Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.518 del 14/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato LOJODICE OSCAR, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli Avvocati TADRIS PATRIZIA, ANTONIETTA CORETTI, giusta delega in calce al ricorso notificato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 218/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI del 7/02/08, depositata il 14/02/2008;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. FUZIO Riccardo.

FATTO E DIRITTO

Nella causa promossa da P.G. contro l’Inps per la riliquidazione dell’indennita’ di disoccupazione agricola per l’anno 1990, la Corte di Appello di Bari, con sentenza del 4.2.2008, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’assicurato, condannava l’Inps a corrispondere al P. gli interessi anatocistici maturati sugli interessi liquidati dal primo giudice, dalla domanda al saldo, condannava l’Istituto al pagamento delle spese del giudizio di primo grado e compensava interamente le spese del grado, avuto riguardo alla natura della controversia ed all’accoglimento solo parziale dell’appello.

Avverso detta sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione con quattro motivi con i quali ha denunciato:

1) violazione degli artt. 24, 38 e 11 Cost., degli artt. 91, 92, 93 e degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonche’ vizi di motivazione, per avere il giudice del gravame compensato le spese di appello senza adeguata motivazione;

2) violazione delle stesse norme sopra citate e vizi di motivazione, per avere il giudice di appello, nel liquidare le spese di primo grado, ritenuto la causa di valore non superiore allo scaglione minimo, benche’ si fosse in presenza di una condanna generica;

3) violazione delle stesse norme di legge e delle tariffe approvate con D.M. 8 aprile 2004, nonche’ vizi di motivazione, per avere il giudice di appello, nel liquidare le spese del giudizio di primo grado, omesso di condannare l’Istituto al pagamento delle spese generali;

4) violazione dell’art. 1283 c.c. e degli artt. 100, 112, 113 c.p.c. e vizi di motivazione per non avere il giudice di appello tenuto conto del motivo di appello, con il quale era stata chiesta la condanna dell’Inps a corrispondere gli ulteriori interessi ex art. 1283 c.c. anche sulla sorte capitale, oltre che sugli interessi maturati al momento della domanda giudiziale.

L’Inps non si e’ costituito.

Il primo motivo e’ infondato.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 20598 del 30.7.2008, componendo un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimita’, e con riferimento al regime delle spese anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2 (che ha modificato l’art. 92 c.p.c., comma 2 richiedendo una “esplicita” motivazione della compensazione), hanno affermato il principio che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per “giusti motivi” deve trovare nella sentenza un adeguato supporto motivazionale, anche se a tal fine non e’ necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purche’ tuttavia le ragioni giustificatrici di esso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito; in particolare l’obbligo del giudice di dare conto delle ragioni della compensazione totale o parziale delle spese dovra’ ritenersi assolto, oltre che in presenza di argomenti specificamente riferiti a detta statuizione, anche quando le argomentazioni svolte per la statuizione di merito contengano in se’ considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare le regolazione delle spese adottata.

Nella valutazione delle Sezioni Unite, la norma di legge che prevede la possibilita’ per il giudice di compensare in tutto o in parte le spese del giudizio in caso di reciproca soccombenza o per altri giusti motivi discrezionalmente valutabili, prevista dal testo originario dell’art. 92 c.p.c., comma 2 e confermata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, non suscita dubbi di incostituzionalita’ non comportando alcuna inammissibile compressione dei diritti di difesa, ma resta un legittimo potere del giudice vincolato soltanto dall’obbligo di adeguata motivazione.

Sulla scorta di questi principi enunciati dalle Sezioni Unite, dai quali il Collegio non intende discostarsi, deve ritenersi che il provvedimento di compensazione delle spese del giudizio di secondo grado sia adeguatamente motivato con il riferimento alla “natura della controversia”, avuto riguardo al parziale accoglimento dei motivi di appello, sia con riferimento alla liquidazione delle spese di primo grado che alla domanda di interessi anatocistici.

Il secondo motivo e’ parimente infondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato che affinche’ una causa possa ritenersi di valore indeterminabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio, non e’ sufficiente che sia stata richiesta una condanna generica sull’an, potendo ravvisarsi indeterminabilita’ soltanto quando la controversia non sia suscettibile di valutazione economica (cfr. Cass. n. 7757/1999, Cass. n. 1118/1985, Cass. n. 8074/2009).

Il terzo motivo e’ anch’esso infondato. E’ infatti irrilevante la mancata specificazione delle spese generali, poiche’ queste spettano automaticamente al professionista anche in mancanza di indicazione nel dispositivo (vedi Cass. n. 146/2006, n. 20231/2005).

Il quarto motivo, infine, e’ infondato. Il giudice di appello ha deciso sulla domanda di pagamento degli interessi anatocistici uniformandosi ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali gli interessi anatocistici sono riconosciuti nei limiti consentiti dall’art. 1283 c.c., nulla disponendo in proposito l’art. 429 c.p.c., con la conseguenza che solo gli interessi sulla somma capitale, al netto quindi della rivalutazione, producono ulteriori interessi (vedi Cass. n. 7324/2009, n. 11673/2008, n. 16834/2006).

In definitiva il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato e deve essere respinto. Nulla per le spese di questo giudizio, poiche’ l’Inps non ha svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010

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