LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONDOTTI 61/A, presso lo studio dell’avvocato FORNARO GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRISOLIA GIORGIO;
– ricorrente –
contro
A.S.F.;
– intimato –
e sul ricorso n. 1648/2005 proposto da:
A.S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL BANCO DI S. SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato D’OTTAVI MARIO FILIPPO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLA RENATO;
– controricorrente ric. incidentale –
e contro
A.S.S.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 493/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 17/07/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 19/11/2009 dal Consigliere Dott. GOLDONI Umberto;
udito l’Avvocato PARISI Gianfranco con delega depositata in udienza dell’Avvocato FORNARO Giuseppe, difensore della ricorrente che si riporta agli atti;
udito l’Avvocato COLA Renato, difensore della resistente che si riporta agli atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per accoglimento 1 – 2 motivo, assorbito il 3 motivo del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con unico atto in data 1.7.1978, P.N.T. vendeva alla nipote, A.S.S., un appartamento in *****, locato ed a fitto bloccato; A.S.A.M., dal canto suo, vendeva alla predetta altro appartamento, occupato da lei stessa e dal marito, per il prezzo di L. 25.000.000, riservandosene l’usufrutto.
Con coeva scrittura privata, i venditori dichiaravano di aver venduto alla stessa S. i beni mobili di cui si allegava dettagliato elenco, sempre con riserva di usufrutto; nel 1981, decedeva P. T., lasciando erede la moglie che, nel 1992, si trasferiva, portando seco tutti i mobili che arredavano la gia’ casa coniugale di *****, presso l’abitazione, in *****, del nipote A. S.F. ove decedeva nel *****.
In vita, la A.S.A.M. aveva redatto, nel *****, un testamento, olografo con cui lasciava ai predetti nipoti i mobili di cui ad una lista allegata; con il testamento pubblico del *****, la stessa nominava suo erede universale il nipote F., previa revoca di ogni altro testamento. S. chiedeva ed otteneva sequestro giudiziario dei beni de quibus. Con atto del 1995, S. conveniva di fronte al tribunale di Ascoli Piceno F., chiedendo che fosse di lei riconosciuta la piena proprieta’ de beni di cui alla scrittura aggiuntiva del *****, la restituzione dei mobili e il risarcimento dei danni. F., costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda, disconoscendo l’autenticita’ delle firme di cui alla scrittura predetta.
Peraltro l’istruttore consentiva la sola verificazione della sottoscrizione della de cuius, in ragione ed in applicazione dell’art. 214 c.p.c..
Con sentenza del 2000, il Tribunale adito, in composizione monocratica, accoglieva la domanda attorea e regolava le spese.
Proponeva appello F., cui resisteva S.; la Corte di appello di Ancona previa effettuazione di consulenza grafica di ufficio sulla sottoscrizione di P.N.T., con sentenza in data 22.4 – 17.7.2004, in accoglimento dell’interposta impugnazione respingeva l’originaria domanda attorea e regolava le spese.
Osservava la Corte marchigiana che la accertata falsita’ della sottoscrizione del P.T., non contestata da controparte, comportava la nullita’ della scrittura aggiuntiva del *****. In detto atto, i venditori si affermavano proprietari dei mobili elencati e venduti, riservandosene l’usufrutto; la scrittura andava valutata unitariamente e la falsita’ della sottoscrizione di uno dei comproprietari la travolgeva per intero.
Il fatto che S.A.A. non aveva mai venduto i detti mobili era confermato dai due testamenti redatti dalla de cuius; il valore di detti mobili, assai pregevoli, nel ***** era molto superiore a L. 25.000.00 pagati per l’acquisto dell’appartamento, tanto da far presumere che la vendita simulasse una donazione, peraltro da ritenersi nulla per difetto di forma.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di tre motivi, S.; resiste con controricorso F., che ha altresi’ proposto ricorso incidentale, basato su di un solo motivo.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi, principale ed incidentale, sono rivolti avverso la medesima sentenza e vanno pertanto riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
Venendo all’esame del ricorso principale, con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 214 c.p.c. e segg. e vizio di motivazione; si assume infatti che, rispetto alla scrittura aggiuntiva del *****, F. doveva essere considerato terzo, atteso che i coniugi T. – P., con quell’atto avevano disposto dei beni mobili che arredavano la allora casa coniugale alla nipote S., e non si faceva accenno alcuno all’altro nipote.
Si censura altresi’ la motivazione della sentenza impugnata, laddove farebbe discendere la qualita’ di erede di F. dalla falsita’ della sottoscrizione di P.N.T..
Il motivo non puo’ trovare accoglimento; la nullita’ della ricordata scrittura privata scaturente dal fatto che la sottoscrizione di uno dei comproprietari dei mobili de quibus era stata riconosciuta apocrifa, rendeva nulla la scrittura, cosa questa che comportava che del patrimonio del defunto N. facevano parte, alla di lui morte, i mobili elencati nella piu’ volte citata scrittura; dalla istituzione di erede universale della moglie conseguiva pertanto che anche tali beni erano entrati a far parte del patrimonio di costei, con il risultato ulteriore che allorche’ la A.S. istitui’ erede di tali mobili il nipote F., gli stessi andavano ad essere compresi nel patrimonio della donna proprio in ragione della nullita’ della scrittura e tanto e’ sufficiente ad escludere che il nipote potesse essere considerato terzo rispetto ad essa. A parte ogni considerazione circa la compiuta e reale portata dell’art 214 c.p.c. deve dunque affermarsi che, in base alle considerazioni che precedono e cosi’ integrata la motivazione assunta in prime cure, F. era legittimato a chiedere la verificazione della sottoscrizione di P.N.T. apposta nella scrittura del *****.
Tanto comporta il rigetto del motivo in esame.
Con il secondo mezzo si lamenta carenza o mera apparenza della motivazione in ordine al profilo secondo cui la falsita’ della sottoscrizione di uno dei comproprietari renderebbe nulla l’intera scrittura e si invoca il principio della conservazione degli atti di cui all’art. 1419 c.c..
In realta’, per un verso l’articolo surricordato non appare applicabile alla fattispecie de qua, in quanto lo stesso regola ipotesi in cui si discuta della nullita’ di una clausola o di parte di un atto, e non quando si verta in tema di falsita’ della sottoscrizione di un atto nel suo complesso e per altro verso, va ricordato il risalente, ma tuttora validamente applicato principio giurisprudenziale secondo cui la nullita’ di una parte dell’atto travolge l’intero atto segnatamente ove, come nella specie, la volonta’ dell’unica comproprietaria venditrice sopravvissuta sia chiaramente nel senso di considerare come non produttivo di effetto alcuno l’atto de quo, cosa questa ampiamente dimostrata dai due testamenti con cui la A.S. dispose dei mobili oggetto di quella scrittura.
Anche il secondo mezzo non puo’ pertanto trovare accoglimento.
Con il terzo motivo si lamenta vizio di ultrapetizione; violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 2720 c.c.; motivazione illogica ed incoerente; violazione e falsa applicazione dell’art. 1478 c.c..
Il lamentato vizio di ultrapetizione attiene alla considerazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui se la scrittura de qua avesse dovuto essere interpretata come donazione sarebbe stata nulla per difetto di forma; esso non sussiste, in ragione del fatto che era compito della Corte definire la natura giuridica dell’atto e pertanto doveva scendere ad esaminarne le possibili connotazioni; del resto, implicitamente, allorche’ si sostiene che quella scrittura doveva essere considerata un atto meramente ricognitivo della vendita di cui al rogito, si convalida le tesi della necessaria qualificazione giuridica dell’atto.
Quanto alla suaccennata tesi, appare evidente che l’interpretazione dell’atto e’ compito del giudice dei merito, il quale, al di la’ di non univoche espressioni letterali contenute nell’atto stesso ha dato prevalenza alla documentata circostanza della separazione tra i rogiti e la scrittura, che indicavano, secondo un apprezzamento immune da vizi logici, l’autonomia della scrittura stessa.
Non e’ sufficiente fornire una diversa lettura dei documenti processuali per togliere valenza alla interpretazione che ne viene data in sentenza se quest’ultima, come nel caso si specie, e’ immune da vizi logici o argomentativi.
Con riferimento infine alla tesi che in ragione della falsita’ della sottoscrizione si sarebbe avuta una vendita di cosa altrui da parte del comproprietario, che avrebbe riassunto pieno valore al momento in cui la parte firmataria era divenuta proprietaria esclusiva dei beni, la stessa non pare essere stata oggetto di dibattito nella fase di merito ed e’ in ogni caso contrastata dal fatto che la regola de qua non puo’ estendersi all’ipotesi di firma apocrifa del comproprietario, attesa la istituzionale assenza di consapevolezza nell’altro comproprietario di vendere anche cosa altrui.
Anche tale motivo deve essere pertanto respinto e, con esso, il ricorso principale. Venendo all’unico motivo del ricorso incidentale, con cui si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronunzia sull’istanza di restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza di prime cure, lo stesso e’ all’evidenza fondato, atteso che non vi sono argomentazioni, e neppure accenni, a tale domanda. L’accoglimento di tale motivo comporta la pronuncia, nel merito, non essendo necessari accertamenti ulteriori in fatto, di restituzione della somma al titolo surricordato corrisposta, non essendo in contestazione ne’ la avvenuta corresponsione ne’ l’importo. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, la Corte rigetta il principale e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in 2.200,00 Euro, di cui 2.000,00 Euro per onorari, oltre agli accessori di legge.
Accoglie il ricorso incidentale e, per l’effetto, pronunciando nel merito, dispone la restituzione a A.S.F. di quanto corrisposto alla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado.
Cosi’ deciso in Roma, il 19 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010