Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.498 del 14/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11/2007 proposto da:

PREFETTURA DI ASCOLI PICENO in persona del Prefetto pro tempore e QUESTURA DI ASCOLI PICENO in persona del Questore pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrenti –

contro

L.M.;

– intimata –

avverso il decreto R.G. 140/05 del GIUDICE DI PACE di ASCOLI PICENO del 7.12.05, depositato il 13/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3 0/03/2009 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE SALME’.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 13 dicembre 2005 il giudice di pace di Ascoli Piceno, accogliendo l’opposizione proposta dalla cittadina ***** L. M., ha annullato il provvedimento di espulsione del Prefetto di Ascoli Piceno del 3 novembre 2005 e l’ordine di lasciare il territorio dello Stato emesso dal Questore della stessa città, in quanto il provvedimento impugnato era stato tradotto nelle tre lingue indicate nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, ma non in lingua cinese, non essendo sufficiente a giustificare tale omissione l’affermazione, contenuta in una clausola del verbale di notifica del provvedimento stesso, secondo la quale sarebbe stato impossibile reperire in tempi brevi un interprete di lingua conosciuta dalla persona straniera, in quanto non sussistevano oggettive difficoltà di reperimento attesa la forte presenza di cittadini cinesi nella zona in cui la ricorrente è stata fermata.

Avverso il decreto del giudice di pace la Prefettura e la Questura di Ascoli Piceno hanno proposto ricorso per cassazione. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le amministrazioni ricorrenti, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, lamentano che il giudice di pace abbia sindacato l’effettività della ragione della mancata traduzione in lingua ***** omettendo di considerare che, secondo l’orientamento di questa Corte, dalle esigenze di celerità alle quali è ispirata la disciplina del provvedimento di espulsione e dal carattere vincolato di tale provvedimento deriva, da un lato, che l’impossibilità di traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero deve intendersi in termini relativi, e cioè in relazione alla concreta situazione, e dall’altro, che la valutazione di tale impossibilità, trattandosi di modalità di organizzazione ed esecuzione del servizio, è sottratta al sindacato dell’autorità giudiziaria ed è rimesso alla esclusiva competenza dell’amministrazione.

Il ricorso è manifestamente fondato.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, dispone che l’autorità procedente, nel caso in cui lo straniero non conosca la lingua italiana (il relativo accertamento, anche mediante presunzioni è riservato al giudice del merito: Cass. n. 2316/2005, 12812/2003, 366/2003, 275/2000) ha l’obbligo (sanzionato con la nullità del provvedimento, per violazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 13 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato e aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con L. 25 ottobre 1977 n. 881: Cass. 12581/2001) di tradurre la copia del provvedimento nelle lingua conosciuta dallo straniero stesso.

Tale obbligo è derogabile solo se l’autorità amministrativa attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia impossibile, e in tal caso è sufficiente che la traduzione sia effettuata nelle lingue francese, inglese, spagnolo (Cass. 26 ottobre 2006, Manea, n. 275/2006, 25362/2006, 23210/2005, 17253/2005, 13032/2004, 4312/2004, 3006/2004, 366/2003, 5732/2003, 5465/2002).

Il richiamato orientamento giurisprudenziale ha anche precisato che:

a) l’impossibilità di tradurre il provvedimento nella lingua conosciuta dallo straniero non deve essere intesa in senso assoluto, ma relativo, in relazione con le circostanze di fatto esistenti e con il carattere vincolato del provvedimento prefettizio (Cass. 26 ottobre 2006, Manea, cit., n. 4312/2004);

b) l’attestazione dell’impossibilità di procedere a traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero non può consistere in una mera clausola di stile (cfr. Cass. n. 25362/2006 che ha escluso abbia tale natura l’attestazione dell’impossibilità di reperire interpreti della lingua conosciuta dallo straniero), ma deve essere fondata su ragioni specifiche;

c) tali ragioni, in mancanza di specificazioni contenute nella legge o in altri atti normativi, possono consistere nella mancata identificazione dello Stato di provenienza o della lingua conosciuta dallo straniero, nella scarsa diffusione della lingua conosciuta ovvero in altre specifiche ragioni tecnico-amministrative (Cass. n. 3266/2004, n. 879/2002, 16032/2001);

d) poichè l’impossibilità di procedere a traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero attiene alla modalità di organizzazione ed esecuzione del servizio reso dall’autorità amministrativa, il giudice non può sindacare il merito della attestazione.

Ora, il giudice di pace di Ascoli Piceno, non ha negato che l’attestazione dell’impossibilità di traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero fosse idonea a giustificare il ricorso alle tre lingue cosiddette veicolari, ma ha affermato, peraltro senza indicare gli elementi fattuali presi in considerazione, che nella zona in cui è stata fermata straniera c’era una forte presenza di cittadini cinesi. Tale circostanza, che in realtà non contrasta con l’affermazione dell’impossibilità di reperire traduttori di lingua cinese, e cioè di soggetti che fossero a conoscenza oltre che della lingua cinese anche di quella italiana, tuttavia attiene al merito dell’attestazione dell’autorità amministrativa e, come tale, non poteva essere sindacata dal giudice di pace. Il decreto impugnato deve essere quindi cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito, rigettando l’opposizione proposta da L.M. contro il provvedimento di espulsione del Prefetto di Ascoli Piceno.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.

PQM

la corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigetta l’opposizione proposta da L.M. contro il provvedimento di espulsione del Prefetto di Ascoli Piceno del 3 novembre 2005. Compensa le spese di entrambi i giudizi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi, Sezione Prima Civile, il 30 marzo 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010

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