LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25357-2005 proposto da:
G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VTA PISISTRATO 11, presso lo studio del Avvocato ROMOLI GIANNI, che lo rappresenta e di fende unitamente all’avvocato ROMANO FRANCESCO con studio in TRENTO, VIA MAZZINI 47, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 272/2 004 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, SEZIONE SECONDA CIVILE, emessa il 22/06/2004, depositata il 14/07/2004, R.G.N. 398/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2009 dal Consigliere Dott. TALEVI ALBERTO;
udito l’Avvocato ROMOLI GIANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
“Con citazione del 28/10/2003 G.L. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Trento n 314/03 del 21/3/2003 con la quale, accertato che con la frase tutto questo dovrebbe essere sufficiente per giustificare quanto il Sig. G.L. sia solito affermare il falso e come venga descritto da voce di popolo come persona oltremodo vendicativa contenuta nella relazione di servizio stilata in data 24/3/97 C.L. ha diffamato il G., il C. veniva condannato a pagargli la somma di Euro 500,00 oltre interessi dal 19/3/03 al saldo con compensazione delle spese di causa. Si doleva che Tribunale, pur avendo considerata la frase diffamatoria e pur avendo accertato che le affermazioni contenute nella relazione di servizio fossero del tutto gratuite nel contesto dell’atto redatto dall’agente forestale, avesse poi liquidato il danno in una cifra irrisoria ritenendo non vi fosse prova che lo scritto fosse stato divulgato nel contesto sociale di riferimento ma la lesione della reputazione limitata al più ristretto ambito dei soggetti coinvolti nella vicenda in sede sia amministrativa che giudiziaria. Per contro, posto che la questione nata dalla contravvenzione ha avuto anche strascichi giudiziari – avverso la contravvenzione elevata dal G. che era stata causa del verbale, in cui era contenuta la frase, trasmesso al Servizio Forestale PAT era stata proposta opposizione accolta con sentenza n. 312/98 – era presumibile ritenere un’ampia diffusione dello scritto, irrilevante essendo per contro la sottolineata qualità dei soggetti venuti a conoscenza dello scritto considerato che, al contrario la propalazione a persone qualificate aumentava la portata infamante.
Del pari la trascrizione su un documento ufficiale partito dalla sede di *****, risiedendo egli a *****, faceva ragionevolmente presumere la diffusione nel contesto sociale di appartenenza.
Ingiusta, poi, la compensazione delle spese basata esclusivamente sul fatto che, nella fase iniziale della causa, non avesse accettato una transazione per 3 milioni – superiore a quanto poi accordato – posto che era stato richiesto anche un danno fisico sulla base di una perizia media, danno poi non riconosciuto dalla c.t.u., e che l’offerta non era stata più reiterata nel corso del giudizio.
Chiedeva, pertanto, la liquidazione del danno morale nella misura di Euro 5.000,00 o nella diversa misura ritenuta congrua.
Costituendosi in giudizio C.L. chiedeva la conferma della decisione evidenziando la correttezza della liquidazione operata in carenza di prove offerte dalla controparte, la compensazione delle spese, poi, era stata giustamente operata in considerazione della liquidazione effettuata in misura inferiore all’offerta.
All’udienza del 23/3/2004 le parti precisavano le conclusioni come in epigrafe trascritte, quindi la causa veniva decisa all’udienza camerale del 22/6/2004”.
Con sentenza 22.6 – 14.7.2004 la Corte d’Appello di Trento rigettava l’appello compensando le spese del grado.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione G. L..
La controparte non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico articolato motivo la parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 595 e 185 c.p. e degli artt. 2043, 2056, 2059 e 1226 c.c. nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Pur ravvisando gli estremi della diffamazione, quindi di un fatto – reato, pur riconoscendo la gratuità e maligna volontarietà del convenuto di dare del G. una rappresentazione distorta ed atta a ledere fortemente la sua reputazione ed onore, il Giudice ritiene corretta la minimale liquidazione del danno morale operala dal Tribunale sulla scorta dell’assunto che la diffusione della notizia diffamatoria era avvenuta nel solo ambito degli “addetti ai lavori”. Orbene, la fattispecie del reato di diffamazione non prevede un’attenuazione della responsabilità e della gravità del danno morale che la vittima della diffamazione subisce per effetto della stessa, laddove le persone che vengono a conoscenza dei fatti diffamatori rivestano la particolare qualità di “addetti ai lavori”. Inoltre la circostanza che il contenuto dello scritto diffamatorio era stato conosciuto da un numero indeterminato di “addetti ai lavori” esclude necessariamente – vista la natura umana – che la notizia sia rimasta rinchiusa tra le mura degli uffici interessati; tali “addetti ai lavori” sono, almeno in parte, e sicuramente per quel che attiene impiegati e funzionari della Stazione Forestale di Bedollo, gli stessi consociati tra i quali il G. esprime la sua vita sociale e di relazione e che la Corte del gravame ha ritenuto non essere stati raggiunti dalla diffamazione de quo.
Inoltre erroneamente il Tribunale prima e la Corte d’Appello hanno ritenuto di poter applicare il disposto dell’art. 92 c.p.c., comma 2 G.L. va considerato parte vincitrice con conseguente necessaria applicazione del disposto di cui all’art. 91 c.p.c. che prevede che il giudice condanni la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte. Nè, si può ritenere che il Giudice sia dotato di potere discrezionale al riguardo. Il Giudice ha invece il divieto di porre, anche parzialmente, le spese a carico della parte umani totalmente vittoriosa. E’ illegittima l’applicazione dell’art. 92 c.p.c. stante da un lato la soccombenza di parte convenuta e dall’altra l’insussistenza di giusti motivi per la compensazione delle spese di lite.
Il ricorso non può essere accolto; infatti la decisione impugnata si basa su una motivazione che si sottrae al sindacato di legittimità essendo sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.
In particolare sono inappuntabili le argomentazioni con cui la Corte e pervenuta alla sua decisione in tema di liquidazione del danno (tra l’altro in relazione all'”…ambito di propalazione…” della notizia).
Altrettanto impeccabili sono le argomentazioni in tema di compensazione delle spese. Premesso che il Tribunale e la Corte di Appello non hanno certamente violato la normativa in questione (tra l’altro poichè non hanno posto le spese a carico della parte vittoriosa ma si sono limitati a compensarle), va intatti rilevato che la motivazione di detta Corte sui punti oggetto del ricorso è concretamente sussistente (con riferimento alla compensazione delle spese di secondo grado i Giudice di secondo grado ha evidentemente pur se implicitamente inteso far riferimento al complesso delle argomentazioni esposte con riferimento al merito) ed adeguata anche dal punto di vista logico oltre che giuridico (cfr. del resto tra le altre Cass. Sentenza n. 7523 del 27/03/2009: “In tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore alla novella dell’art. 92 c.p.c. recata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte. Tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all’esistenza di giusti motivi, non necessita di alcuna esplicita motivazione e non è censurabile in cassazione, salvo che lo stesso giudice abbia specificamente indicato le ragioni della sua pronuncia, dovendosi, in tal caso, il sindacato di legittimità estendere alla verifica dell’idoneità in astratto dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell’adeguatezza della relativa motivazione, o se concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione)”.
Non rimane pertanto che rigettare il ricorso. Non si deve provvedere sulle spese del giudizio di cassazione dato che la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2010