LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato CONTALDI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRARI GIAMPAOLO;
– ricorrente –
contro
P.A. in D.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORLETTO MASSIMO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 801/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 08/08/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 02/12/2009 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;
udito l’Avvocato ROMANELLI Guido Francesco, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 3 giugno 1994 P.A. conveniva in giudizio avanti al tribunale di Savona F.A. per sentirlo condannare a rimuovere la ringhiera infissa sul solettone recentemente costruito sulla sua proprieta’ a distanza non legale da cui esercitava illecita servitu’ di veduta sul sottostante fondo di proprieta’ dell’attrice ed ogni altro manufatto avente carattere di costruzione in violazione delle norme sulle distanze dai confini; ad eliminare lo scolo delle acque che dal menzionato “solettone” si riversavano nella sua proprieta’, ed al risarcimento dei danni, con vittoria delle spese di giudizio. Si costituiva in giudizio il F. chiedendo il rigetto della domanda, negando di aver modificato lo stato dei luoghi in quanto la ringhiera era stata installata in sostituzione delle preesistente recinzione, ne’ era stata apportata alcuna modifica al deflusso delle acque nel fondo sottostante. In via riconvenzionale il F. chiedeva la condanna della P. alla demolizione di un fabbricato in muratura con copertura in tegole e di un piccolo manufatto in legno (gazebo) in quanto posti a distanza non regolamentare dal proprio confine.
Il tribunale adito, espletata una CTU, con sentenza n. 1454/2003 depos. in data 2.12.2003, in parziale accoglimento della domanda attrice, condannava il convenuto a rimuovere o comunque modificare la ringhiera in questione, rigettando la domanda riconvenzionale relativa alla demolizione di alcuni manufatti esistenti nel fondo P..
Avverso tale pronuncia il F. proponeva appello. Deduceva in specie che la preesistente rete a maglie larghe infissa nella vecchia ringhiera, consentiva gia’ l’esercizio di veduta globale e obliqua e presentava caratteri tali da rilevare la normale e permanente destinazione all’inspecio e prospectio; si lamentava altresi’ della mancata ammissione delle prove dedotte al fine di dimostrare il preesistente stato di fatto. Si costituiva l’appellata chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
L’adita Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 801/06 depositata in data 6.8.2006, rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza di 1 grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali. Secondo la Corte territoriale era pacifico che la precedente recinzione consentisse di vedere nel sottostante fondo confinante, tuttavia non si poteva parlare di esercizio di veduta ex art. 900 c.c., in quanto la veduta stessa avrebbe dovuto consentire ad una persona di normale e media altezza, il comodo affaccio verso il fondo del vicino in condizione di assoluta sicurezza, si’ da potere agevolmente sostare in osservazione di tale fondo. Ora, la rete metallica che formava la preesistente recinzione, per la sua consistenza non poteva consentire il comodo affaccio, mancando la possibilita’ dell’appoggio e quindi delle necessarie condizioni di sicurezza. La ringhiera successivamente installata, quindi, avrebbe dovuto essere di altezza tale da impedire la prospectio.
Avverso la suddetta pronuncia il F. propone ricorso per Cassazione sulla base di n. 3 mezzi; resiste con controricorso l’intimata, che ha altresi’ depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva il Collegio che con la controricorrente, con la memoria ex art. 378 c.p.c. ha sollevata l’eccezione d’inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. in relazione alla formulazione dei quesiti di diritto enucleati nel ricorso stesso.
La questione – rilevabile peraltro d’ufficio – appare fondata, atteso che l’art. 366 bis c.p.c. e’ tuttora applicabile ai ricorsi proposti avverso decisioni pubblicate nell’arco temporale 2.3.2006 – 4.7.2009, avuto riguardo alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5.
Nella fattispecie il primo ed il secondo motivo del ricorso sono formulati per violazione di norme di diritto, ma in calce a ciascun motivo sono formulati rispettivamente n. 7 e n. 4 quesiti di diritto, in sostanza per ciascuno dei motivi di ricorso sono formulati quesiti di diritto multipli, talora alternativi, in modo certamente non sintetico, senza il necessario collegamento tra di loro ed in ogni caso inidonei a chiarire l’errore di diritto attribuito alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie in esame (Cass. S.U. n. 26020 del 30.10.2008). Invero – come ha piu’ volte sottolineato da questa Corte – la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilita’ de motivo proposto, e’ quella di far comprendere alla Corte di legittimita’, dalla lettura del solo quesito (inteso come sintesi logico – giuridica della questione) l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. n. 8463 del 07/04/2009).
Peraltro, tale quesito di diritto dev’essere proposto in modo tale che la Corte possa rispondervi semplicemente con un si’ o con un no.
Ne consegue che e’ inammissibile il quesito formulato – come nella fattispecie in esame – in termini tali da richiedere una previa attivita’ interpretativa della Corte. Cio’ accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate (Cass. n. 1906 dei 29/01/2008; Cass. n. 17064 del 23.6.08).
Cio’ posto non v’e’ dubbio che i quesiti di diritto in esame non rispondono ai suesposti requisiti e dunque sono certamente inammissibili.
A tal fine si rileva che con il 1 motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 900 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. per difetto d’istruttoria. Secondo l’esponente, l’elemento che caratterizza la veduta e’ la possibilita’ di avere, attraverso di essa, una visuale agevole – cioe’ senza uso di mezzi artificiali – sul fondo del vicino, ma non necessariamente anche la possibilita’ di affacciarsi, che e’ prevista dall’art. 900 c.c. in aggiunta a quella di guardare, cosicche’ la mancanza di quest’ultimo requisito non esclude la configurabilita’ di una veduta quando attraverso l’apertura sia comunque possibile la completa visuale de fondo mediante semplice inspectio. Invero la Corte ha errato quando ha ritenuto insussistente una servitu’ di veduta, atteso che la rete metallica costituente la vecchia recinzione, per le sue caratteristiche, consentiva una visione globale dei fondo anche in appoggio alla recinzione stessa ed in affaccio.
Sotto tale profilo il giudice di merito avrebbe errato nel non ammettere le prove orali richieste tendenti a dimostrare il descritto stato di fatto risalente ad oltre 40 anni or sono, “appurando il consolidarsi di situazioni di usucapione di servitu’ di veduta”.
Orbene, all’enunciazione di questo unico motivo, corrispondono ben 7 quesiti (ovvero un solo quesito suddiviso in piu’ parti), alcuni dei quali proposti – in modo tutt’altro che sintetico – persino in via alternativa o subordinata, del seguente testuale tenore:
“….Rispettosamente invitando l’ecc.ma Corte di Cassazione: 1A) ad applicare il principio di diritto secondo cui l’elemento che caratterizza la veduta e’ la possibilita’ di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioe’ senza l’uso d mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilita’ di affacciarsi e’ prevista dall’art. 900 c.c. in aggiunta a quella di guardare, cosicche’ l’eventuale mancanza di quest’ultimo requisito non esclude la configurabilita’ di una veduta, quando attraverso l’apertura sia comunque possibile la completa visuale del fondo vicino mediante semplice inspectio, avendo al contrario la Corte d’appello di Genova posto a fondamento della decisione la necessita’ dell’esistenza della prospectio secondo, peraltro, una malintesa interpretazione della relativa nozione ovvero solo come affaccio;
2A) ad applicare il principio i diritto secondo cui l’esistenza di un’opera in virtu’ della quale sia obiettivamente possibile guardare e affacciarsi comodamente verso il fondo del vicino, e’ sufficiente ad integrare una veduta e il possesso della relativa servitu’, senza che occorra anche l’esercizio effettivo dell’affaccio, ne’ che tali opere siano sorte per l’esercizio esclusivo della veduta, essendo sufficiente che le stesse rendano possibile tale esercizio (cfr.
Cass….) ed il principio di diritto secondo cui per la configurabilita’ del possesso di servitu’ di veduta, tutelabile con l’azione di spoglio, non e’ necessario che t’opera da cui questa e’ esercitata sia destinata esclusivamente all’affaccio sul fondo del vicino se, per ubicazione, consistenza e caratteristiche, il giudice del merito ne accerti l’oggettiva idoneita’ all’inspicere ed al prospicere in alienum (cfr Cass……) avendo al contrario ritenuto la corte d’appello, in maniera apodittica e senza alcuna istruttoria, che la conformazione della recinzione, ritenuta inidonea all’affaccio, escludesse di per se’ l’esistenza di una veduta;
4A) ad applicare il principio di diritto secondo cui la situazione di fatto, che potrebbe in astratto generare o meno la servitu’, dev’essere concretamente accertata dai giudice avendo al contrario la Corte d’Appello di Genova omesso ogni indagine istruttoria in argomento”.
“In via subordinata laddove questa ecc. ma Corte non ritenesse la preesistente servitu’ di veduta”.
5A) ad applicare il principio di diritto secondo cui l’esistenza di una servitu’ di veduta puo’ essere fondatamente ritenuta solo in presenza di una situazione di fatto che univocamente consenta di esercitare la prospectio e l’inspectio sul fondo del vicino, e solo quando esistano il loco manufatti effettivamente destinati in modo normale e permanente all’esercizio della veduta, sicche’ non puo’ dar luogo all’esercizio di una veduta un ringhiera posta a separazione fra due fondi urbani, trattandosi di un’opera avente essenzialmente funzione divisoria, anche quando consenta di inspicere ed al prospicere in alienum (cfr. Cass….) avendo al contrario la Corte d’Appello di Genova ritenuto che l’Opera ingenerasse servitu’”.
6A)” ad applicare il principio diritto secondo cui per prospectio s’intende la possibilita’ di affacciarsi ovvero anche di guardare lateralmente in una visione globale dell’altro fondo, con lo sporgere del capo, possibilita’ che in astratto puo’ anche non essere impedita dall’esistenza di un’inferriata, purche’ in relazione all’ampiezza delle maglie di questa, possa essere in concreto stabilita la possibilita’ di protendere il capo (cfr. Cass….), avendo al contrario la stessa corte d’appello di Genova ritenuto che tale facolta’ sia esercitatile dalla nuova ringhiera senza tenere conto alcuno dell’effettiva conformazione – in particolare dell’altezza – della stessa e senza effettuare alcuna istruttoria in relazione all’effettiva possibilita’ d’affaccio”.
7A) “ad applicare il principio diritto secondo cui l’inosservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c. impone al giudice di esporre gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, non avendo al contrario la Corte di Appello di Genova evidenziato prove idonee a sostenere le argomentazioni svolte nella sentenza”.
Quanto al 2 motivo del ricorso, con esso si denunzia altra violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 877 e 878 c.c.; un “vizio d’istruttoria”, con riguardo al rigetto domanda riconvenzionale. Osserva l’esponente che la Corte territoriale aveva confermato il rigetto della domanda riconvenzionale (modificando la motivazione del 1 giudice) assumendo da un lato che il F. aveva piu’ volte modificato nel corso del giudizio le ragioni della propria domanda riguardante i manufatti costruiti nella confinante proprieta’ P. (con riguardo alla violazione delle distanze legali, della norme urbanistiche locali ecc.) e dall’altro che il muro di contenimento terra – in prossimita’ del quale erano stati eretti tali manufatti – non sarebbe stato un muro di fabbrica cioe’ una costruzione rilevante ai fini delle distanze (non avendo la funzione di contenere un terrapieno artificiale), per cui non sarebbe stata applicabile” qualsivoglia normativa in tema di distanze legali tra le costruzioni”.
Al suddetto motivo seguono n. 4 quesiti di diritto, redatti anch’essi in modo non sintetico e con riguardo alle concrete ipotesi esaminate, del seguente testuale tenore:
“2A) Rispettosamente invitando l’ecc.ma Corte di Cassazione: ad applicare il principio di diritto secondo cui nell’esercizio del potere d’interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non e’ condizionato alla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonche’ del provvedimento in concreto richiesto, non essendo condizionato dalla mera formula adottata dalla parte nonche’ ad applicare il principio secondo cui a norma dell’art. 345 c.p.c. non e’ configurabile come domanda nuova quella cui non vengano mutati il bene della vita richiesto, ossia il petitum, ne’ i fatti posti a base della domanda, ossia la causa petendi, ma solo la qualificazione giuridica di questi, nonche’ ad applicare il principio secondo cui il giudice e’ libero di rendere la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti, autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonche’ in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed, in genere, all’applicazione di una norma giuridica, diversa da quella invocata dall’istante avendo al contrario la Corte d’Appello di Genova ritenuto che la semplice precisazione della domanda sotto l’aspetto dell’inquadramento giuridico ed immutati i fatti costitutivi dalla pretesa costituisca domanda nuova”;
2.B)” Ad applicare il principio di diritto secondo cui in tema di limitazioni legali della proprieta’, i requisiti del muro di cinta che, non va considerato ai fini del computo delle distanze, sono quelli prescritti dall’art. 878 c.c. essendo un muro privo di tali requisiti da considerarsi quale costruzione anche ai fini del rispetto delle distanze legali avendo al contrario ritenuto la Corte d’Appello di Genova che non costituisca costruzione un muro di rilevanti dimensioni che non abbia le caratteristiche del muro di cinta;
2.C)” Ad applicare il principio di diritto secondo cui in tema di distanze legali, le norme del PRG devono essere considerate integrative rispetto alla disciplina dettata dal c.c. ove siano stabilite nelle materie disciplinate dall’art. 873 c.c. e segg.
appartenendo a tale novero le disposizioni del piano regolatore che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni dal confine del fondo (cfr. Cass….) avendo al contrario ritenuto la Corte d’Appello di Genova di non poter applicare tali disposizioni in quanto asseritamente tardivamente invocate dal F.”;
2.D) “Ad applicare il principio di diritto secondo cui il giudice ha il dovere di accertare e valutare il contenuto essenziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonche’ dal provvedimento concerto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella esercitata (cfr. Cass….) avendo al contrario ritenuto la Corte d’Appello di Genova omesso la qualificazione giuridica della domanda sulla scorta di una pretesa novita’ della stessa omettendo qualsivoglia concreta interpretazione”.
Premesso dunque che i quesiti di cui sopra devono dichiararsi inammissibili, occorre procedere all’esame del 3 motivo (erroneamente indicato come 4 nel ricorso) con il quale ricorrente denuncia l’omessa o contraddittoria motivazione circa un punto controverso.
Viene dedotta altresi’ la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 900 c.c. e dell’art. 878 c.c.. Si critica la mancata ammissione delle prove al fine di accertare che la recinzione originaria consentiva la comoda veduta del fondo sottostante avuto riguardo alla particolare situazione dei luoghi ed al dislivello esistente tra i due fondi. Si deduce inoltre che la Corte territoriale avrebbe disatteso il parere del C.t.u. senza l’apporto di alcuna autonoma motivazione con riguardo al prospettato mancato rispetto delle distanze li legge delle costruzioni P..
Il motivo e’ inammissibile sia perche’ privo di autosufficienza -, non essendo state indicate ne’ le prove dedotte e non ammesse ne’ la specifica parte della CTU non condivisa dal giudice a quo – sia con riguardo al relativo quesito di diritto non correttamente formulato, privo di alcuna specificita’ in relazione alla corrispondente ratio decidendi della sentenza impugnata. Invero il quesito e’ del seguente testuale tenore: “Rispettosamente invitando l’ecc.ma Corte di Cassazione: ad applicare il principio di diritto secondo il giudice, il quale disattenda il parere espresso dal consulente tecnico d’ufficio, ha l’onere di dare di cio’ adeguata motivazione, autonomamente e direttamente penetrando nella questione tecnica e di questa giungendo a dare propria, diversa e motivata soluzione, avendo al contrario la Corte d’appello di Genova disatteso l’opinione del CTU senza motivazione alcuna”. Si tratta dunque di quesito del tutto generico perche’ non contiene alcuna sintesi logico – giuridica della questione, in modo da far comprendere alla Corte l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice. In sintesi, l’intero ricorso dev’essere dichiarato inammissibile. Consegue la condanna al pagamento delle spese di lite ex art. 91 c.p.c..
P.Q.M.
LA CORTE Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010