LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AZD AGRICOLA FOSSI GLOBE DI ENRICO FOSSI & C SAS, in persona del socio accomandatario e legale F V rappresentante sig. F.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato COLASANTI GIANNA, rappresentato e difeso dall’avvocato PESTELLI FRANCESCO;
– ricorrente –
contro
C.S. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAPOSILE 2, presso lo studio dell’avvocato ANZALDI ANTONINA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANNOTTA GIUSEPPE ALESSANDRO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 298/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/02/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 27/10/2009 dal Consigliere Dott. GOLDONI Umberto;
udito l’Avvocato GIANNOTTA Giuseppe A. difensore della resistente che ha chiesto rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 1999, C.S. conveniva di fronte al tribunale di Firenze l’Azienda agricola Fossi – Globe sas per sentir dichiarare l’esistenza di una servitù di passo a suo favore sul resede antistante la proprietà della società, diritto reale costituitosi per destinazione del padre di famiglia a seguito della cessione e conseguente divisione di una quota del terreno originariamente di proprietà della convenuta, mediante cui si poteva collegare alla pubblica via, usufruendo del cancello posto in loco dalla stessa convenuta.
La società si costituiva, opponendosi alla declaratoria richiesta, non ritenendo sussistenti nella specie i presupposti per l’applicazione dell’art. 1062 c.c., ed evidenziando che nel contratto di vendita era prevista la costituzione di altra servitù di passo, anche carraio, a favore della C., mediante la costruzione di una nuova strada, a cura della alienante.
Con sentenza del 2000, l’adito tribunale rigettava la domanda attorea, regolando le spese secondo la soccombenza.
Avverso tale sentenza proponeva appello la C., cui resisteva la società. Con sentenza in data 9.12.2003 – 23.1.1004, la Corte d’appello di Firenze in accoglimento dell’interposta impugnazione, dichiarava costituita la servitù de qua a favore della C. in applicazione dell’art. 1062 c.c. e regolava le spese. Osservava la Corte gigliata che il contratto di compravendita era stato interpretato in prime cure capovolgendo in sostanza quelli che erano gli oneri rispettivi delle parti, rispetto alla formazione e alla chiarezza della volontà che con lo stesso intendevano esprimere.
Posto che, a seguito del frazionamento del terreno la quota della C. rimaneva interclusa, era conseguente l’applicazione dell’art. 1062 c.c., mentre le parti avevano costituita convenzionalmente una nuova servitù, non evidenziando che quest’ultima sostituiva l’altra; peraltro, i tracciati su cui le servitù surricordate dovevano svolgersi, riguardavano accessi a due vie diverse, poste ad apprezzabile distanza tra loro e destinati ad assolvere funzioni diverse.
Non si trattava quindi di ipotesi in cui la stessa conformazione in concreto della servitù convenzionale era tale da escludere a priori, il mantenimento di quella venuta ad esistenza per legge.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la società, sulla base di due motivi; resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, la C..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 c.c. e dell’art. 1062 c.c. e segg. nonchè dell’art. 1362 c.c. e segg.; si sostiene in primis l’impossibilità di acquisire per destinazione del padre di famiglia una servitù non apparente, e ancora la circostanza che il tracciato su cui la servitù stessa avrebbe dovuto essere esercitata interessava il resede antistante l’immobile di proprietà della ricorrente da assimilarsi all’aia o al cortile.
Sotto altro aspetto, si evidenzia che la costituzione di tale servitù risultava impedita dalla volontà stessa delle parti che avevano convenuto nella clausola 6 del contratto di compravendita, la costituzione di una diversa servitù di passo in altro sito, così manifestando univocamente la intenzione di sostituire a quella derivante dall’applicazione dell’art. 1062 c.c., una servitù convenzionale.
Il motivo non ha pregio: per vero, non risulta nè è stato in alcun modo evidenziato in ricorso che la questione dell’apparenza della servitù e della equiparazione del resede all’aia o al cortile siano state questioni sollevate nel giudizio di merito; ciò premesso trattasi di argomenti sollevati per la prima volta in questa sede di legittimità e pertanto, in applicazione del consolidato avviso di questa Corte, secondo cui possono essere prospettate a questa Corte solo questioni o temi di contrasto già trattati nella fase di merito o rilevabili di ufficio (v. ex multis, Cass. nn 2140 del 2006 e 22154 del 2004) tali questioni vanno dichiarate inammissibili.
Quanto poi al profilo afferente alla volontà delle parti quale desumibile dal contratto di compravendita, deve rilevarsi che se una servitù insorge in ragione dello stato stesso dei luoghi (nella specie, interclusione di un fondo quale derivante dall’avvenuta divisione di un più ampio terreno) ben può la volontà delle parti impedire il sorgere di quella servitù, ma tanto deve avvenire con manifestazioni espresse e non univoche, che nella specie non sono ravvisabili, atteso che mai si parla di sostituire una servitù (convenzionale) a quella legale, ma solo della creazione di altro tracciato su cui esercitare la servitù di passo.
Deve dunque concludersi nel senso che anche tale profilo del primo motivo non ha pregio e che lo stesso deve essere pertanto rigettato.
Con il secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione su di un punto decisivo della controversia, adducendosi che la sentenza impugnata avrebbe omesso di enunciare i motivi della decisione assunta in ordine alla qualificazione del consenso prestato dalla ricorrente al transito della resistente attraverso il cancelli di via *****; e quelli posti a base dell’interpretazione della clausola relativa alla costituzione di una servitù volontaria, in asserito contrasto con la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia.
Il primo profilo va letto alla luce della circostanza non contestata secondo cui il passaggio era stato effettuato su quello che era il tracciato della servitù costituenda per destinazione del padre di famiglia. Consegue da tanto che poichè una servitù del genere si costituisce ex lege, a nulla rileva il soggettivo convincimento del soggetto al riguardo e conta solo il fatto che la costituzione per destinazione del padre di famiglia nasce dallo stato dei luoghi e per ciò solo può essere legittimamente esercitata.
Quanto al secondo profilo, la motivazione non manca ed è chiaramente enunciata alle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata, argomentazione che corrisponde a canoni di logica, in ragione della situazione venutasi a creare in conseguenza di una pattuizione, la cui valenza non poteva essere interpretata, come ha rilevato la Corte toscana, in mancanza di una specifica espressione che togliesse valenza alla costituzione ex lege di una servitù, che come volontà di costituirne un’altra in aggiunta a quella avutasi per destinazione del padre di famiglia, circostanza questa avvalorata dalla diversità dei percorsi e dalla diversa destinazione che le due strade potevano svolgere.
Una tale interpretazione della volontà contrattuale, che è del resto affidata alla discrezionalità del giudice del merito se correttamente e logicamente motivata, non in violazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 3362 c.c. e segg., non può che essere ritenuta corretta e tecnicamente valida; il motivo in esame deve essere pertanto respinto e, con esso il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in 3.200,00 Euro, di cui 3.000,00 Euro per onorari, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010