LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
ALFA SRL P.I. ***** in persona dell’Amministratore unico D.F., BETA SRL P.I. ***** in persona delle Amministratrici D.C.V. e T.P., GAMMA SRL P.I.
***** in persona dell’Amministratore unico T.P., GEN COSTR SPA P.I. ***** in persona dell’Amministratore unico B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio dell’avvocato RIZZACASA GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato DI BIASE GIOVANNI;
– ricorrenti –
e contro
D.R.M., D.R.G., D.R.C.L., DE.RE.MA., D.R.A.R.;
– intimati –
e sul ricorso n. 1825/2005 proposto da:
D.R.M. C.F. *****, D.R.G. C.F.
*****, D.R.C.L. C.F.
*****, DE.RE.MA. C.F. *****, D.R.A.R. C.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA APRICALE 31, presso lo studio dell’avvocato VITOLO MASSIMO, rappresentati e difesi dagli avvocati DURANTE EBERTO, FINGO ANGELO;
– controricorrenti riC. incidentali –
e contro
ALFA SRL, BETA SRL, GAMMA SRL, GEN COSTR SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 589/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/08/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. PICCIALLI Luigi;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 25.6.93 le societa’ Alfa s.r.l., Beta s.r.l. e Gamma s.r.l., quali assuntrici del concordato della Societa’ Generale Costruzioni s.p.a. dichiarata fallita il *****, nonche’ quest’ultima, ritornata in bonis per effetto del concordato medesimo, citarono al giudizio del Tribunale di Pescara D.R.M., al fine di sentirla condannare al rilascio di un immobile sito in quella citta’ ed al risarcimento dei danni, che assumevano detenuto senza titolo dalla convenuta.
Costituitisi quest’ultima, nonche’, quali interventori volontari, i di lei germani G., C.L., M. e D.R.A. R., eccepirono che l’immobile era stato loro venduto dalla Societa’ Generale Costruzioni con scrittura privata del ***** e successivamente consegnato, dopo il completamento della relativa costruzione, nel 1970; in via riconvenzionale i suddetti chiesero, pertanto, dichiararsi l’avvenuto trasferimento del bene in loro proprieta’, per effetto della vendita citata o, in subordine, per usucapione. Intervenne successivamente, aderendo alle richieste attrici, la curatela del Fallimento della Societa’ Generale Costruzioni.
Con sentenza monocratica dell’11 – 13/1/2001 il Tribunale adito rigetto’ la domanda attrice ed accolse quella riconvenzionale.
Proposti distinti appelli, il primo dalla curatela suddetta, il secondo dalle societa’ Alfa, Beta e Gamma s.r.l., unitamente alla Societa’ Generale Costruzioni s.p.a, entrambi resistiti dagli appellati D.R., riuniti i giudizi, con sentenza del 16.3.04, pubblicata il 27.3.04, la Corte d’Appello di L’Aquila rigetto’ i gravami, condannando le parti appellanti alle spese.
La corte territoriale confermava la qualificazione, data dal primo giudice, del contratto del ***** quale compravendita di cosa futura, ai sensi dell’art. 1472 c.c., produttiva dell’effetto traslativo all’atto del completamento della costruzione desumendo tale natura, a prescindere dall’improprio nomen iuris adoperato dalle parti, dalla precisa determinazione dell’oggetto del trasferimento e della data della relativa consegna, prevedente anche una penale per ritardo, dall’integrale e contestuale pagamento del prezzo dall’assenza della previsione dell’obbligo di prestare il consenso ad una futura stipulazione, dalla circostanza che nei quattro anni intercorsi tra la consegna dell’immobile e la dichiarazione di fallimento, la Societa’ Generale Costruzioni non avesse mai chiesto che si procedesse alla stipulazione del contratto definitivo.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto congiunto ricorso le societa’ Alfa, Beta e Gamma s.r.l, e la Societa’ Generale Costruzioni s.p.a., deducendo tre motivi d’impugnazione.
Hanno resistito gli intimati D.R. con comune controricorso, contenente ricorso incidentale subordinato, depositando successiva memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. L’esposizione dei motivi del ricorso principale e’ preceduta da una “premessa”, nella quale si precisa, in ordine a questione che “pur se agitata dalle parti” non sarebbe stata esaminata dalla Corte d’Appello che nelle more del giudizio di secondo grado con decreto del 30/10/02 ed atto pubblico del 18.12.02, “avveratasi la condizione dell’integrale assolvimento degli oneri assunti in sede di concordato…” dalle tre societa’, alle medesime “sono stati trasferiti tutti i beni costituenti la massa attiva fallimentare compresi i rapporti giuridici e la ragioni oggetto di contenzioso… il procedimento fallimentare si e’ chiuso e gli organi hanno cessato le loro funzioni con il ritorno in bonis della (gia’ fallita) Soc. p.Az. Generale Costruzioni”; pertanto, “ai sensi dell’art. 372 c.p.c. si producono, i documenti attestanti il definitivo consolidamento sostanziale e processuale in testa alle Societa’, Alfa, Beta e Gamma”. Tale premessa ha dato luogo ad una preliminare eccezione dei controricorrenti, secondo cui l’allegata nuova produzione documentale sarebbe inammissibile, ai sensi del pur richiamato art. 372 c.p.c., perche’ non riguarderebbe “la nullita’ della sentenza (neppure denunziata) ne’ l’ammissibilita’ del ricorso, in quanto le societa’ ricorrenti, assuntrici del concordato per cessio bonorum, sono state gia’ parti del giudizio nei gradi di merito, sicche’ avevano gia’ titolo per ricorrere nelle posizioni assunte e tenute nel giudizio di primo grado”; se ne deduce, ad avviso dei controricorrenti, l’inammissibilita’ non solo della citata produzione documentale, ma anche dello stesso ricorso, non potendosi far valere in sede di legittimita’ la verificazione di una “condizione dell’azione che avrebbe dovuto sussistere al tempo della prima…decisione di merito..” senza poter essere acquisita nei gradi successivi; si soggiunge che, peraltro, gli effetti del decreto in 31.10.02 e dell’atto notarile del 18.12.02 ex adverso citati non si sarebbero ancora prodotti, non essendosi ancora verificata la condizione sospensiva, costituita dall’esito positivo del giudizio in corso. L’eccezione e’ fondata solo nella prima parte, considerato che la nuova produzione documentale, attinente ad un evento che, verificatosi nel corso del giudizio di merito, ben avrebbe potuto essere dedotto e provato in quello sede, mentre non lo puo’ nella presente, attesa la tassativita’ delle ipotesi di cui all’art. 372 c.p.c. (nullita’ della sentenza impugnata, ammissibilita’ del ricorso e del controricorso) e la non riconducibilita’ alla relativa previsione di atti che, al piu’, comproverebbero un ulteriore e rafforzato interesse delle ricorrenti, rispetto a quello che ne ha legittimato la proposizione della causa di merito, senza dar luogo a contestazioni al riguardo. La non ammissione agli atti del giudizio di tali documenti, dei quali non puo’ dunque tenersi conto, comporta tuttavia la reiezione della seconda parte dell’eccezione, che trae spunto da tale irrituale produzione e che, comunque, deduce una questione non di legittimazione processuale, rilevabile di ufficio, bensi’ una contestazione attinente al merito della controversia, in punto di titolarita’ del diritto (o preteso tale) azionato dalla controparti, questione del tutto nuova e, pertanto, improponibile per la prima volta nella presente sede.
Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e contraddittoria motivazione su punto decisivo, censurandosi l’interpretazione del negozio contenuto nella scrittura privata del ***** fornita dai giudici di merito, i quali non avrebbero tenuto conto del chiaro tenore letterale della stessa, desumibile non solo dall’intestazione, ma anche e soprattutto dalle inequivoche espressioni adoperate dai contraenti, quali promettevano e si obbligavano reciprocamente a vendere e ad acquistare, cosi’ denotando la stipula non un contratto definitivo ad effetti differiti, bensi’ di un preliminare, di natura “propedeutica e programmatica” rispetto alla futura compravendita. La tesi ermeneutica recepita dai giudici di merito, facendo leva essenzialmente sulla regola, nella specie non decisiva, della non influenza del nomen iuris adoperato dalle parti, si porrebbe in contrasto con il principio secondo il quale l’interpretazione del contratto deve arrestarsi al significato letterale delle parole usate dai contraenti, quando queste lascino emergere in modo immediato la comune intenzione delle stesse, omettendo cosi’ di trarre l’ineludibile conseguenza che i convenuti, in quanto semplici detentori dell’immobile, avrebbero dovuto rilasciarlo, “per non aver essi richiesto – sbarrata la strada dalla dichiarazione ex art. 72 della Curatela Fallimentare – l’attuazione di quel preliminare ex art. 2932 c.c., comma 1.
Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 e 1472 c.c., omessa e contraddittoria motivazione su punto decisivo”. Pur ribadendosi che la chiarezza dell’elemento letterale avrebbe dovuto impedire il ricorso ai criteri ermeneutici sussidianti censura comunque anche la corretta applicazione di questi ultimi osservando: che la completa indicazione dei beni oggetti del contratto e delle obbligazioni sarebbero un elemento neutro essendo richiesta anche per il contratto preliminare; che l’integrale pagamento del prezzo sarebbe stato in realta’ insussistente, essendo il prezzo comprensivo della cessione del non ancora conseguito contributo pubblico per la ricostruzione post – bellica; che altrettanto neutro sarebbe l’elemento costituito dalla consegna del bene; che infine irragionevole e immotivato sarebbe l’assunto secondo il quale le parti non assunsero l’obbligo di prestare “il consenso in sede di futuro concontrahere” essendo cio’ implicito nei reciproci impegni a vendere ed acquistare e nella espressa previsione che la vendita sarebbe stata “effettuata per il convenuto prezzo”.
I suesposti motivi, che per la stretta connessione ed interdipendenza vanno esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento.
E’ principio da decenni consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l’interpretazione del contratto costituisce attivita’ riservata al giudice di merito, che si sottrae al sindacato in sede di legittimita’ a meno che la stessa non si risolva nella palese violazione dei canoni legali di interpretazione, dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c. o risulti manifestamente contraddittoria o comunque illogica, tanto da non consentire l’identificazione dell’iter logico seguito (tra le tante, v. Cass. 23569/07, 17935/06, 10636/06, 10434/06).
Nel caso di specie i giudici di merito, in ottemperanza alla regola basilare dettata dall’art. 1362 c.c., comma 1 non si sono limitati a prendere in considerazione il senso letterale, solo apparentemente univoco, delle parole adoperate dai contraenti nell’intestazione del contratto e nella qualificazione degli impegni reciprocamente assunti, ma hanno indagato sull’effettiva sottostante volonta’ negoziale, desunta, con adeguato procedimento logico – sistematico, sia dal comportamento complessivo delle parti successivo alla stipula (art. cit., comma 2), sia dal complesso delle pattuizioni (art. 1363 c.c.), pervenendo alla plausibile conclusione che le stesse avessero inteso stipulare, gia’ con quella scrittura, un contratto definitivo ex art. 1472 c.c. di compravendita, ad efficacia tuttavia differita nel tempo, in forza del quale il trasferimento dell’immobile si sarebbe verificato ipso iure all’atto della sua realizzazione completa, senza alcuna necessita’ di ulteriori atti traslativi. Tale conclusione, opinabile ma non illogica, ne’ configgente con particolari norme o principi giuridici, risulta sorretta dalla valorizzazione di una serie di elementi convergenti, quali l’integrale pagamento anticipato del prezzo (il cui accertamento si confuta con palesi censure in fatto), la previsione di una penale per l’ipotesi di tardata consegna (certamente insolita in un mero preliminare), l’assenza di alcuna previsione di una eventuale futura stipula dell’atto traslativo e di un relativo termine (la cui fissazione in diversa ipotesi non sarebbe mancata in considerazione del previsto integrale pagamento anticipato), l’assenza, successivamente agli avvenuti pagamenti e consegna di alcuna richiesta, dall’una e dall’altra parte, di addivenire a detta stipula. Ed a tale ultimo riguardo l’obiezione, secondo la quale la curatela del fallimento si sarebbe ritenuta sciolta dal vincolo preliminare, risulta del tutto priva di riscontro, non risultando dalla narrativa della sentenza di merito, e neppure venendo specificamente dedotto in quella del ricorso, se e quando la stessa avesse formalmente dichiarato alle controparti di volersi avvalere della facolta’ di cui alla L. Fall., art. 72 (sicche’, anche in ipotesi di contratto preliminare, la domanda di rilascio per detenzione sine titulo avanzata dalle odierne ricorrenti non avrebbe sortito miglior esito, posto che le parti convenute avrebbero potuto comunque opporre un titolo ancora efficace alla detenzione degli immobili, costituito dalla clausola prevedente la relativa consegna, contenuta nel non ancora caducato contratto).
I suddetti elementi, ancorche’ singolarmente non decisivi ed oggetto, nel ricorso di confutazione diretta ad una disamina parcellizzata degli stessi, devono tuttavia ritenersi idonei, nel loro insieme a sorreggere una ragionevole valutazione complessiva delle vicenda negoziale, ai fini del corretto inquadramento giuridico della fattispecie si contrappone da parte delle ricorrenti una diversa ipotesi ermeneutica, astrattamente plausibile, ma inammissibile nella presente sede di legittimita’, nella quale occorre solo valutare l’adeguatezza logico – giuridica del modulo argomentativo adottato dai giudici di merito, di per se’ considerato e non anche raffrontare lo stesso con quello alternativo proposto dalle parti ricorrenti (v., Cass. n. 1754/06, 10131/06, 13759/04, 13105/04, 12468/04).
Gli esaminati mezzi d’impugnazione vanno pertanto respinti e, conseguentemente, rimangono assorbiti sia il terzo motivo del ricorso principale, deducente (peraltro inammissibilmente per saltum avendo ad oggetto la seconda ed autonoma ratio decidendi contenuta nella sentenza di primo grado) “violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 sia il ricorso incidentale subordinato, con il quale si ribadisce la fondatezza della subordinata domanda riconvenzionale di usucapione, sulla quale i giudici di appello correttamente non si sono pronunziati, avendo confermato la prima ratio decidendi di per se’ sola sufficiente a mantenere fermi sia il rigetto della domanda principale, sia l’accoglimento di quella riconvenzionale. Le spese, infine, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE Riuniti i ricorsi, rigetta quello principale, dichiara assorbito l’incidentale e condanna le ricorrenti principali, in solido, al rimborso in favore dei resistenti delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 di cui 200,00 per esborsi.
Cosi’ deciso in Roma, il 24 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010