LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12293/2006 proposto da:
P.V. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 104, presso l’avvocato DE BERNARDINIS DANIELA, rappresentato e difeso dall’avvocato BERGAMO Federico, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA SWEET LINE S.R.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1307/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/05/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22/10/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato F. BERGAMO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 1307 depositata il 3 maggio 2005 e non notificata, confermando precedente decisione del Tribunale di Napoli, ha respinto l’opposizione proposta da P. V. avverso lo stato passivo del fallimento della società Sweet Line, approvato il ***** con esclusione del credito, di cui aveva chiesto l’ammissione sulla base d’asserito rapporto di dipendenza lavorativa dalla società, nell’importo di L. 37.086.948 per indennità di fine rapporto, e di L. 165.335.792 per competenze per mensilità aggiuntive e contributi previdenziali, oltre rivalutazione ed interessi.
Avverso questa decisione P.V. ha proposto il presente ricorso per cassazione in base a tre motivi non resistiti dalla procedura intimata ed ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente:
1.- col primo motivo, denunciando vizio di motivazione, ascrive alla Corte territoriale d’aver apoditticamente attribuito valore decisivo ad alcune dichiarazioni dei testi escussi, travisandone il contenuto che è risultato sufficiente, congruente e conforme agli ulteriori dati istruttori emersi aliunde. Riferisce a conforto alcuni brani delle dichiarazioni rese da G.F., che ebbe a riferire di essersi recato almeno 20 volte presso i locali della società ove lo aveva conosciuto riscontrandone le mansioni di operaio esperto, e da G.V., che riferì che un tale Vi., fratello gemello di altro dipendente della società di nome B., si era occupato del montaggio dei mobili.
2.- Col secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 420 c.p.c. e art. 2729 c.c., e correlato vizio di motivazione su punto decisivo della controversia. Si duole dell’omessa valutazione da parte della Corte territoriale della mancata contestazione del credito controverso discendente dalla contumacia del curatore, apprezzabile quanto meno in via presuntiva.
3.- Col terzo motivo deduce ancora violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., e vizio di motivazione, censurando il mancato immotivato esercizio da parte dell’organo giudicante del potere dovere, espressamente sollecitato, di ammettere le altre prove testimoniali dedotte, nonchè di ordinare l’esibizione delle scritture contabili della società, utili al fine di colmare le ravvisate carenze probatorie.
Il primo motivo è infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto le risultanze probatorie esaminate, tratte dalle deposizioni dei testi escussi G.F. e G.V., inidonee all’acquisizione della prova rigorosa del vincolo di subordinazione tra le parti, e della continuità del rapporto e delle modalità del suo svolgimento, in quanto, avuto riguardo alla prima deposizione, la semplice commissione di due o tre forniture verso la fine del ***** non spiegava la dichiarata presenza del testimone in fabbrica negli anni *****, tale da coprire il periodo lavorativo assunto dall’istante, ed era peraltro poco verosimile che egli ne conoscesse orari di lavoro e mansioni esplicate dal P.. L’altro teste era stato invece vago, laddove aveva riferito che un tale Vi. si era occupato del montaggio mobili.
Il ricorrente censura il risultato del vaglio critico di tali deposizioni, che risulta illustrato nella decisione impugnata con motivazione effettivamente succinta ma comunque sufficiente, contrapponendovi la propria contraria sintesi conclusiva, fondata sul rilievo della sufficiente precisione delle deposizioni testimoniali riferite. Confuta dunque nel merito la correttezza della conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito, sollecitando il riesame, in chiave favorevole, dell’accertamento di fatto da essi compiuto, che non è però censurabile in questa sede, perchè la “riserva” al giudice di quella fase dell’interpretazione e della valutazione del materiale probatorio rende insindacabile l’efficacia che ad esso è ivi attribuito.
Ancora in punto di fatto, il ricorrente invoca, genericamente, ulteriori imprecisate decisioni, favorevoli ad altri dipendenti della società, asseritamente, assunte dalla stessa Corte d’appello di Napoli in relazione alla medesima procedura. Seppur fossero divenute definitive, e di ciò neppure si fa menzione nel motivo, dette pronunce nondimeno non potrebbero assumere la forza del giudicato esterno, che il ricorrente apparentemente invoca, stante la sicura assenza del necessario postulato dell’identità soggettiva, e la non dedotta esistenza dell’identità oggettiva, rimasta imprecisata, fra i giudizi con esse definiti ed il presente giudizio.
Analoga sorte merita il secondo motivo.
E’ sufficiente a riguardo ribadire che, nel rito del lavoro così come in quello ordinario, la contumacia del convenuto non equivale ad ammissione dell’esistenza dei fatti dedotti dall’attore a fondamento della propria domanda; parimenti è irrilevante la mancata comparizione personale della parte all’udienza fissata per l’interrogatorio. Questa condotta processuale, improntata ad inerzia, rappresenta di contro elemento liberamente apprezzabile dal giudicante, nel contesto delle ulteriori risultanze acquisite (cfr.
per tutte Cass. n. 3601/2006).
La valutazione in termini d’irrilevanza e non già di conferma del bagaglio istruttorio acquisito, che non necessita peraltro di specifica motivazione, si sottrae pertanto al sindacato ammesso in questa sede.
Il terzo motivo è invece inammissibile.
Il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice, previsti dall’art. 421 c.p.c., nel rito del lavoro, non è neppur esso sindacabile in questa sede, neppure se risulti immotivato, a meno che non si traduca in un vizio d’illogicità della decisione in chiave motivazionale.
Nel caso di specie la pronuncia della Corte Territoriale, che ha dichiarato inammissibile l’istanza sollecitatoria della difesa del P., è sorretta da motivazione adeguata, nonchè immune da vizio logico, che tiene conto della sua generica formulazione in termini di ammissione di “eventuali mezzi istruttori”, non altrimenti precisati dall’istante, sul quale gravava il relativo onere d’allegazione.
Quanto alla denuncia riferita all’omessa attivazione dell’attività officiosa volta all’acquisizione della documentazione, asseritamente idonea dimostrare la sussistenza del rapporto di dipendenza dalla società fallita, valgono le considerazioni svolte in ordine alla discrezionalità, attribuita al giudice in ordine al suo espletamento.
Alla stregua delle svolte argomentazioni il ricorso va respinto omessa la pronuncia sul governo delle spese di questo giudizio, stante l’assenza d’attività difensiva dell’intimata.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2010