Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.554 del 15/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20634/2007 proposto da:

FALLIMENTO SYNTHESIS S.P.A. (c.f. *****), in persona del Curatore Dott. SOSSIO LUPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso l’avvocato BARUCCO FERDINANDO, rappresentato e difeso dall’avvocato PALMIERI Alfonso, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO POPOLARE SOC.COOP. PER AZIONI (c.f. *****), in persona del Presidente del C.d.A. pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI 55, presso l’avvocato CORBO’

Filippo Maria, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANFREDONIA FAUSTTNO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22/09/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ALFONSO PALMIERI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la manifesta infondatezza dei primi due motivi ed inammissibilità del terzo motivo, condanna aggravata al rimborso delle spese (art. 385 c.p.c., comma 4).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 16 aprile 1997, il Curatore del Fallimento della s.p.a. Synthesis – dichiarato dal Tribunale di Napoli con sentenza del 20 maggio 2002 – convenne dinanzi allo stesso Tribunale la Banca di Credito Popolare soc. coop. p.a. a r.l. (di seguito:

BCP), chiedendo che fosse dichiarata l’inefficacia, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, delle rimesse solutorie (per complessive L. 3.332.462.589) effettuate nell’anno precedente il fallimento – cioè:

dal 20 maggio 1991 al 20 maggio 1992 – sui conti correnti nn. *****, intrattenuti dalla società fallita presso la filiale della BCP di Torre del Greco ed assistiti da aperture di credito, rispettivamente, di L. 50.000.000 e di L. 150.000.000, e che la Banca convenuta fosse condannata alla restituzione dei pagamenti ricevuti.

Costituitasi, la Banca convenuta dedusse, tra l’altro, che le rimesse erano contenute entro i limiti degli importi affidati e che, relativamente al c/c n. *****, era anche previsto lo sconto di carta di credito commerciale accettata fino alla concorrenza di L. 300.000.000; negò, inoltre, la sussistenza della propria scientia decoctionis.

Il Tribunale adito, sulla base delle prove documentali acquisite e della disposta consulenza tecnica d’ufficio, con la sentenza n. 6051/04 del 20 maggio 2004, accolse parzialmente la domanda e condannò la BCP alla restituzione di Euro 634.521,55, osservando, in particolare – secondo la ricostruzione fattane dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli oggi impugnata -, che: a) sotto il profilo oggettivo, “le aperture di credito richiamate e non contestate erano state revocate dalla banca il 6.9.91 e (…) non poteva tenersi conto dell’affidamento per L. 300.000.000 invocato, in difetto di contratto scritto, T.U. n. 383 del 1993, ex art. 117, per cui il c.d. saldo disponibile andava considerato solo per il periodo 20.5/5.9.91 tenendo conto delle aperture poi revocate, ed era pari, stando alla CTU, ad Euro 627.963,77 ed Euro 115.311,50 per ciascun conto (…);

b) sotto il profilo soggettivo, “doveva presumersi la conoscenza, da parte della banca, dello stato di insolvenza della sua cliente, all’inizio del periodo sospetto, ossia nel maggio ’91, in considerazione di una serie di elementi indiziari che la avevano indotta alla revoca degli affidamenti a ridosso dell’estate del 1991”.

2. – Avverso tale sentenza la BCP propose appello dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli la quale, in contraddittorio con il Fallimento Synthesis che resistette all’impugnazione, con la sentenza n. 15/2007 del 3 gennaio 2007, in accoglimento dell’appello, respinse la domanda revocatoria del Fallimento.

In particolare, la Corte ha osservato, tra l’altro, che: a) le rimesse sul conto corrente bancario dell’imprenditore poi fallito sono revocabili, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, tutte le volte in cui esse siano effettuate su di un conto scoperto, ossia con saldo a debito del cliente in difetto di fido o di extrafido; b) “Al riguardo, l’onere probatorio si distribuisce tra i contraddittori nel senso che la Curatela dovrà dimostrare l’esistenza delle rimesse e la loro esecuzione nel periodo sospetto, circostanze entrambe non contestate nel caso di specie, nonchè la scientia decoctionis dell’istituto di credito, mentre sarà quest’ultimo a dover fornire la prova della natura non solutoria dei versamenti, non effettuati a fronte dello sconfinamento di conto (…)”; c) secondo la giurisprudenza di legittimità, la consapevolezza dello stato di insolvenza attiene alla conoscenza effettiva e concreta di esso, quale reale situazione psicologica, e non alla mera conoscibilità oggettiva dello stesso, e tuttavia, trattandosi di una situazione psicologica, è sufficiente una prova indiziaria, fondata su circostanze idonee ad offrire la certezza logica che il terzo non potesse ignorare lo stato di dissesto della controparte tenuto anche conto delle condizioni economiche, sociali, organizzative, topografiche o culturali in cui operi concretamente il fallito -, purchè gli indizi raccolti presentino i caratteri della gravità, della precisione e della concordanza, occorrendo altresì che sussistano elementi di collegamento tra il convenuto in revocatoria ed i sintomi riconoscibili dello stato di insolvenza e che la scientia decoctionis sia rapportata all’epoca dell’atto revocabile;

d) nel caso di specie, gli elementi indiziari – che la sentenza di primo grado ha posto a fondamento della riconosciuta scientia decoctionis della BCP – sono invece “insufficienti a fornirne la dimostrazione, dato che gli individuati sintomi rivelatori non forniscono il quadro, grave e concordante, dello stato di dissesto della società”; infatti: d1) “(…) non rilevano le notizie di stampa in ordine a forti indebitamenti della Synthesis, riportate nell’ambito di indagini penali, ma solo il ***** (su *****; l’articolo del ***** è privo di data e nemmeno menzionato in sentenza (…)), allorquando le movimentazione sui due conti erano cessate, stando alle operazioni riportate sui prospetti contabili allegati dalla Curatela (nella prima decade di novembre e a ottobre ’91, rispettivamente)”; d2) “nemmeno risulta decisiva la revoca degli affidamenti datata al 6.9.91, in considerazione del periodo in cui sono intervenuti gli atti revocabili e risulta … una forzatura la retrodatazione a maggio ’91 della acquisizione della consapevolezza del dissesto del cliente, ad opera della banca”; d3) “al pari della assenza di protesti e procedure esecutive, che sono indizi rivelatori di insolvenza, ma non sintomi decisivi (…), gli sconfinamenti che la banca avrebbe consentito oltre l’importo dei due fidi che il primo giudice ha ritenuto concessi, hanno carattere equivoco, potendo fondare su valutazioni che non attengono allo stato di crisi dell’impresa, ma all’acquisizione di garanzie anche con funzione ripianatoria (…)”; d4) “Le stesse risultanze negative dei bilanci (…), allorquando continui a persistere l’erogazione di credito al cliente, avallano la persistenza di un atteggiamento di fiducia nella sua solvibilità, indicativa piuttosto della inscientia della banca (…)”; d5) “(…) la effettiva percettibilità dello stato di insolvenza della correntista non può trovare astratta conferma nemmeno nei controlli ai quali la banca è tenuta, in caso di concessione di credito, specie allorquando essi siano seguiti da comportamenti incompatibili con la attuata percezione di sintomi di allarme, in ordine al dissesto del debitore, tant’è che la conoscenza richiesta non è realiZZata neanche da una ignoranza colpevole, frutto di positive quanto erronee valutazioni, che danno conto del differente convincimento del banchiere (…)”; d6) “Pertanto, per il raggiungimento della prova della scientia, attraverso il ricorso a presunzioni, pur dovendosi valutare gli indizi nel complesso e non atomisticamente (…), resta fermo che “non basta una astratta conoscibilità oggettiva accompagnata da un presunto dovere di conoscere”, per cui la qualità di banchiere, ed il teorico parametro del creditore avveduto che le si ricollega, rileva (…) solo in presenza di “concreti collegamenti” dell’accipiens “con i sintomi conoscibili dello stato di insolvenza”, con riferimento alla situazione specifica e alla prudenza ed avvedutezza da essa suggerita, e non ad astratti controlli doverosi per la categoria (…)”; d7) “Nel caso che si esamina, gli sconfinamenti realizzati dalla società fra maggio e settembre ’91 non risultano percepiti come elementi di allarme, in coincidenza con le operazioni oggetto di revocatoria, e difettano elementi che potevano, in maniera significativa, far ritenere conoscibile al creditore lo stato di dissesto della cliente, attraverso sintomi concreti, dovendosi escludere il valore indiziario sufficiente anche delle circostante esaminate (…)”.

3. – Avverso tale sentenza il Fallimento della s.p.a. Synthesis ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura.

Resiste, con controricorso, la Banca di Credito Popolare soc. coop. p.a..

4. – Ambedue le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo (con cui deduce: “Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e artt. 2729 e 2705 c.c., anche in correlazione tra loro.

Omessa salutazione delle prove documentali e/o omessa individuazione delle circostanze nella loro globalità, complessività e inscindibilità. Illogicità, contraddittorietà e insufficienza di motivazione con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”) e con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 2729 c.c., in correlazione con l’art. 32, comma 1, e art. 87 della previgente Legge Bancaria – R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375 e successive modificazioni, sostituita dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente Fallimento critica la sentenza impugnata, perchè i Giudici dell’appello, nel ritenere insufficienti gli elementi indiziari circa la dedotta scientia decoctionis della Synthesis da parte della BCP, avrebbero però omesso di prendere in considerazione e di valutare alcuni documenti decisivi acquisiti al processo nel corso del giudizio di primo grado. In particolare, i Giudici a quibus: a) avrebbero totalmente omesso di considerare le segnalazioni, trasmesse dalla BCP e da altre banche alla Divisione centrale rischi della Banca d’Italia – relative ai fidi da esse concessi alla clientela e da questa utilizzati nel periodo dal settembre 1991 al marzo 1992 -, dalle quali emergevano “sconfinamenti”, per somme molto rilevanti, dei fidi concessi alla Synthesis sia dalla BCP sia da altri istituti di credito; b) avrebbero insufficientemente tenuto conto della revoca dei fidi – con contestuale ordine di immediato “rientro” – disposto dalla BCP con l’ordine di servizio del 6 settembre 1991 in ragione dell'”irregolare andamento del rapporto”, in quanto l’adozione di tale atto presupponeva necessariamente la consapevolezza della Banca circa lo stato di dissesto della Società; c) avrebbero totalmente omesso di considerare sia il provvedimento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli in data 27 febbraio 1992 – con il quale si autorizzava la Guardia di Finanza ad effettuare indagini bancarie, relativamente agli anni 1990 e 1991, nei confronti di diverse società (tra cui la Synthesis) del gruppo facente capo agli operatori finanziari S.R. ed S.E. -, sia il decreto che dispone il giudizio nei confronti dello S. R. e del S.E. pronunciato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli nel 1994 – con il quale a carico dei due predetti amministratori, relativamente ai loro rapporti con la Synthesis per gli anni 1990 e 1991, erano state formulate le imputazioni dei delitti di cui alla L. fall., art. 216, comma 1, e art. 223, commi 1 e 2 (bancarotta fraudolenta patrimoniale) -, provvedimenti dai quali emergerebbe che la Synthesis, nei due predetti anni, versava in uno stato di dissesto finanziario che aveva dato luogo ad un passivo di circa L. dieci miliardi a fronte di un attivo di circa quattro miliardi, così come successivamente accertato in sede fallimentare; d) avrebbero totalmente omesso di considerare la circostanza che il curatore del Fallimento Synthesis, a seguito di analoghe azioni revocatorie da lui promosse nei confronti del Banco di Napoli, della Banca del Fucino e della Banca della Campania (già Banca Popolare dell’Irpinia), aveva provveduto a transigere le relative controversie; da ciò si evincerebbe che tutto il sistema bancario era a conoscenza dello stato di insolvenza della Società, e che le banche convenute avevano optato per la transazione al fine di evitare i più onerosi effetti conseguenti all’accoglimento delle promosse azioni revocatorie. Ad avviso del ricorrente, il completo e corretto esame dei predetti – decisivi – documenti avrebbe potuto condurre la Corte napoletana ad accogliere la proposta azione revocatoria, mentre le denunciate omissioni ed insufficienze integrerebbero sia il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, sia la violazione delle norme sostanziali e processuali indicate in rubrica.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Omessa pronuncia, sulla, questione della natura solutoria delle rimesse affluite sui conti correnti n. ***** stante l’inapplicabilità delle regole relative all’apertura di credito allo sconto di carta commerciale – L. Fall., art. 67, comma 2, e art. 1842 c.c., e segg.

in relazione agli artt. 112 e 132 c.p.c., e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), il ricorrente lamenta che la Corte napoletana avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione della natura solutoria delle rimesse affluite sui conti correnti n. *****, precisando, tuttavia: “Anche se non vi è stata al riguardo alcuna pronuncia della Corte di Appello, il motivo di ricorso viene formulato per mero tuziorismo pur nella consapevolezza che, nella ipotesi di accoglimento del ricorso in relazione ai motivi precedentemente esposti, la relativa questione possa in ogni caso essere riproposta davanti al Giudice di rinvio”.

2. – La Banca resistente eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per l’errata formulazione dei quesiti di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., primo periodo.

L’eccezione non è fondata.

Coerentemente con la ratio decidendi della sentenza impugnata – che va individuata nell’affermazione secondo cui, nel caso di specie, gli elementi indiziari, che la sentenza di primo grado aveva posto a fondamento della riconosciuta scientia decoctionis della BCP, sono invece “insufficienti a fornirne la dimostrazione, dato che gli individuati sintomi rivelatori non forniscono il quadro, grave e concordante, dello stato di dissesto della società” -, il ricorrente, con i primi due motivi del ricorso, al di là della rubricazione formale degli stessi, ha sostanzialmente censurato la motivazione della sentenza impugnata; da ciò consegue che la norma applicabile alla fattispecie è il secondo periodo dello stesso art. 366 bis cod. proc. civ., il quale riferendosi al motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), richiede una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende la motivazione inidonea a giustificare la decisione (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 4556 del 2009). Orbene, il Collegio ritiene che il ricorrente ha ottemperato a detta disposizione, perchè, alla pag. 19 del ricorso, ha formulato tale “sintesi” in modo chiaro e sufficiente.

3. – I primi due motivi del ricorso meritano accoglimento, perchè sussistono i denunziati vizi della motivazione della sentenza impugnata.

Dal momento che, come già detto (cfr., supra, n. 2), la ratio decidendo della sentenza impugnata sta nella ritenuta insufficienza degli indizi rivelatori della scientia decoctionis della Banca resistente, conviene esaminare analiticamente, alla luce delle critiche mosse dal ricorrente, le argomentazioni al riguardo svolte dai Giudici a quibus.

Quanto all’argomentazione – secondo cui “nemmeno risulta decisiva la revoca degli affidamenti datata al 6.9.91, in considerazione del periodo in cui sono intervenuti gli atti revocabili e risulta … una forzatura la retrodatazione a maggio ’91 della acquisizione della consapevolezza del dissesto del cliente, ad opera della banca” (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera d2) -, la stessa risulta motivata in modo insufficiente: sia perchè non vengono indicate con precisione le date delle rimesse prese a parametro rispetto alla data della revoca degli affidamenti; sia perchè, in assenza dell’accertamento di tali elementi temporali, appare conseguentemente ingiustificata la affermata “forzatura” della retrodatazione al maggio 1991 della scientia decoctionis della Banca resistente; sia perchè, come esattamente rilevato dal ricorrente, la revoca dell’affidamento da parte della Banca, unitamente alla sua motivazione nel caso di specie – motivazione, il cui esame è stato del tutto pretermesso dai Giudici dell’appello -, può costituire di per sè uno dei indizi idonei a fondare la consapevolezza dell’accipiens circa lo stato di dissesto del cliente (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 2557 del 2008).

Quanto all’argomentazione – secondo cui “al pari della assenza di protesti e procedure esecutive, che sono indizi rivelatori di insolvenza, ma non sintomi decisivi (…), gli sconfinamenti che la banca avrebbe consentito oltre l’importo dei due fidi che il primo giudice ha ritenuto concessi, hanno carattere equivoco, potendo fondare su valutazioni che non attengono allo stato di crisi dell’impresa, ma all’acquisizione di garanzie anche con funzione riparatoria (…)” (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera d3) -, la stessa risulta parimenti motivata in modo insufficiente ed “astratto”: sia perchè si omette di individuare tempi, entità e frequenza di detti sconfinamenti, anche alla luce dei documenti, potenzialmente decisivi, prodotti dal ricorrente (le segnalazioni, trasmesse dalla BCP e da altre banche alla Divisione centrale rischi della Banca d’Italia – relative ai fidi da esse concessi alla clientela e da questa utilizzati nel periodo dal settembre 1991 al marzo 1992 -, dalle quali emergono “sconfinamenti”, per somme molto rilevanti, dei fidi concessi alla Synthesis sia dalla BCP sia da altri istituti di credito; cfr., al riguardo, le sentenze nn. 19894 del 2005 e 7958 del 2009); sia perchè il ritenuto “carattere equivoco” degli stessi sconfinamenti (recte: della corrispondente concessione di credito ulteriore) viene riferito non già a fatti accertati nella specie (si parla, infatti, in termini dubitativi del consenso della Banca a detti sconfinamenti), bensì ad astratte ipotesi (“acquisizione di garanzie anche con funzione ripianatoria”), con conseguente incertezza sui concreti termini degli sconfinamenti medesimi; sia perchè, per escludere la conoscenza dello stato di insolvenza, sia pure unitamente ad altri elementi, i Giudici dell’appello hanno dato rilievo – contraddittoriamente – all’eventuale concessione di ulteriore credito al debitore poi fallito, che essi stessi affermano essere elemento probatorio equivoco; sia, infine, perchè anche gli sconfinamenti dal limite degli affidamenti concessi possono costituire di per sè indizi idonei a provare la scientia decoctionis nell’accipiens (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 7451 del 2008).

Quanto alle ulteriori argomentazioni – secondo cui “Le stesse risultanze negative dei bilanci (…), allorquando continui a persistere l’erogazione di credito al cliente, avallano la persistenza di un atteggiamento di fiducia nella sua solvibilità, indicativa piuttosto della inscientia della banca …”, e secondo cui “… la effettiva percettibilità dello stato di insolvenza della correntista non può trovare astratta conferma nemmeno nei controlli ai quali la banca è tenuta, in caso di concessione di credito, specie allorquando essi siano seguiti da comportamenti incompatibili con la attuata percezione di sintomi di allarme, in ordine al dissesto del debitore, tant’è che la conoscenza richiesta non è realizzata neanche da una ignoranza colpevole, frutto di positive quanto erronee valutazioni, che danno conto del differente convincimento del banchiere (…)” (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera d4 e d5) – tali argomentazioni risultano parimenti motivate in modo astratto, insufficiente e contraddittorio.

Infatti, in primo luogo, non si comprende se, nel periodo sospetto, (20 maggio 1991-20 maggio 1992), la Synthesis presentasse, o no, bilanci passivi, come emergerebbe, secondo il ricorrente, dai documenti, potenzialmente decisivi, concernenti l’indagine penale effettuata nei confronti degli amministratori della Società e prodotti dal ricorrente nel corso del giudizio di primo grado, il cui esame è stato del tutto pretermesso dai Giudici dell’appello (cfr., supra, n. 1, primo motivo, lettera c). In secondo luogo, ove detti bilanci – conosciuti o conoscibili dalla Banca – fossero stati gravemente passivi, siffatta circostanza sarebbe di per sè indicativa non già della inscientia, ma piuttosto della scientia decoctionis dell’istituto di credito, ciò a prescindere dalle scelte di quest’ultimo di concedere ulteriore credito alla cliente (cfr., al riguardo, la sentenza n. 10208 del 2007) . In terzo luogo, non si comprende se, come e quando la Banca resistente abbia effettuato controlli sulla situazione economico-patrimoniale della Synthesis, nè se, come e quando – come già rilevato – abbia concesso credito ulteriore alla stessa Società.

In conclusione, i rilevati vizi della motivazione, anche per ciò che attiene all’accertato omesso esame dei documenti, potenzialmente decisivi, prodotti dal ricorrente, inducono a ritenere che la Corte napoletana abbia giudicato insufficienti gli indizi concernenti la scientia decoctionis, valutandoli – contraddittoriamente rispetto ai condivisibili principi giurisprudenziali richiamati – in modo astratto ed atomistico e non nel loro complesso, con specifico riferimento alla fattispecie esaminata.

4. – Il terzo motivo del ricorso è inammissibile per carenza di interesse attuale a proporlo: la Corte napoletana, infatti – come riconosce esplicitamente lo stesso ricorrente -, non ha pronunciato sulla questione della natura solutoria o no delle rimesse oggetto dell’azione revocatoria, ritenendo evidentemente assorbita tale questione che, a seguito dell’annullamento della sentenza impugnata, potrà essere nuovamente proposta dal ricorrente dinanzi al Giudice del rinvio.

5. – In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata in riferimento ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, alla quale si rimette la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2010

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