LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.F. (c.f. *****), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRANTE MARIANO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 01/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/09/2009 dal Consigliere Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che chiede che la Corte di Cassazione, in Camera di consiglio, accolga per quanto di ragione il ricorso per manifesta fondatezza.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto depositato in data 1.2.2006 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulla domanda ai equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposta da M.F. nei confronti del Ministero della Giustizia in relazione al giudizio dalla medesima promosso avanti al Tribunale di Nola, in funzione di giudice del lavoro, con ricorso depositato il 17.12.1993 per differenze retributive e deciso in primo grado con sentenza di rigetto del 20.5.2004 – riteneva che la durata del procedimento non fosse ragionevole avendo superato di un anno e quattro mesi. Il parametro fissato dalla Corte europea in anni tre e liquidava complessivamente la somma di Euro 700,00 a titolo di danno non patrimoniale.
Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione M.F. che deduce otto motivi di censura.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il Procuratore Generale ha depositato le proprie conclusioni chiedendo l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso M.F. denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 par. della CE.D.U.. Lamenta che la Corte d’Appello non abbia applicato direttamente la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed abbia disatteso la giurisprudenza europea per quanto riguarda sia la determinazione dell’indennizzo, il quale non può essere inferiore ad Euro 1.000,00 – 1.500,00 per ogni anno, sia il principio secondo cui, una volta superata la durata ragionevole, deve tenersi conto dell’intera durata e non solo del periodo eccedente, sia il riconoscimento del “bonus” dovuto in presenza di cause in materia di lavoro e sia infine la liquidazione delle spese.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, e difetto di motivazione. Lamenta ancora che la Corte d’Appello non si sia attenuta alla giurisprudenza della Coree europea per quanto riguarda il parametro fissato nella misura oscillante fra 1.000,00 e 1.500,00 Euro per ogni anno di durata del procedimento.
Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo il ricorrente denuncia ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 par. 1 della C.E.D.U., lamentando ulteriormente che la Corte d’Appello abbia liquidato una somma non corrispondente ai parametri della C.E.D.U. e con riferimento all’intera durata del procedimento.
Con il sesto, il settimo e l’ottavo motivo il difensore in proprio denuncia violazione dell’art. 6 par. 1 della C.E.D.U. e degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè difetto di motivazione, lamentando che la Corte d’Appello non abbia liquidato le spese secondo i parametri europei e senza considerare che esse debbano essere liquidate secondo le voci tariffarie di cui alle tabelle A e B. Il ricorso è infondato.
Quante alle censure contenute dal primo al quinto motivo di ricorso, riguardanti in modo ripetitivo l’entità dell’indennizzo relativo al danno non patrimoniale che la Corte d’Appello ha riconosciuto nella misura complessiva di Euro 700,00 in relazione ad anni uno e mesi quattro di durata ritenuta non ragionevole e non contestata, il decreto impugnato, pur discostandosi dal parametro base fissato dalla Corte europea, che riconosce in linea di massima un indennizzo oscillante tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di durata non ragionevole, non può considerarsi emesso senza il rispetto della giurisprudenza europea cui il giudice nazionale deve tendenzialmente adeguarsi in quanto, dovendo considerarsi tale richiamo appunto tendenziale ed i parametri fissati solo in linea di massima, ben può il giudice nazionale apportare quegli aumenti o riduzioni suggeriti dalla fattispecie concreta. E la Corte d’Appello – nel riconoscere una somma inferiore, ha fornito una motivazione, peraltro non espressamente censurata, evidenziando la modesta entità della posta in gioco nel giudizio presupposto.
Nè, d’altra parte, può condividersi l’assunto secondo cui, una volta accertata una durata non ragionevole; dovrebbe tenersi conto dell’intero periodo di durata del procedimento, prevedendo espressamente la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 che, ai fini in esame, rileva solamente il danno riferibile riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo.
Al riguardo Questa Corte ha già sottolineato che, anche se per la Corte europea l’indennizzo debba essere moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, secondo cui è ininfluente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole.
Si è sostenuto inietti che detta diversità di calcolo non tocca la complessa attitudine della L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione dei diritti alla ragionevole durata del processo e pertanto non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2 nel testo fissato dalla legge costituzionale 23 novembre 1599, n. 2; vedi Cass. 8714/06).
Del pari, non può trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento di un “bonus” di Euro 2.000,00 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non essendo previsto dalla legislazione nazionale e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarità della fattispecie sulla quale nulla è stato però detto al di là di un generico richiamo al carattere assistenziale della controversia.
Gli altri tre motivi, tutti relativi alle spese liquidate dalla Corte d’Appello devono ritenersi inammissibili in quanto proposti direttamente dal difensore in proprio (vedi pag. 9) il quale è legittimato in tale veste solo per censurare la loro mancata distrazione, nel caso in esame peraltro riconosciuta, e non già l’entità delle spese liquidate.
Si ritiene comunque di compensare le spese del presente giudizio di legittimità in considerazione della natura modesta della controversia.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2010