Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.510 del 14/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 24892/2008 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato CAMICI Giammaria, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO Alessandro, NICOLA VALENTE, ANTONELLA PATTERI, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11603/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA del 20/02/08, depositata il 09/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO.

MOTIVI La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex artt. 380 bis e 391 bis c.p.c..

La Corte d’appello di Torino, confermando la sentenza di primo grado appellata dall’Inps, riconosceva il diritto del dipendente di detto istituto P.A., cessato dal servizio, alla riliquidazione del trattamento di quiescenza (indennità di buonuscita) e del trattamento pensionistico integrativo con il computo anche dell’indennità di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 15, comma 2, e dell’assegno di garanzia della retribuzione, successivamente denominato salario di professionalità.

L’Inps proponeva ricorso per cassazione e l’impugnazione, con sentenza 9.5.2008 n. 11605, era accolta parzialmente, e cioè solo relativamente alla questione afferente all’indennità di buonuscita, con conseguente pronuncia nel merito di rigetto della relativa domanda.

Il lavoratore propone ora ricorso per revocazione deducendo la sussistenza di un errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consistente nell’omessa considerazione del fatto che l’Inps in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., aveva desistito dai motivi di ricorso relativi proprio alla buonuscita.

L’Inps resiste con controricorso, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato.

Il ricorrente ha depositato memoria, deducendo anche in relazione al contenuto della relazione formulata dal giudice relatore nella fase preparatoria del procedimento camerale.

A fondamento del ricorso, si espone che l’Inps nella memoria depositata in cancelleria ex art. 378 c.p.c., dopo avere richiamato e considerato i precedenti della Cassazione con cui si era riconosciuta la computabilità ai fini dell’indennità di buonuscita di tutti gli emolumenti non connessi al raggiungimento di un risultato, aveva affermato “di non dover più insistere su tale aspetto della controversia” e aveva concluso l’atto difensivo con la seguente proposizione “si insiste” (parole queste in carattere maiuscolo e poste al centro di una riga) “per il parziale accoglimento del ricorso e il consequenziale annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui riconosce computabili ai fini della pensione integrativa, indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, ed assegno di garanzia della retribuzione (già denominato salario di professionalità)”. Quanto allo svolgimento del processo si ricorda ancora che nella propria memoria ex art. 378 c.p.c., gli allora resistenti I. e D.G. avevano insistito per la reiezione in toto del ricorso dell’Inps e che all’udienza di discussione i difensori delle parti si erano richiamati agli atti di causa ed in particolare alle conclusioni, domande ed osservazioni di cui alle memorie ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso è inammissibile.

L’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza di cassazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis cod. proc. civ., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al giudizio di detta Corte (gli atti del giudizio di legittimità), concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità. L’errore revocatorio, inoltre, non solo non deve cadere su questione in tale sede controversa, ma anche in genere non è configurabile quando la decisione della Corte sia conseguenza di una valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, asseritamente errata, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10807/2006, 11657/2006, 12154/2006, 7469/2007, 14608/2007, 5076/2008,17443/2008; Cass. S.U. n. 26022/2008).

Nella specie deve escludersi la postulabilità di un errore avente il carattere dell’evidenza e desumibile sulla base del mero raffronto tra decisione ed effettive risultanze degli atti di causa. Dalla stessa esposizione dei fatti di cui al ricorso si evince infatti che non intervenne una formale dichiarazione di rinuncia dell’Inps ad una parte dei motivi di ricorso. In effetti si era in presenza della mera affermazione dei difensori dell’Inps di “insistere” solo relativamente ad una parte del ricorso, stante la giurisprudenza sfavorevole all’istituto intervenuta sulle altre questioni poste dal ricorso stesso. Si tratta di un tipo di enunciazione che, quantunque eventualmente suscettibile anche di una interpretazione di tipo estensivo, è compatibile con un’interpretazione di maggiore rigore e aderente al suo contenuto obiettivo, tale da attribuire alla stessa un valore solo sul piano dell’illustrazione delle problematiche poste dalla causa e della perorazione difensiva, che è quello tipico e connaturale delle memorie difensive ed anche della discussione orale.

Del resto si afferma nel ricorso per revocazione che nella memoria dei controricorrenti si era concluso per il totale rigetto del ricorso dell’Inps e che nella discussione orale la difesa delle medesime parti si era richiamata ai propri scritti difensivi, sicchè neanche i controricorrenti sembrerebbero avere attribuito qualche valore decisivo al tenore della memoria dell’Inps.

Nè la sentenza di questa Corte n. 155/1995, richiamata nella memoria, aveva ad oggetto una fattispecie sovrapponibile a quella ora all’esame, poichè in quel caso il difensore della parte aveva espressamente dichiarato nella memoria difensiva di desistere dalla richiesta di accoglimento di un determinato motivo e conseguentemente la Corte – pur sempre peraltro procedendo ad un’interpretazione e valutazione dell’atto – aveva ritenuto che fosse ravvisabile una inequivocabile volontà di rinunciare al motivo di censura.

Può concludersi che viene chiesto, nella presente sede revocatoria, di procedersi a una nuova e diversa interpretazione e valutazione delle difese svolte dall’Inps nel giudizio di legittimità, ma ciò, in base ai già riportati principi di diritto, non è possibile e quindi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio vengono regolate facendo applicazione del criterio legale della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Inps le spese del giudizio in Euro 30,00 oltre Euro millecinquecento per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010

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