha tenuto in debita considerazione la natura previdenziale del credito; ha omesso di statuire sul bonus di Euro 2.000,00 richiesto in ragione della suddetta natura del credito vantato.
I motivi si appalesano in parte inammissibili e in parte infondati.
Sotto il primo profilo si rileva che essi risultano formulati in maniera generica e comunque senza alcuna concreta censura al decreto impugnato, compendiandosi nella elencazione di principi affermati dalla Corte EDU e da questa Corte sul danno morale da durata irragionevole del processo.
Il giudice ha ricordato che, secondo la giurisprudenza di Strasburgo e di questa Corte in punto di quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice a quo deve tenere conto delle sofferenze che si presume – anche considerando l’entità della posta in gioco – possano essere state patite dalla (parte) ricorrente in dipendenza dell’incertezza, protrattasi oltre il dovuto, circa l’esito del giudizio, oltre che della entità della violazione del principio del termine ragionevole di cui alla citata convenzione e di tutti gli altri elementi peculiari della vicenda ricostruita, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al caso concreto. Applicati i criteri sopra evidenziati, ha presunto che la parte ricorrente abbia risentito un disagio ed un’ansia, sia pure con incidenza contenuta, nel non vedere soddisfatta in tempi ragionevoli la sua domanda di giustizia; invero, la causa, da un lato, coinvolge interessi non secondari, attenendo al riconoscimento di un diritto connesso all’attività lavorativa, dall’altro appare di modesta entità patrimoniale e stimato equitativamente il danno nella somma di Euro 1.180,00 (pari a circa Euro 750,00 per ogni anno di ritardo).
Quindi, la corte territoriale ha motivato il discostamento dai parametri economici mediamente utilizzati dalla giurisprudenza europea, tenendo conto della lieve violazione del termine di ragionevole durata del processo (appena un anno) e, diversamente da quanto lamenta l’odierno ricorrente, anche delle presumibili modeste condizioni economiche dell’attore. Tale passaggio motivazionale (perfettamente in linea con le finalità della L. n. 89 del 2001, che non può certamente legittimare azioni meramente speculative tese a chiedere importi rilevanti per disagi psicologici di scarsa consistenza o comunque marginali) non è stato specificamente investito dalle doglianze di cui al ricorso, che si rivela seriale e stereotipo, esponendo un ventaglio di censure prive del carattere della specificità in quanto genericamente prospettabili per tutti i provvedimenti resi in materia. A riprova di ciò, vale a dire della assoluta genericità delle censure espresse con i mezzi in esame, può additarsi il particolare che il ricorrente ascrive alla Corte di avere violato i principi dettati dalla Corte EDU liquidando una somma inferiore solo in funzione della modestia della posta in gioco.
Tutt’al contrario, la corte ha ritenuto di non trascurabile entità la somma rivendicata dal ricorrente nel giudizio presupposto.
Il discostamento è poi di per sè contenuto entro la soglia della ragionevolezza, risultando pari a meno di un terzo rispetto allo standard minimo indicato al riguardo dalla Corte EDU. Sono palesemente infondate alla luce della ferma giurisprudenza di questa Corte le censure riguardanti il criterio di calcolo dell’equo indennizzo utilizzato dal giudice del merito e il mancato riconoscimento del bonus.
Infatti, come è stato più volte affermato, il principio del dovere del giudice nazionale di rispettare le norme della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare tenendo conto dei criteri di determinazione della riparazione utilizzati, trova un limite nel dovere di applicare la norma di cui L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale può essere indennizzato solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Nè tale criterio di calcolo, divergente da quello utilizzato dalla corte europea che prende in considerazione il danno relativo all’intera durata del processo influisce sulla complessiva attitudine della citata L. n. 39 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1, della convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla L. Cost. 23 novembre 1999 n. 2) (Corte europea dei diritti dell’uomo, 2 dicembre 2004, Provvedi; Cass. n. 8714/2006; 8658 e 8603 del 2005).
Quanto alla domanda di attribuzione di una somma forfettaria di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non appare decisivo il richiamo alla sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo 10 novembre 2004, Zullo, perchè se la decisione richiamata ha ritenuto di riconoscere tale somma in caso di violazione del termine di durata ragionevole nei giudizi aventi particolare importanza, tra i quali ha annoverato le cause previdenziali, non ne deriva automaticamente che tutte le cause previdenziali debbano essere considerate di particolare importanza.
Spetta infatti al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, tale da giustificare l’attribuzione del bonus. Tale valutazione discrezionale non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, in caso di diniego di detta attribuzione, una motivazione implicita.
Con i restanti motivi (dal nono al tredicesimo) si censura la liquidazione delle spese.
I motivi appaiono fondati relativamente ai diritti. In tema di spese giudiziali, allo scopo di consentire, attraverso il riscontro di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione agli atti ed alle tariffe, in relazione all’inderogabilità dei minimi tariffari, il giudice del merito, in presenza, di una specifica nota spese, non può limitarsi a una globale determinazione dei diritti e degli onorari, ma deve indicare le voci per le quali non li ritiene dovuti ovvero li ritiene dovuti in misura minore.
Peraltro, la determinazione degli onorari, poichè è legislativamente ancorata tra un minimo ed un massimo per voci predeterminate, non richiede, normalmente, una specifica motivazione, attesa la facile controllabilità della relativa operazione contabile, mentre un’adeguata motivazione deve, invece, essere espressa ove ricorrano giustificati motivi che comportino una deroga ai minimi tariffari nei limiti consentiti (giurisprudenza costante).
Ove si condividano i superiori rilievi, sussistono i presupposti per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 375 c.p.c.”.
2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti sopra precisati.
Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la Corte può procedere direttamente alla liquidazione delle spese nella misura indicata in dispositivo secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari e poste a carico della parte soccombente. Il limitato accoglimento del ricorso, per converso, giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità nella misura di 2/3, da porre carico dell’Amministrazione per la parte rimanente.
Spese distratte.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 280,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario;
che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010