Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.52 del 07/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.V., COD. F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 262 – 264, presso lo studio dell’avvocato TAVERNA SALVATORE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.F., COD.F. ***** elettivamente domiciliato in ROMA, VTA VILLA GRAZIOLI 20, presso lo studio dell’avvocato ROMANO GIORGIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GAROFALO LUCIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 395/2004 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 22/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 14/10/2009 dal Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Brindisi C.V., esponendo che aveva sottoscritto un contratto preliminare con il quale si era impegnato ad acquistare dal C. un terreno con annesso fabbricato rurale in ***** per il prezzo di L. 130.00.000 di cui aveva versato a titolo di acconto e caparra L. 20.000.000;

successivamente aveva accertato che il fabbricato era stato abusivamente modificato nella sagoma e nella volumetria;

il C., pur diffidato dall’istante, non aveva provveduto a regolarizzare tale situazione.

Pertanto, l’attore chiedeva che venisse dichiarata la nullità o pronunciata la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare, con la condanna del convenuto al pagamento del doppio della caparra.

Il convenuto, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che gli interventi edilizi erano risalenti nel tempo e comunque anteriori al 1942, per cui l’immobile era commerciabile tant’è vero che l’aveva poi venduto a terzi; in via riconvenzionale, instava per la condanna dell’attore alla perdita della caparra e al risarcimento del danno.

Con sentenza depositata l’11 settembre 2001, il Tribunale rigettava la domanda proposta dall’attore e, in accoglimento della riconvenzionale, pronunciava la risoluzione del contratto de quo per inadempimento dell’attore.

Con sentenza dep. il 22 giugno 2004 la Corte di appello di Lecce, in riforma della decisione impugnata dal M., accoglieva la domanda dell’attore, condannando il convenuto al pagamento del doppio della caparra; rigettava la domanda riconvenzionale.

Secondo i giudici di appello la costruzione promessa in vendita, alla stregua delle indagini condotte dal consulente tecnico d’ufficio, pur realizzata quanto al nucleo originario in epoca anteriore al 1967, aveva subito modifiche sia nella sagoma che nella volumetria, che erano state effettuate senza concessione edilizia ed in epoca che il consulente aveva ritenuto di potere collocare nel decennio a cavallo tra gli anni 80 e 90: pertanto, essendo l’immobile non commerciabile, andava ritenuto l’inadempimento colpevole del C. che si era obbligato a concludere un contratto che non poteva essere stipulato.

Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione il C. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il M..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso, atteso che la procura speciale è stata rilasciata non in calce al controricorso stesso, bensì in calce alla copia del ricorso notificato dalla controparte, giacchè in tal modo manca la prova certa del rilascio del mandato in epoca anteriore o coeva alla notificazione del controricorso.

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la decisione gravata che aveva ritenuto di conformarsi al parere espresso dal consulente tecnico d’ufficio nonostante i vizi del procedimento logico seguito dal medesimo, posto che il fabbricato rurale originario sarebbe stato ampliato e che tale ampliamento sarebbe consistito nella modifica del prospetto principale con la realizzazione di una veranda di collegamento tra la parte esistente e l’ampliamento con rivestimento della facciata principale in ampliamento; il C.T.U. aveva indicato in mq. 57,50 l’ampliamento del fabbricato rurale originario senza fornire alcuna ulteriore precisazione in ordine a tale assunto e soprattutto in stridente contraddizione con quanto aveva precedentemente accertato e riferito in ordine alla superficie catastale rilevata (mq. 87) ed a quella lorda (mq. 111,28) del fabbricato esistente: la differenza tra superficie reale e superficie catastale (mq. 24,28) non era assolutamente compatibile con l’altro dato, che aveva indicato apoditticamente in mq. 57,50 la superficie;

tale circostanza era decisiva in quanto un ampliamento di soli 24,28 mq, consistente nella realizzazione di una veranda, non poteva annoverarsi tra gli interventi, con i quali si realizza un vero e proprio organismo edilizio autonomo rispetto a quello preesistente, i soli che comportino la nullità di eventuali atti di trasferimento;

inoltre, non era stato precisato se quella realizzata fosse una veranda con copertura in solaio o una veranda scoperta.

Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, deduce che la sentenza non aveva preso in esame le deduzioni che esso ricorrente aveva formulato tenuto conto che, trattandosi di immobile realizzato in epoca anteriore al 1967, l’atto poteva essere stipulato con la dichiarazione del venditore che lo stesso non aveva subito modifiche o variazioni, dichiarazione che esso ricorrente era pronto a rendere;

non sussistevano elementi obiettivi che potessero smentire la veridicità dell’assunto del C. nè poteva sussistere il fondato timore dell’acquirente di comprare aliud pro alio e del conseguente suo diritto alla risoluzione del contratto ove si fosse ritenuto, in via di ipotesi, che gli interventi edilizi fossero stati successivi alla L. n. 15 del 1968, atteso che la risolubilità del contratto può utilmente invocarsi solo qualora risultino specifiche anche se implicite pattuizioni in ordine all’obbligo del venditore di richiedere la sanatoria delle opere abusive ovvero risulti che, per le modalità di costruzione dell’immobile, la concessione in sanatoria non possa comunque essere rilasciata; l’assunto del C.T.U., secondo cui gli interventi edili sarebbero stati eseguiti nell’ultimo decennio era affermazione per nulla attendibile e pacifica, trattandosi di convincimento che non si fondava su elementi certi e oggettivi ma sulla circostanza, priva di alcun rilievo indiziario, che nell’atto di acquisto del C. il fabbricato rurale veniva descritto “fabbricato rustico composto di tre vani”. Anche ove si volesse ritenere che sia configurabile l’azione di evizione, non potrebbe farsi luogo alla restituzione del prezzo e al rimborso delle spese in favore del compratore ove non sia stata ordinata la demolizione dell’immobile o la stessa sia stata scongiurata; in ogni caso, l’azione di evizione è sottoposta ai termini di cui all’art. 1495 c.c..

I motivi – che, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente – sono infondati.

La sentenza impugnata, nel ritenere l’incommerciabilità dell’immobile de quo, ha accertato che erano stati su esso eseguiti interventi che ne avevano modificato radicalmente l’originaria struttura, nella sagoma esterna e nei volumi, interventi che andavano temporalmente collocati in epoca certamente successiva al 1 settembre 1967.

Occorre qui accennare che, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40 applicabile alla specie “gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui all’art. 35, comma 6; per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4 attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”.

Scopo della disposizione sta nell’impedire, attraverso la sanzione della nullità del relativo atto di trasferimento, la commerciabilità degli edifici non conformi agli strumenti urbanistici in vigore.

Sono, perciò, da considerarsi irregolari e, come tali, non commerciabili quei fabbricati, in relazione ai quali siano realizzati interventi di trasformazione edilizia, per i quali è necessario il rilascio della concessione edilizia, essendo al riguardo sufficiente, ai fini di escluderne la commerciabilità, che l’opera abbia subito modifiche nella sagoma o nel volume rispetto a quello preesistente.

In particolare,una veranda è da considerarsi, in senso tecnico – giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile. Pertanto, le doglianze in ordine all’entità dell’ampliamento e alla circostanza che si sarebbe realizzata soltanto una veranda sono del tutto irrilevanti, posto che comunque sarebbe stato necessario il rilascio della concessione edilizia: in effetti, sono state accertate opere di trasformazione edilizia prive del carattere della precarietà, non essendo al riguardo rilevante se l’immobile edificato non rappresenti un organismo autonomo rispetto a quello preesistente.

La sentenza ha accertato che gli interventi edili erano successivi al 1967 e che il venditore non aveva presentato domanda di condono nè aveva altrimenti regolarizzato l’illecito: pertanto, ha correttamente ritenuto che non sussistevano le condizioni prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40 e che sussisteva l’inadempimento del venditore il quale aveva promesso di vendere un bene non suscettibile di essere trasferito. Il riferimento all’azione di evizione è del tutto fuori luogo, atteso che si verte in materia di contratto preliminare, dal quale discendono effetti obbligatori, concernenti la stipulazione del definitivo da cui discenderà il trasferimento della proprietà che nella specie non è mai avvenuto per l’inadempimento del promittente venditore di cui si è detto. Orbene, le doglianze, pur facendo riferimento a violazioni di legge e a vizi di motivazione, da cui la sentenza è immune, si risolve nella censura dell’accertamento di fatto riservato al giudice di merito attraverso la valutazione delle risultanze istruttorie (ciò dicasi anche con riferimento all’epoca di realizzazione dei lavori di trasformazione edilizia).

Il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine al regolamento delle spese relative alla presente fase in considerazione dell’inammissibilità del controricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010

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