LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –
Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G. – elettivamente domiciliata in ROMA, viale Carso, 23, presso lo studio dell’avv. Salerni Arturo, dal quale e’
rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Questura di Roma, in persona del Questore pro tempore; Prefettura di Roma, in persona del Prefetto pro tempore;
– intimati –
avverso il decreto del Giudice di pace di Roma, depositato il 14 luglio 2005;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 4 novembre,2009 dal Consigliere Dott. SALVATO Luigi;
udito per la ricorrente l’avv. Arturo Salerni, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
lette le conclusioni scritte, in data 26 marzo 2007 del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per la manifesta inammissibilita’ e, comunque, per la manifesta infondatezza del ricorso ed udito il P.M.
in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ o per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di pace di Roma, con provvedimento del 7.7.2005, rigettava l’opposizione proposta da M.G. avverso il decreto di espulsione del Prefetto di Roma in data 21 marzo 2005, ritenendo irrilevante la convivenza della predetta con un nipote minorenne, avente cittadinanza *****.
Per la cassazione di detto decreto ha proposto ricorso M. G., affidato a due motivi, illustrati con memoria depositata in prossimita’ della CC del 25.9.2008; non hanno svolto attivita’ difensiva gli intimati.
Fissata la trattazione della causa in Camera di consiglio, questa Corte, con ordinanza del 25/9/08 – 15/1/2009, ha disposto che la stessa fosse chiamata in pubblica udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), sostenendo che detta norma stabilisce il divieto di espulsione in danno degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado, di nazionalita’ *****, situazione nella quale ella verserebbe, poiche’ del suo nucleo familiare fa parte il nipote A.A., nato a *****, figlio di M.S., sorella di essa istante, oggi deceduta.
A suo avviso, il Giudice di pace avrebbe negato l’applicabilita’ del divieto di espulsione, in quanto il nipote, alla data del provvedimento di espulsione, era minorenne, erroneamente ritenendo che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, cit. non consentirebbe di attribuire rilievo a detta circostanza.
La ratio della norma sarebbe, infatti, quella di realizzare un trattamento di favore per lo straniero parente di un cittadino ***** a prescindere dall’eta’ di quest’ultimo, e le uniche condizioni per l’operativita’ del divieto sarebbero: la sussistenza del rapporto di parentela; la convivenza con il parente *****.
Il secondo motivo denuncia omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, deducendo che l’espulsione sarebbe stata disposta ai sensi sia del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. a), (sottrazione ai controlli di frontiera), sia del comma 2, lett. b) di detta norma (permanenza clandestina in *****).
La ricorrente sostiene che la contestuale contestazione di queste due ipotesi inciderebbe sulla certezza della norma contestata, violando il diritto di difesa ed inoltre, le due ipotesi sarebbero incompatibili. Siffatti rilievi avevano costituito motivo di opposizione, sul quale il Giudice di pace si sarebbe pronunciato con motivazione apparente e generica, riportandosi “a quanto decretato dal Prefetto' e cio’ “si risolve in una mancata decisione sulle censure svolte in sede di ricorso'.
2.- Il ricorso proposto nei confronti del Questore e’ manifestamente inammissibile, poiche’, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, la legittimazione esclusiva, personale e permanente a contraddire in giudizio, anche nella fase di legittimita’, spetta al Prefetto, quale autorita’ che ha emesso il provvedimento impugnato (Cass. n. 25360 del 2006; n. 16206 del 2004; n. 28869 del 2005; n. 1748 del 2003).
3.- Il primo motivo e’ infondato, anche se la motivazione va corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..
In linea preliminare, va osservato che, nella specie, ratione temporis e’ applicabile il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), nel testo che dispone: “non e’ consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’art. 13, comma 1', nei confronti “c) degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalita’ *****'; non rileva, quindi, la modifica introdotta dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. p), che ha limitato il divieto al caso degli “stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalita’ *****'.
La questione posta con il mezzo in esame e’ stata gia’ sottoposta all’esame di questa Corte, che l’ha risolta affermando il principio in virtu’ del quale la convivenza dello straniero con parente entro il quarto grado di cittadinanza italiana che sia minore di eta’ non configura la condizione per il divieto di espulsione dello straniero prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), cit., poiche’ detta disposizione, nel richiedere la convivenza, postula che questa sia determinata sulla base di una scelta volontaria, che deve escludersi possa essere espressa dal minore (Cass. n. 15246 del 2006).
In particolare, e’ stato sottolineato che la norma mira a tutelare l’unita’ familiare ed il vincolo parentale, anche nel caso dello straniero che si trovi in situazione irregolare. Le condizioni che permettono l’esplicazione di detta tutela, mediante il divieto di espulsione, sono costituite: dal rapporto parentale, entro il grado previsto, con un cittadino italiano; dalla convivenza con lo stesso, elemento questo decisivo, poiche’ reputato dal legislatore idoneo a esprimere la volonta’ del cittadino italiano di instaurare, con il parente straniero, una comunione di vita che giustifica, in nome appunto del prevalente interesse all’unita’ familiare, la sottrazione dello straniero alle regole generali.
Pertanto, ha sottolineato la sentenza sopra richiamata, la convivenza deve essere frutto di una scelta libera e consapevole e soprattutto adeguata ai propri desideri e alle proprie esigenze; e’ l’attenzione a tali aspirazioni e bisogni che permette di scegliere cio’ che piu’ si adatta alla propria situazione, peraltro suscettibile di mutare nel tempo.
Ne consegue che una manifestazione di volonta’ in detto senso non puo’ essere validamente espressa da chi, come il minore, non abbia capacita’ d’agire, in quanto, diversamente opinando, “oltre a contraddire un principio fondamentale dell’ordinamento, si offrirebbe all’extracomunitario un possibile espediente con cui legittimare situazioni di clandestinita’' (Cass. n. 15246 del 2006).
Siffatto principio va qui ribadito, con la precisazione che esso non incide sul diritto alla vita familiare del minore in riferimento alla relazione con il genitore straniero. Quest’ultima sfugge, infatti, alla disciplina della norma in esame ed e’ regolata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30, comma 1, lett. d), in virtu’ del quale il permesso di soggiorno per motivi familiari e’ rilasciato al genitore “anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che (…) non sia stato privato della potesta’ genitoriale secondo la legge italiana'. Dunque, in detta ipotesi non occorre il requisito della convivenza, stante il diritto del minore a mantenere relazioni bigenitoriali anche qualora sia cessata la convivenza familiare o more uxorio tra i genitori.
Ed e’ appunto tale norma che rivela l’infondatezza delle argomentazioni svolte nella memoria, sostanzialmente risolventisi nel sostenere che la ritenuta riconducibilita’ della convivenza ad una manifestazione di volonta’ espressa da chi ha la capacita’ di agire rischierebbe di legittimare l’impossibilita’ di affermare il diritto del genitore del minore a soggiornare in *****.
Il provvedimento impugnato e’, quindi, immune da censure, nella parte in cui ha ritenuto inapplicabile la norma, anche se la motivazione va corretta, poiche’ ostativa all’applicabilita’ della stessa non e’ la necessita’ del “mantenimento' dello straniero da parte del convivente di nazionalita’ *****, sibbene la circostanza che nella specie, essendo quest’ultimo minore, la convivenza non poteva ritenersi frutto di una scelta volontaria, con conseguente insussistenza della situazione dalla stessa prevista.
Peraltro, va osservato che la ricorrente neppure ha prospettato che nella fase di merito era stato dedotto, e provato, che la convivenza era avvenuta nell’interesse del minore e che la scelta della convivenza strumentale a detto interesse era stata manifestata dagli esercenti la potesta’ genitoriale, ovvero la tutela, sul medesimo.
Dunque, neppure rileva in questa sede l’ulteriore, diversa, questione della possibilita’ che una tale manifestazione di volonta’ a base della convivenza sia resa dal rappresentante legale del minore, pure da risolvere in senso affermativo, cosi’ che, da un canto, puo’ essere mantenuto fermo il presupposto della convivenza quale frutto di una scelta adeguata alle esigenze ed ai bisogni di quest’ultimo;
dall’altro, risulta chiaro che neppure resta privo di tutela l’interesse del minore, qualora la convivenza avvenga effettivamente con il medesimo, non in via meramente eventuale o incidentale, e sia davvero strumentale alla tutela di esigenze ed interessi del medesimo.
4.- Il secondo motivo e’ in parte inammissibile, in parte infondato.
La ricorrente, con questo mezzo, ha denunciato esclusivamente “omessa motivazione circa un punto decisivo per il giudizio', quindi il vizio dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sicche’ e’ necessario ricordare che il discrimine tra detta ipotesi e quella dell’art. 360 c.p.c., n. 3 consiste nel fatto che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, e cioe’ implica un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ invece esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ proponibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’ segnato dal fatto che solo la seconda e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le molte, Cass. S.U. n. 10313 del 2006; Cass. n. 10127 del 2006; n. 15499 del 2004; n. 6224 del 2002).
Il vizio di motivazione, anche nella configurazione piu’ radicale della carenza assoluta della motivazione, puo’ inoltre costituire oggetto di ricorso per Cassazione esclusivamente in quanto incida sull’accertamento e sulla valutazione di punti di fatto rilevanti per la decisione, non anche quando riguardi l’affermazione o l’applicazione di principi giuridici (Cass. S.U. n. 261 del 2003;
Cass. n 16640 del 2005; n. 21712 del 2004). Per quanto concerne l’interpretazione e l’applicazione di norme di diritto e la soluzione di questioni giuridiche, il sindacato di legittimita’ si esaurisce, infatti, nel controllo della conformita’ al diritto della decisione impugnata: se la decisione risulta esatta, l’erronea o carente motivazione in diritto e’ modificata o integrata da questa Corte ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; solo se la decisione risulta giuridicamente inesatta, la pronuncia impugnata va cassata per violazione o falsa applicazione di norme giuridiche.
In applicazione di detti principi, e’ manifesta l’inammissibilita’ del motivo, in quanto la questione avente ad oggetto la legittimita’ della contestazione di una molteplicita’ di ipotesi di espulsione e l’incidenza della stessa sul diritto di difesa dell’espulso involge, all’evidenza, una questione di interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, non di esattezza della ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, quindi la violazione avrebbe dovuto essere denunciata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Peraltro, anche ritenendo formulata una tale denuncia, il mezzo e’ infondato. Indipendentemente dalla sussistenza o meno di una compatibilita’ logica tra le ipotesi di espulsione previste dalle del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. a) e b) cit., la loro contestuale contestazione e’, infatti, insuscettibile di ledere il diritto di difesa, poiche’ l’espulso, una volta che ne abbia avuto contezza, bene puo’ contrastarne la fondatezza svolgendo le ragioni che, in punto di fatto e di diritto, dimostrano che non e’ entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera e che non ha neppure violato la lett. b) sopra richiamata.
In definitiva, il ricorso va rigettato; non deve essere resa pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso.
Cosi’ deciso in Roma, il 4 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2010